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11 Ottobre 2017L’altro giorno passavo accanto a un gruppo di persone, tutti insegnanti di matematica; stavano parlando fra di loro, raccolti in cerchio, e si vedeva che non erano le solute chiacchiere indifferenti, ma che stavano facendo un discorso serio. In un momento di silenzio, proprio mentre sfioravo il gruppo, uno di loro se ne uscì, con aria estatica, con queste parole: Ah, per me la matematica è dio! La frase mi ha colpito e non ho smesso di ripensarci.
Che bello, penserà qualcuno: ecco finalmente qualcuno che crede nella propria professione, che la prende con estrema serietà; magari tutti quanti facessero la stessa cosa, ciascuno nel proprio ambito lavorativo. Mi sembra, al contrario, che vedere le cose sotto questa luce sia del tutto sbagliato e fuorviante; il concetto espresso in quella frase racchiude ben altro: la divinizzazione di una scienza umana, la matematica; peraltro, la più prestigiosa di tutte le scienze — che formano, a loro volta, la più prestigiosa di tutte le forme di sapere – della quale, guarda caso, colui che la divinizza, è anche l’esperto, il tecnico, e quindi, se la matematica è "dio", egli è il suo sacerdote e anche, perché no, il suo profeta. Immagino che sia bello sentirsi il profeta di una nuova religione di salvezza: è una cosa che gratifica, che fa sentire importanti, o meglio, insostituibili. Meno male che ci sono i professori di matematica, allora, che c’introducono alla verità della nuova religione e che ci spiegano, almeno fino a un certo punto, i misteri di "dio". Ma in effetti non si tratta di misteri, bensì, semplicemente, di problemi: i problemi della matematica, appunto. E mentre i misteri sono destinati a rimanere tali, perché quella è la loro natura, i problemi, prima o poi, si risolvono. Anche questo, per un certo tipo di persone, deve essere simpatico e gratificante: sentire di avere in sé stessi l’intelligenza necessaria e sufficiente per sciogliere i problemi della nuova "teologia", per penetrare nelle sue pieghe, per divenire simili a dio, di stare alla pari con lui. Un dio del quale si risolvono i problemi, è un dio alla nostra portata, un dio democratico, che piace molto alla gente; e un dio che si lascia "risolvere" dagli intelligenti, mediante l’intelligenza, è un dio che piace appunto agli intelligenti, perché essi sanno che non tutti sono capaci di innalzarsi a quel livello. È un dio abbastanza democratico da offrirsi a tutti, ma anche abbastanza aristocratico da concedersi a pochi: ai professori di matematica, per esempio.
Immagino che i professori di scienze naturali abbiano altrettanto diritto di pensare che dio sia la natura; e i professori di storia, di pensare che dio sia la storia; i professori di filosofia, che dio sia il pensiero; i professori di educazione musicale, che dio sia la musica; e così via. Ciascuno assolutizza e divinizza quel che conosce, quel che gli è familiare, quello di cui apprezza la bellezza e le altre qualità. Per un grande chef, dio sarà, probabilmente, l’arte della cucina; per un apicoltore, dio sarà l’ape (o magari il miele); e per un calzolaio, dio sarà la scarpa, oh, ma non una scarpa qualsiasi, bensì la Scarpa ideale ed eterna. E così, un poco alla volta (anzi, piuttosto in fretta), l’uomo contemporaneo, così fiero della sua civiltà moderna, sta ritornando da dove erano partiti i popoli primitivi: all’adorazione dei feticci, magari teriomorfi. Come per un antico egiziano era giusto adorare un dio dalla testa di sciacallo, o un altro dalla testa di coccodrillo, e come per un aborigeno era giusto e naturale adorare il cielo, le nubi, la pioggia, le sorgenti: a ciascuno il suo dio, e a ciascuno i suoi diavoli. Jean-Marie Vianney, il santo curato d’Ars, ebbe a dire, una volta, una grandissima verità, ma una verità estremamente inquietante: Lasciate una parrocchia senza prete per vent’anni, e quegli uomini finiranno per adorare le bestie. Come ne Il signore delle mosche di William Golding, dove una tribù di ragazzini rinselvatichiti finisce per adorare una testa di maiale putrefatta, che attira nugoli di mosche, e che esige un culto brutale e sanguinario, fatto di sacrifici umani. Proviamo a riflettere: c’è davvero tanta differenza fra un professore di matematica che adora la matematica come il suo dio, un gruppo di ragazzi selvaggi che adorano una testa di maiale, e una parrocchia abbandonata dal prete, che si riduce ad adorare le bestie?
