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Peccati contro la fede: qualcuno se li ricorda?

Un tempo, quando la lezione di catechismo era ancora una cosa seria, e i libri di catechismo rispecchiavano la vera dottrina cattolica, al credente veniva ricordato che non esistono solo i peccati contro il prossimo, contro le cose o contro se stessi; e che fra i peccati, i quali, tutti, offendono Dio, ve ne sono alcuni che vanno direttamente contro il Primo Comandamento: Io sono il Signore Dio tuo: non avrai altro Dio all’infuori di me. Sono i peccati contro la fede. La fede è un dono prezioso, non una conquista umana; e, come ogni dono prezioso, deve essere custodita con somma cura, per cui anche il fatto di esporsi alla sua perdita è, di per se stesso, un peccato, e anche molto grave. Così come nessuno, dopo aver ricevuto in dono un gioiello prezioso, per esempio una collana di diamanti, si sognerebbe di andare in giro posandola qua e là, a rischio di perderla, o di farsela rubare, perché sa bene quale è il suo valore e se la tiene stretta, né mai se ne separa, o trascura di vigilare sulla sua sicurezza; allo stesso modo dovrebbe fare il cattolico con la propria fede, se lo Spirito Santo gli ha fatto dono, per mezzo della grazia divina, di riceverla e di poterla custodire nella propria anima, improntando ad essa, nello stesso tempo, tutta la propria vita, sia quella interiore che quella esteriore.

Vi sono persone le quali restano stupite se si dice loro che lasciare l’automobile parcheggiata senza chiuderla a chiave è un reato, e che lo è anche solo lasciarla con il finestrino interamente abbassato: in effetti, per la legge, chi si espone in tal modo a subire un furto, è, sia pure involontariamente, corresponsabile dei reati che, con quell’automobile, altri possono compiere, a cominciare dal fatto di rubarla, per proseguire con le rapine o altre azioni criminali che la sua disponibilità può rendere possibili a dei malviventi. Il concetto diventa più chiaro se, invece di un’automobile, si parla di un’arma, ad esempio una pistola: pur possedendo il porto d’armi, lasciarla incustodita è un reato, perché, evidentemente, essa può venire rubata ed essere lo strumento di altri, successivi reati. Questi semplici esempi possono aiutarci a comprendere in che senso la perdita della fede, quando è il frutto di una scelta volontaria o anche di una serie di trascuratezze spirituali, costituisce, a tutti gli effetti, un peccato, che va contro il Primo Comandamento. Infatti, la fede è una cosa preziosa e che non riguarda solamente la nostra vita, ma anche quella delle persone con le quali veniamo in contatto: e non è la stessa cosa averla o non averla, proprio come non è la stessa cosa vivere in maniera pacifica e ordinata, rispettosa della legalità, oppure condurre un’esistenza dominata dalla violenza e dal disordine, nonché dal disprezzo della legge, e ciò specialmente se si hanno dei figli, ai quali viene fornito costantemente un pessimo esempio di vita.

Il catechismo di un tempo distingueva sette diverse tipi di peccati contro la fede. Prima, però, metteva bene in chiaro che la fede è un impegno, sia per chi la possiede, sia per chi, onestamente, la cerca: e, come tutti gli impegni, comporta dei ben precisi doveri. Il primo dovere, per il cattolico, è quello di conoscere bene le verità della fede e studiarle con amore: nessuno, infatti, può lamentarsi di non aver ricevuto il dono della fede, se non ha mai fatto nulla neppure per cercarla. L’idea che la fede sia solo ed esclusivamente un dono di Dio, del tutto slegato dalla volontà degli uomini e quasi arbitrario, o capriccioso, è un’idea protestante, non cattolica: per la religione cattolica, Dio, pur non imponendo niente a nessuno, non nega il dono della fede agli uomini di buona volontà, che si sforzano di seguire i suoi insegnamenti, di vivere la vita buona e di cercare, con tutte le loro forze, quella Verità di cui sentono il desiderio. Chiedete e vi sarà dato; bussate e vi verrà aperto; cercate e troverete, dice Gesù, che è Maestro infallibile di verità. E qui cominciano le dolenti note a farsi sentire: perché è evidente che, specialmente ai nostri giorni, moltissimi sedicenti cattolici non hanno mai fatto assolutamente nulla per conoscere seriamente le verità della fede cristiana: non hanno mai letto la Bibbia, e neppure il solo Vangelo; non sanno cosa sono i Sacramenti, a che cosa servono, né cosa sia la Chiesa; hanno tutta una serie di idee sbagliate, o approssimative, o decisamente false, intorno ai punti principali della dottrina e della morale cattolica. In queste condizioni, come si potrebbe parlare di una sincera ed onesta ricerca delle verità di fede, e come si potrebbe sostenere che sono stati rispettati i doveri dell’uomo nei confronti di Dio? Ma tutto nasce sempre dalla medesima radice: la sottovalutazione del dono della fede, il cui valore è, invece, inestimabile. Chi si rende conto del valore di una cosa, non si espone a smarrirla o a farsele sottrarre; la custodisce come se fosse la pupilla dei suoi occhi; chi, invece, non le attribuisce la dovuta importanza, non si cura affatto di custodirla, meno ancora di capire fino a che punto essa sia preziosa.

