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Non è più cattolicesimo, ma bergoglismo

In un recentissimo e ben documentato articolo, Sandro Magister ha evidenziato in quale maniera il papa Francesco sta letteralmente adulterando il cattolicesimo, stravolgendo e falsificando la dottrina. Si tratta di un metodo estremamente semplice, per non dire rozzo: eliminare quello che della dottrina non gli va, e parlare solo di quella parte che incontra la sua approvazione. Non per nulla ha detto, più volte, che la dottrina è una cosa buona solo se unisce, mentre diventa una cosa deprecabile se divide; stranissimo concetto, che diventa invece chiaro e perfino lapalissiano tenendo conto della sua strategia complessiva: trasformare il cattolicesimo in bergoglianesimo. È persino superfluo dire che l’Abc dell’onestà intellettuale, sempre e dovunque, consiste nello sforzo sincero di comprendere quel che ci vien detto, o quel che stiamo leggendo; poi, nel farne una sintesi; infine, nel discuterlo e ed, eventualmente, nell’esporlo ad altri, senza alterarlo, ma conservando la sua unità intrinseca, la sua coerenza logica, la sua coesione concettuale.

Se, per esempio, giunti in una città che non conosciamo, domandiamo le indicazioni necessarie a raggiungere il luogo X, e colui al quale ci siamo rivolti ci dice: Prenda la prima strada a destra, e arriverà, mentre l’informazione esatta e completa avrebbe dovuto essere: Prenda la prima strada a destra e poi la seconda a sinistra, e arriverà, è evidente che quella persona non si è comportata onestamente nei nostri confronti, non ci ha detto tutto quel che era necessario sapere, per arrivare alla nostra destinazione. E pazienza se avesse detto: Aspetti, io so solo che bisogna girare alla prima traversa a destra, e poi non mi ricordo, non so bene, provi a domandare ancora, egli si sarebbe comportato lealmente nei nostri confronti: si sarebbe assunto la responsabilità di quella parte del vero che conosce, e ci avrebbe informati che, a partire da un certo punto, avremmo dovuto sbrigarcela da soli. Questo è un comportamento onesto. Un altro esempio che potremmo fare è quello del testimone di un evento. Se il signor Tal dei tali vi riferisce che il suo amico X è stato picchiato dal signor Y, e nient’altro; se tace quel che era accaduto subito prima, e a cui lui aveva assistito, cioè il fatto che il signor X aveva pesantemente insultato e provocato il signor Y, anche in questo caso siamo in presenza di una grave, sostanziale alterazione della verità, e, quel che è peggio, di una alterazione fatta in perfetta mala fede. Chi è in buona fede, dice: A quel che ne so; per quanto mi risulta...; ma chi è in malafede, dice: So io come sono andare le cose, ora te lo racconto, e poi tace una parte della verità, per indurci a credere qualcosa che non è esatto, che non è veritiero, se si considerano i fatti nella loro interezza, allora costui sta agendo in maniera intellettualmente disonesta. Ci sta ingannando, ci vuole strumentalizzare: vuole portarci a credere una cosa diversa dal vero. Ricordiamo il concetto tomista (e aristotelico) di cosa sia la verità: adaequatio rei et intellectus, vedere la cosa come realmente è, vederla non come sembra a noi, ma come effettivamente essa è (concetto affossato da Kant, che mette fra parentesi la cosa in sé, o noumeno, e si dedica esclusivamente alla conoscenza del fenomeno, della cosa come appare). Dunque, chi spaccia la sua visione della verità, parziale e personale, per la verità, è simile a colui che tace una parte della verità e dà ad intendere che la parte sia il tutto, tacendo intenzionalmente quel che non vuole che noi sappiamo. La cosa è tanto più grave se il falsificatore della verità è una persona autorevole, che gode di una carica importante e di un alto prestigio, se indossa un abito che lo pone automaticamente al di sopra di ogni sospetto: un giudice, per esempio, il quale non rappresenta più se stesso, quando siede in tribunale, ma rappresenta la legge, per cui dovrebbe deporre ogni impulso o pregiudizio personale e porsi interamente, totalmente, al servizio della giustizia, attraverso la ricerca della verità (giudiziaria). Ma la verità giudiziaria è sempre una verità relativa, per quanto il giudice possa e debba sforzarsi di avvicinarsi alla verità vera, intera, perfetta. Questa, nondimeno, gli sfuggirà sempre, perché solo Dio può conoscerla. 