Il fatto è che la relazione dell’uomo con Dio è parte integrante dello statuto ontologico della creatura umana; se viene mutilata da una cultura irreligiosa e atea, tale relazione, cacciata dalla porta, rientra dalla finestra, perché il bisogno di Dio è insopprimibile: però rientra male, sotto spoglie mostruose, irriconoscibili; rientra non per innalzare l’uomo verso il Cielo, cioè verso la Verità e la pace, ma per frastornarlo ulteriormente, per confonderlo, per accelerare il processo di alienazione, di autentica follia che lo sta possedendo, appunto a causa della impostazione materialistica della civiltà moderna. La civiltà moderna è nata da una deliberata ribellione contro Dio e dal progetto consapevole di porre al suo posto qualcos’altro, un principio puramente umano; essa è nata come un disegno per distruggere il cristianesimo e per estromettere per sempre il Vangelo dalla coscienza e dalla memoria degli uomini. Il tentativo più rozzo, in questo senso, è stato quello del comunismo, che non ha dato buoni risultati, visto che, non appena caduti i regimi comunisti, i cristiani sono usciti dalle catacombe e hanno riempito nuovamente le chiese, o le hanno ricostruite; il tentativo più abile e subdolo è quello, tuttora in atto, di avvelenare il cristianesimo dall’interno, di svuotare il Vangelo, di capovolgere il suo insegnamento morale: è la strategia perseguita, finora con notevole successo, dai poteri occulti massonici, radicali e gnostici. Mai l’offensiva contro la Verità e contro Gesù Cristo era giunta così lontano, mai era arrivata a minacciare dall’interno, e in maniera così grave, l’opera della divina Redenzione. È il diavolo che vuol prendersi la rivincita, dopo la sconfitta patita sulla Croce: perché la Passione, Morte e Resurrezione di Cristo sono state la sua più grande sconfitta. Ora egli cerca la rivincita, e, da quel maestro di menzogna che è sempre stato, si serve di una subdola penetrazione entro la cittadella, per insidiare, senza averne l’aria, la Sposa di Cristo e vanificare i frutti della Redenzione.
La sete di Dio fa parte dell’anima umana; un’anima umana che non la sente, che non la prova, è stata anestetizzata e vivisezionata da una serie d’interventi maligni sapientemente diretti; sarebbe quasi come estrarre un cuore umano, lasciando tuttavia quella persona apparentemente in vita. Diciamo apparentemente, perché l’anima, privata di Dio, è ancora viva solo in apparenza. Si rileggano questi versi (2-8) del bellissimo Salmo 62:
O Dio, tu sei il mio Dio, all’aurora ti cerco,
di te ha sete l’anima mia,
e anela la mia carne,
come terra deserta, arida, senza acqua..
Così nel santuario ti ho cercato,
per contemplare la tua potenza e la tua gloria.
Poiché la tua grazia vale più della vita,
le mie labbra diranno la tua lode.
Così ti benedirò finché io viva,
nel tuo nome alzerò le mie mani.
Mi sazierò come a lauto convito,
e con voci di gioia ti loderà la mia bocca.
Nel mio giaciglio di te mi ricordo
Penso a te nelle veglie notturne,
tu sei stato il mio aiuto;
esulto di gioia all’ombra delle tue ali.
A te si stringe l’anima mia.
La forza della tua destra mi sostiene.
Ora, il punto è proprio questo: se la forza della destra di Dio sostiene l’uomo, colui o coloro i quali fanno in modo di togliere Dio dallo sguardo e dalla vita dell’uomo, secolarizzando la società o svuotando, dall’interno, la Parola di Dio, sino a trasformarla in un chiacchiericcio meramente terreno, da chi sarà sostenuto l’uomo, nelle battaglie della sua vita? Chi lo aiuterà a tenere lo sguardo rivolto verso le altezze, a far emergere la sua parte migliore? Chi lo salverà dal destino di sprofondare nel fango, nelle passioni disordinate, nei vizi più turpi, nella violenza e nell’autodistruzione? Perché questo è il destino dell’uomo che rimane senza Dio: scivolare nel fango, soccombere sotto il peso del male, che si trasmette di generazione in generazione in seguito al peccato di Eva e Adamo. Senza la Redenzione di Cristo, senza la presenza di Cristo, senza la santa Messa e il Sacrificio dell’Eucarestia, l’uomo è perduto. Bisogna dunque pensare che chi è interessato a togliere Dio dalla vita umana deve essere molto malvagio, deve perseguire una strategia veramente diabolica. Certo, la manovalanza di questa grandiosa operazione planetaria può anche essere formata da una schiera di volonterosi imbecilli, piccoli uomini e piccole donne bramosi di successo, potere, denaro e accecati dal frutto proibito della lussuria: perché, come diceva Ivan Karamazov, se Dio non esiste, allora tutto è permesso. E chi predica la liceità e la naturalezza del divorzio, dell’aborto, dell’eutanasia, delle libere unioni, della libera droga, dei matrimoni contro natura, della fecondazione eterologa e dell’utero in affitto, costui vuole trasformare il mondo nel cupo teatro delle sue dissolutezze e delle sue aberrazioni, per torre il biasmo che potrebbe colpirlo, se l’umanità conservasse un minimo di senso morale. Si faccia un semplice ragionamento e ci si chieda a chi giovi un mondo senza Dio, un mondo dal quale il Vangelo sia stato sradicato, e nel quale la speranza cristiana sia stata soppressa, sostituendola con un edonismo radicale e con un luciferino orgoglio dell’uomo che vuol celebrare se stesso.
