
Quando al posto delle Dolomiti c’era il mare tropicale
5 Ottobre 2017
Che cos’è il bene?
5 Ottobre 2017Si credono perennemente all’avanguardia, fin da prima del Concilio Vaticano II, e non vedono la contraddizion che nol consente: essere perennemente all’avanguardia significa essere perennemente alla retroguardia, perché il loro dio, la modernità, corre comunque più in fretta di loro, e chi è all’avanguardia oggi, sarà un fossile vivente dopodomani. Nel 1965 si credevano e parevano dei rivoluzionari; oggi si credono ancora tali, ma sono semplicemente dei cascami di un passato morto e sepolto in tutto il resto del mondo: solo qui, nella neochiesa catto-progressista di papa Bergoglio, possono illudersi che non sia cambiato niente e che loro siano sempre giovani e ruspanti come lo erano più di cinquant’anni fa. Parliamo dei preti di sinistra, modernisti e "di strada": gente invecchiata male, come il vino inacidito nelle botti: non hanno capito niente né della Chiesa, né del mondo moderno, tanto è vero che hanno creduto di poter unire e mescolare le due realtà, tranquillamente, come se fosse la cosa più naturale e più giusta, il loro destino e la loro missione storica: ma sono solo dei falliti, sbugiardati dai fatti e così cocciuti e presuntuosi, così malati di superbia e narcisismo, da non voler neppure rendersene conto. Piuttosto, si farebbero ammazzare. Mettiamoci nei loro panni: non è facile riconoscere di aver sbagliato tutto, ma proprio tutto, e fin dall’inizio; non è facile ammettere di aver vissuto una vita inutile, o peggio, da pastori infedeli del gregge. Andando dietro a loro, le povere bestie si sono smarrite per la strada: e molte, infatti, sono andate a finire chissà dove. Ma costoro, mai un dubbio, mai una riflessione, mai un ripensamento: eh, no, ci mancherebbe: sono sempre nel giusto, loro, perché sono dalla parte di Gesù Cristo e del "vero" vangelo. O, almeno, così credono e così dicono. Per ammettere un fallimento così clamoroso, così totale, così irrimediabile, ci vuole del fegato; ma non ne hanno. Non ce l’hanno neppure adesso, che giocano sul sicuro perché sono riusciti a impadronirsi, con l’aiuto di questo papa, di tutte le posizioni chiave in seno alla Chiesa, e quindi hanno la possibilità di proclamare per legge le loro personali e discutibilissime opinioni, sino al punto di spacciare l’eresia per vera dottrina, e di pronunciare autentiche bestemmie, convinti di meritare l’applauso dei fedeli. Accecati dall’orgoglio, sono in ritardo di oltre mezzo secolo: un ritardo che è anche di tipo culturale, e che loro soli non riescono a vedere, mentre, dall’esterno, si vede benissimo: come un ragazzo che se ne andasse in giro con il frontino del berretto girato all’indietro, la maglietta della Columbia University e lo skateboard per far vedere e quant’è bravo: evidentemente, costui s’è accorto che questa era "l’uniforme" prescritta dalla moda giovanile di qualche decennio fa. E così loro. Sarebbero patetici, se non fossero responsabili di danni spirituali gravissimi nei confronti del gregge che avrebbero dovuto custodire, accompagnare, guidare. Non l’hanno guidato: l’hanno spinto in pasto ai lupi famelici.