Il caso della religione è diverso: qui siamo nel cuore della verità, della Verità in se stessa. Ecco perché il relativismo e l’indifferentismo religioso sono logicamente impossibili: non possono esserci due o più Verità assolute, due o più Verità con la maiuscola. Ed ecco perché la frase di papa Francesco, Dio non è cattolico, è assurda: ma certo che Dio è cattolico, invece. Come osservava il filosofo Jean Guitton: Mi dispiace per gli altri, ma Dio è cattolico. Il cattolico crede questo, oppure non è cattolico. Il cattolico è un signore che prende sul serio Gesù Cristo: che crede a quel che Gesù ha detto, e crede che la Chiesa lo abbia fedelmente tramandato nel corso di questi duemila anni. Ergo, il nuovo generale dei gesuiti, Sosa Abscal, il quale afferma che non si può sapere cosa disse realmente Gesù Cristo, non è cattolico; ergo, se si spaccia per cattolico, mente, e aggiunge l’eresia alla menzogna; ergo, egli non dovrebbe essere a capo di un importantissimo istituto religioso cattolico; ergo, se nessuno al di sopra di lui, il papa, e nessuno intorno a lui, fra i 18.000 suoi confratelli sparsi in 112 nazioni, ha trovato da obiettare alle sue stupefacenti dichiarazioni, se ne deve dedurre che nessuno di essi è cattolico, che nessuno ha coscienza di cos’è il cattolicesimo, né gli sta a cuore la difesa della verità, che, ripetiamo, per un cattolico è quel che Gesù ha detto e fatto, così come tramandato dalla Tradizione e dalla Scrittura, entrambe interpretate dal Magistero ecclesiastico. Aggiungiamo che non vi è neanche onestà intellettuale in quella affermazione di padre Sosa, come pure nel silenzio assordante con cui la Chiesa l’ha accolta, o ha fatto finta di non averla udita, mentre l’hanno sentita benissimo i non cattolici e soprattutto i nemici della Chiesa, i quali sono stati pronti a servirsene nel modo che a loro torna comodo, e che si può bene immaginare. Infatti, se un personaggio che ricopre un importante ruolo istituzionale – a qualunque istituzione appartenga – dichiara pubblicamente una cosa che configge in maniera radicale con ciò che quella istituzione rappresenta, e quindi anche con il ruolo che egli ricopre, è evidente che va contro il mandato ricevuto, contro il bene di quella istituzione, contro la pace dei suoi membri, ai quali le sue parole provocano turbamento, confusione, amarezza. Eppure lo fa. Se prima rinunciasse al suo ruolo; se prima deponesse il suo abito ufficiale, ed uscisse da quella istituzione, riacquisterebbe il diritto di agire o di parlare liberamente, anche in conflitto con l’idea e con i valori rappresentati dalla istituzione stessa. Ma se resta al suo interno, se conserva tranquillamente la sua carica, anzi, ne sfrutta la visibilità, e poi si esprime in maniera incompatibile sia con la carica, sia con l’istituzione, allora egli non è che un agente provocatore, un nemico travestito da amico, un lupo che si fa passare per custode del gregge.

E ora torniamo alla "dottrina" di papa Francesco. Sandro Magister, come abbiamo detto, compone un florilegio delle sue omelie di Santa Marta e delle sue udienze generali, dalle quali appare chiaramente la selezione intenzionale e del tutto arbitraria, del tutto illecita, del tutto fuorviante e tendenziosa, che egli fa della Sacra Scrittura. Chi fosse interessato, può andare a leggersi l’articolo completo, largamente accessibile in rete. Noi ci limiteremo ad evidenziare il punto-chiave: la radicale "revisione" della teologia dei Novissimi, cioè delle verità ultime del cristianesimo: morte, giudizio, inferno e paradiso. Nell’udienza generale dell’11 ottobre 2017, in Piazza san Pietro, il papa ha detto che non bisogna temere il giudizio finale, perché, parole testuali, al termine della nostra storia c’è Gesù misericordioso, per cui tutto verrà salvato. Tutto (con la parola tutto ripetuta due volte ed evidenziata in grassetto nel testo scritto, distribuito ai giornalisti).E meno di due mesi prima, il 23 agosto, sempre in una udienza generale, aveva descritto l’Aldilà come una immensa tenda, dove Dio accoglierà tutti gli uomini per abitare definitivamente con loro. Tutti gli uomini? E l’inferno e il paradiso? Non ci sarà alcuna differenza fra il destino dei malvagi e quello dei buoni?  Se il papa la pensa così, allora aveva ragione Eugenio Scalfari nel riferire che, dai colloqui avuti con lui, aveva tratto la conclusione che, per Bergoglio, inferno e paradiso non esistono, tanto meno il purgatorio, perché sono solo miti; i malvagi, secondo il pontefice, cesseranno di esistere, i buoni vivranno per sempre. In ogni caso, niente giudizio: il giudizio finale è solo il soggetto di tante opere artistiche, ma nulla di più. Come fa notare Sandro Magister, l’immagine della tenda è tratta dal Libro dell’Apocalisse; ma il papa si è guardato bene dal citare le parole di Gesù nella loro interezza (Ap. 21, 8): Ma per i vili e gl’increduli, gli abietti e gli omicidi, gl’immorali, i fattucchieri, gli omicidi e per tutti i mentitori è riservato lo stagno ardente di fuoco e di zolfo. È questa la seconda morte. E, qualora non bastassero le parole dell’Apocalisse, ci sono sempre, esplicite, chiarissime, inequivocabili (padre Sosa permettendo…), quelle pronunciate da Gesù nel Vangelo, per esempio queste (Matteo, 25, 41): Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e i suoi angeli! E ancora, nella parabola del banchetto nuziale, il re si indignò, mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città (Matteo, 22, 7), mentre per colui che si è introdotto nel convito, ma senza indossare l’abito nuziale, il re ordina ai suoi servi: Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori, nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti. Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti (Matteo, 22, 13-14). Pochi gli eletti: chiaro, no? E in quella dei vignaioli omicidi, chiarissima allusione al comportamento del "popolo eletto" verso i profeti e verso il Figlio di Dio, fa dire ai suoi interlocutori, senza smentirli: Farà morire miseramente quei malvagi e darà la vigna ad altri vignaioli che gli consegneranno i frutti a suo tempo (Matteo, 21, 41). Ce n’è abbastanza per dire che Gesù descrive il giudizio come un vero giudizio, e l’inferno e il paradiso, la beatitudine e la dannazione eterna, come delle verità reali, concrete, e non come dei simboli? E che la dannazione, in particolare, è il destino che attende i malvagi, e quindi che non è vero che tutti gli uomini saranno accolti da Dio sotto la sua "tenda", per abitare in eterno con Lui? Sì, o no? E se sì, come va che tutto il clero, i cardinali, i vescovi, i sacerdoti, e anche i fedeli laici, hanno lasciato correre, mentre Bergoglio diceva quelle cose? Ce n’è abbastanza o no, per trarre la conclusione che il vangelo di papa Francesco non è il Vangelo di Gesù Cristo, ma quello di Fabrizio De André, dove tutti vanno in paradiso con l’autostrada, come dice la Preghiera in gennaio ("preghiera", si badi, non "canzone": perché la teologia, nella Genova di De André e di don Andrea Gallo, la fanno i cantanti e i transessuali, non certo i teologi): Venite in Paradiso, là dove vado anch’io, perché non c’è l’inferno nel mondo del buon Dio. Chiaro, no? Dio è buono; dunque, l’inferno non esiste: è una invenzione dei preti: quelli brutti e cattivi, di prima del Concilio; non quelli buoni e bravi, di dopo il Concilio; non quelli di strada, che amano i poveri e i peccatori in quanto peccatori, quelli che non sono "rigidi", ma sempre e solo misericordiosi.