Forse i tempi descritti nel Libro dell’Apocalisse sono arrivati; forse sono proprio questi, che noi stiamo ora vivendo. Un papa, Giovani Paolo I, è morto dopo trentatre giorni di pontificato: una delle prime cose che aveva detto, dopo l’elezione, era stata questa: voglio innanzitutto sradicare la Massoneria, che si è insinuata nella Chiesa. Un altro papa, Benedetto XVI, ha annunciato quasi da un giorno all’altro le sue "dimissioni", più di quattro ani fa, e non ha mai spiegato in maniera convincente, o meglio, non ha mai spiegato in una maniera qualsiasi, perché lo abbia fatto: incredibilmente, nessuno gliel’ha chiesto, e un miliardo e mezzo di cattolici, o sedicenti tali, hanno preso per buona la versione della stanchezza e dell’età: come se un papa potesse addurre simili ragioni per togliersi dalle spalle la responsabilità di condurre la navicella di San Pietro, una volta che gli sia stata affidata. Poi è stato eletto un altro papa, che è stato salutato con gioia ed entusiasmo dagli ambienti massonici, i quali, da allora, non hanno smesso un giorno di lodarlo ed incensarlo; mentre lui, da parte sua, non ha quasi lasciato passare un giorno, dopo la sua elezione, senza sferrare un nuovo colpo contro la dottrina e contro la fede cattolica, senza dileggiare i fedeli cattolici, confonderli, turbarli, scandalizzarli, offenderli, rimproverarli, e senza agire direttamente contro i più decisi e coerenti depositari della fede e della tradizione francescana e mariana: i Francescani e la Francescane dell’Immacolata. Senza che nessuno glie ne domandasse conto; senza che nessuno, come nel caso delle sconcertanti, drammatiche "dimissioni" del suo predecessore, gli ponesse alcuna domanda. Nessuno: fra le centinaia di voci di cardinali, vescovi, teologi, intellettuali suoi estimatori, che ogni giorno cantano le sue lodi e magnificano il suo operato, i vari Paglia e Galantino, i vari Melloni e Cardini, nessuno ha mai osato domandargli: Santo Padre, per quale ragione lei ha fatto commissariare i Francescani e le Francescane dell’Immacolata? Per quale ragione ha riservato loro un trattamento così duro? Per quale ragione li ha trattati come dei cattivi soggetti, li ha umiliati, li ha praticamente sequestrati nelle loro case, proibendo ai vescovi di accoglierli come sacerdoti nelle rispettive diocesi?
Torna perciò, ineludibile, incalzante, la domanda: se l’uomo senza Dio sprofonda nel fango; se l’uomo senza Dio è destinato ad autodistruggersi; se solamente con Dio l’uomo ritrova se stesso, sviluppa la sua parte migliore, chi può essere così malvagio da togliere all’uomo la relazione con Dio, la coscienza di Dio? E chi può avere la pazienza, la perfidia e l’abilità di avvelenare, dall’interno, le sorgenti della Rivelazione cristiana, in modo da vanificare l’opera redentrice di Cristo? Forse qui sono all’opera delle forze ben superiori a quelle dell’uomo stesso. Prepariamoci dunque a una dura battaglia, con l’aiuto di Cristo, al quale affidiamo le nostre anime. Poiché la battaglia che stiamo per combattere non è contro creature fatte di sangue e di carne — dice san Paolo, Efesini, 6, 12 — ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti.
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