Dicevamo delle sette maniere in cui si può peccare contro la fede (stiamo seguendo un testo di religione per la scuola media, come quello sul quale abbiamo studiato noi stessi, a suo tempo; per esempio, Gesù amico di Fosco Vandelli, della ottima Libreria Editrice Fiorentina, quando questa, peraltro, era già divenuta la casa editrice di don Lorenzo Milani e delle sue aberranti Esperienze pastorali; così aberranti che, con buona pace di papa Francesco, un altro papa, come Giovanni XXIII, dopo averle lette, disse che il loro autore doveva essere un povero pazzerello fuggito dal manicomio). La prima è quella di chi rifiuta la fede, negandola sdegnosamente: è il caso degli atei teorici e degli empi, questi ultimi nel significato etimologico di coloro che si rifiutano di essere religiosi ("empio" da "non pius", cioè che si rifiuta di onorare debitamente gli dei, nonché la patria e la famiglia). Vi è poi una nutrita schiera di "atei pratici", i quali, pur non avendo delle pretese di ordine teorico, nondimeno, nella loro vita, si comportano come se Dio non esistesse: non pregano, non pensano alla loro anima, né al suo destino futuro, disprezzano i Sacramenti, eccetera; costoro rientrano nelle successive quattro categorie di peccatori.

La seconda categoria è quella di quanti rifiutano il dovere di conoscere le verità della fede, sovente senza alcuna ragione precisa, ma semplicemente per pigrizia e cattiva volontà. Non ritengono che la fede sia una cosa importante; la mettono all’ultimo posto nelle priorità della loro vita, dopo tutto il resto, comprese le cose più futili. La terza categoria è quella di quanti non sentono l’importanza della fede e quindi, con leggerezza colpevole, si mettono in pericolo di perderla: potremmo paragonarli a quanti non si rendono conto del dono inestimabile della vita, e, assumendo stili di vita pericolosi per la salute e per l’integrità fisica, o addirittura scherzando con il destino, si espongono alla morte, così, solo per incoscienza e spavalderia. Per essere più precisi: è possibile, è umano, è naturale, che sorgano, nel corso della propria vita, dei dubbi circa la fede; quel che non è normale, non è giusto e non è lecito, è che, di fronte a tali dubbi, invece di rivolgersi per aiuto a Dio, sia con la preghiera, sia studiando con maggiore zelo e fervore la dottrina, e raccogliendosi più spesso e più intensamente nella meditazione dei sacri misteri, si indulga consapevolmente e quasi ci si compiaccia di trattenersi nei propri dubbi e nelle proprie incertezze. Se ci si rende conto che la fede è un dono prezioso, quando ci si accorge di essere in pericolo di perderla, si reagisce; così come colui che, rendendosi conto che si sta ammalando, magari per uno stile di vita vizioso e innaturale, ricorre alle cure del medico, e intanto cambia radicalmente il proprio stile di vita, adottandone uno più sano e morigerato. Pertanto, alla terza categoria appartengono coloro i quali incorrono in ciò che la teologia morale del buon tempo antico chiamava, molto appropriatamente, il dubbio volontario circa la fede. In altre parole: chi si espone a perdere la fede, non può invocare alcuna scusante; quel che gli sta capitando è il frutto di una sua deliberata trascuratezza, proprio come lo sarebbe quella di colui che, davanti al procedere di una malattia, disprezzasse medici e medicine.