E lo stesso "metodo", se così vogliamo chiamarlo, Bergoglio lo adopera non solo per quel che riguarda la dottrina sui Novissimi, ma per tutta la dottrina cattolica; anzi, anche per la morale cattolica. Un tipico esempio è l’esortazione apostolica Amoris laetitia, nella quale, fatto salvo, in teoria (ma molto, molto in teoria!) il principio della indissolubilità del matrimonio, espresso con tanta forza e con tanta chiarezza da Gesù Cristo, secondo le sue parole tramandateci dai Vangeli (sempre con il gentile permesso di padre Sosa, ben s’intende), in pratica lo sottopone all”ermeneutica del discernimento", col risultato di farlo evaporare: indissolubilità, sì, certo, però… bisogna vedere se…, a condizione che…, tenendo conto del fatto che…, e via distinguendo e "discernendo". Ma questo non è più il Vangelo di Gesù Cristo, questo è un manuale di situazionismo, ossia di relativismo: le cose non sono giuste o sbagliate in sé, vere o false in sé, buone o cattive in sé, ma tutto dipende dal contesto e dai singoli casi; e su tutto, sempre e comunque, prevale la misericordia di Dio. Non ci sono più buoni e cattivi: sono tutti buoni, perché Dio ama tutti. Naturalmente, questa è una enorme sciocchezza e una eresia teologica bella e buona: perché Dio ama, sì, tutti, ma odia il peccato; e il peccatore che non si pente, ma si ostina e si indurisce nei suoi peccati, inevitabilmente si perde, per quanto Dio lo ami e vorrebbe che si salvasse. Dire che Dio salva tutti e premia tutti, è la stessa cosa che negare il libero arbitrio, e ridurre gli uomini a delle marionette nelle mani di Dio. Strano esito per una "teologia" che, neanche tanto in segreto, mirava all’esaltazione dell’uomo. Però, se non altro, si capisce perché Lutero piace tanto a Bergoglio, e perché questi si è perfino lasciato scappar di bocca, sull’aereo che lo riportava a casa dall’Armenia, nel 2016, che, sulla predestinazione, siamo tutti d’accordo che Lutero aveva ragione… Certo: se si vuol negare che l’uomo sia chiamato a collaborare alla propria salvezza, bisogna abolire l’inferno e il paradiso (perché il paradiso, senza l’inferno, è un concetto illogico e insostenibile, come lo sarebbe l’idea della luce se non esistesse il buio). Anche se l’inferno, per Lutero, esisteva, eccome. Ma anche con Lutero, Bergoglio fa la stessa cosa che con Gesù Cristo: prende quel che gli serve, "lascia" quel che non gli va bene. E fa dire al suo fedelissimo, padre Sosa, che il diavolo non esiste: logico. Se non c’è l’inferno, che ci sta a fare il diavolo? Ma allora da dove viene il male? Mistero. Forse, a ben guardare, non c’è neppure il male. Logico anche questo, in fondo: visto che papa Francesco non parla mai del peccato, né della necessità del pentimento…

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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