La quarta categoria dei peccati contro la fede è quella degli eretici, i quali accolgono una parte delle verità della fede, mentre ne respingono altre; si permettono, cioè, di operare fra di esse una selezione, come se fossero loro i padroni della Verità soprannaturale che è contenuta nella divina Rivelazione. Osservava giudiziosamente il Vandelli nel testo sopra citato (edizione 1963, p. 52): La nostra fede deve essere ragionevole, cioè accolta con convinzione, non per abitudine, per tradizione, per forza d’inerzia, od inghiottita alla peggio come una pillola amara. Oggi non si parla più dell’eresia; chiunque può pubblicare un libro di carattere religioso, spacciandolo per cattolico, poiché non è più necessario richiedere, alla propria Curia vescovile, il nihil obstat; ciascun vescovo, ciascun sacerdote si permette di scrivere e predicare, anche nella omelia della santa Messa, delle cose le quali non stanno né in Cielo, né in terra, e che sono completamente al di fuori della dottrina cattolica; infine, la stessa Congregazione per la Dottrina della Fede ha abbassato la guardia, ha praticamente smobilitato e rinunciato al proprio ufficio, non sanziona più le eresie, non ammonisce, non scomunica nessuno. Sorge perciò la domanda se gli eretici siano miracolosamente spariti, dopo aver travagliato per duemila anni la storia della Chiesa, e ciò subito, fin dai tempi degli Apostoli – i quali ne parlano sovente nel Nuovo Testamento -, oppure se, in linea di fatto, l’eresia non sia più considerata un peccato dal Magistero ecclesiastico (cfr. il nostro articolo: Se la Chiesa non combatte più l’eresia si condanna a diventare eretica, pubblicato sul sito di Nuova Italia. Accademia Adriatica di Filosofia il 29/08/2017). Il guaio è che gli eretici ci son ancora, eccome; solo che molti di essi si spacciano per cattolici ed occupano posizioni eminenti nella gerarchia cattolica, per cui la loro opera è doppiamente perfida e devastante. Rientra nei loro subdoli piani la riabilitazione degli eretici del passato, come nel caso di Martin Lutero, il frate eretico e scismatico, manipolatore sfrontato e blasfemo del Vangelo, nemico della Chiesa e massimo odiatore della Verità eterna della divina Rivelazione, oggi empiamente rivalutato e presentato come un illuminato e zelante riformatore. Anche questo è un peccato di eresia: far credere ai fedeli che gli eretici non sono più tali, e, in questo modo, fuorviare i cattolici circa le verità essenziali della loro fede. Ora, proprio il fatto che ad avallare insegnamenti eretici, e a presentare come se fossero nella verità delle dottrine eretiche, sono dei cardiali, dei vescovi e il papa stesso, ci fa comprendere quali tempi drammatici sta vivendo la Sposa di Cristo, ai nostri dì.

Subito dopo la categoria degli eretici, la quarta, viene quella degli apostati, la quinta, cioè coloro i quali abbandonano completamente la fede per abbracciarne un’altra, evidentemente falsa (non esistono due religioni che siano nello stesso tempo vere, per la contradizion che nol consente), oppure per restare al di fuori di qualsiasi religione. Tecnicamente, questa è la definizione di "apostata", e, come tutti sanno, tale fu l’appellativo che i cristiani diedero all’imperatore Giuliano, il quale era stato cresciuto ed educato nella fede cattolica, ma poi, da adulto, la ripudiò e volle tornare al paganesimo. L’apostasia è un peccato gravissimo, perché rivela una malizia suprema; scrive ancora il Vandelli (p. 53): [gli apostati] si debbono considerare dei traditori; perché non lo possono mai fare in buona fede, cioè con vera e profonda convinzione; ma per motivi di interesse, o per ribellione, o per orgoglio, o qualche altra passione. Dio infatti non nega mai la sua luce — che è luce di verità — a chi prega e studia seriamente. […] Ricordati intanto che la perdita della Fede non avviene mai ad un tratto, ma a poco a poco: si comincia con l’ignoranza, si continua con il dubbio, ci si inoltra con l’orgoglio o con qualche altra passione, si trascurano le preghiere ed i Sacramenti, ci si mette volontariamente nelle occasioni pericolose… alla fine avviene il crollo. Ebbene, non è forse quello che sta accadendo, oggi, ad un livello, ahimè, generalizzato, nella Chiesa cattolica, e proprio a partire da settori importantissimi della gerarchia, sicché il danno che ne risulta è ancora più grave, addirittura incalcolabile? Infatti, a venire messe continuamente in dubbio, o perfino negate, non sono singole verità di fede, ma una grandissima quantità di esse, praticamente ogni giorno e a tutti i livelli — dottrinale, pastorale, liturgico -; dal loro insieme emerge molto più che una eresia in atto, bensì una vera e propria apostasia, un distacco pressoché totale dalla vera fede. Ma è un distacco di cui moltissime persone non si rendono conto; anzi, per loro (e nostra) somma sciagura, esse tengono per certo di essere più che mai nel solco della "verità".

Appartengono alla sesta categoria quanti commettono peccati di superstizione, praticando la divinazione, la magia, il maleficio, lo spiritismo, la vana osservanza (cioè la superstizione in senso stretto) e perfino il satanismo. Qualcuno penserà: Uh, uh, ma questo metro di giudizio è troppo severo! Niente affatto: questo è ciò che insegna, da sempre, la vera dottrina cattolica. Si vada a rileggere, per un utile confronto, la Divina Commedia e si vedrà che Dante pione all’inferno, ciascuno in un apposito luogo, tutti coloro i quali praticano simili male arti. Alla settima categoria infine appartengono quanti indulgono nel peccato della irreligiosità, che coniste in qualcosa di più e di peggio del rifiuto o del disprezzo della religione: nella precisa volontà di sbeffeggiare e offendere le sue verità, di oltraggiarle, sia prendendosela direttamente con Dio, sia con le cose o le persone a Lui dedicate. Si pensi, ad esempio, alla profanazione delle Femen nella basilica di Notre Dame del febbraio 2013. Davanti a tutto ciò, una cosa si deve fare anzitutto: pregare e chiedere perdono a Dio.

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Chad Greiter su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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