Ne renderanno conto, un giorno. Ma, intanto, si godono il "meritato" trionfo. Come se lo gode la signora Agueda Banon, la portavoce del sindaco di Barcellona, Ada Colau (pardon, volevamo dire della sindaca: quella che preferisce i migranti ai turisti, sono parole sue); la quale si faceva fotografare a gambe larghe mentre urinava da sotto la minigonna in mezzo alla strada, la pozzetta sotto le scarpe, la sigaretta in bocca, per far vedere che non indossava le mutandine e che non solo i maschietti sanno fare la pipì stando in piedi, ai tempi in cui militava nel gruppo Donne che amano il porno. Sono della stessa pasta: amano la strada, nel senso più basso della parola: ciò che desiderano è far parlare di sé, quella signora con la scusa dell’arte (ma quale?), i preti di strada con la scusa del vangelo (il loro). L’importante è esibirsi, far parlare di sé, e, soprattutto, scandalizzare. Vogliono essere delle persone scomode; già, ma scomode per chi? Come mai, se sono davvero scomode, la stampa laicista le corteggia, le televisioni le inseguono, e gl’intellettuali liberal e radical si profondono in elogi e complimenti nei loro confronti? Come mai le banche, i politici di peso, il predente della Repubblica, il presidente del Consiglio, i poteri forti, perfino George Soros, tutti simpatizzano con loro e con le loro "battaglie"? Nel caso dei preti di strada, che gongolano a esser considerati preti "scomodi", e che, se non ricevono tale appellativo da qualcun altro, se lo appendono sul petto da se stessi, come una medaglia: siamo proprio sicuri che tale appellativo sia un titolo di merito e che stia ad indicare un "vero" uomo di Dio, un autentico discepolo di Gesù Cristo? Vediamo. Costoro risultano scomodi, semmai, alla Chiesa di cui fanno parte, non ai nemici del Vangelo, non a quelle forze, a quei partiti, a quei movimenti, a quelle culture, che vorrebbero estirpare l’influsso del cristianesimo dalla società, e farne sparire anche il ricordo; tutto al contrario: con questi ultimi filano in perfetto amore e accordo, tanto è vero che, per commemorare un libro sul defunto Marco Pannella, i radicali si sono affrettati a chiamare un monsignore, oh, certo, "scomodo", molto scomodo: difatti gli hanno messo davanti i microfoni di Radio Radicale e gli hanno gentilmente permesso di tessere un superlativo, iperbolico panegirico del defunto Marco, detto Giacinto, Pannella, esaltandone fino alle stelle le preclare virtù morali, definendolo uomo di moralità altissima ed esortando tutti quanti a prenderlo come modello di vita e d’impegno sociale. Perfetto. Dunque, ripetiamo la domanda: per chi e a chi sono scomodi, costoro, ammesso che lo siano? Non per i nemici della Chiesa; non per i nemici del Vangelo; al contrario, per i cattolici che restano radicato nel Vangelo autentico, e per la Chiesa, prima che questa cadesse in mano ai modernisti e ai progressisti, diciamo pure ai massoni che facciamo prima, cioè a partire dal Concilio Vaticano II (compresi i loro amici internazionali, come i massoni ebrei del B’Nai B’rith). Ah, questo sì: scomodi per il Vangelo, non scomodi per il mondo; per il mondo, anzi, comodissimi, addirittura provvidenziali: se non ci fossero, bisognerebbe inventarli. E chi inviterebbe nei suoi melensi e subdoli salotti televisivi, Corrado Augias, se non avesse il prete o, meglio ancora, il vescovo "scomodo" di turno, per esempio l’arcivescovo di Udine, Mazzocato, debitamente "francescano", nel senso bergogliano della parola, e progressista, e inclusivo, e immigrazionista, e, se possibile, omosessualista, e misericordioso, ci mancherebbe. E chi andrebbe da David Parenzo, sui suoi salotti televisivi, se non ci fosse il Mosè di turno, che salva il suo popolo dalle acque, scaricandolo in massa sulle nostre sponde, il prete eritreo Mussie Zerai?
Strano: questi personaggi, una volta che hanno a disposizione il microfono e la visibilità che radio e televisione garantiscono a chiunque, si guardano bene dal servirsene per parlare di temi veramente scomodi, ma scomodi per il mondo: il divorzio, l’aborto, il materialismo, il consumismo, l’eutanasia, le unioni di fatto, l’utero in affitto, i cosiddetto matrimoni omosessuali. Giammai: parlare di queste cose sarebbe divisivo, e la parola d’ordine della neochiesa è: essere inclusivi, unire, unire, unire tutti, cani e porci. Dunque, ciò di cui essi parlano è sempre e solo quel che piace al mondo: parlano delle cose che mandano in brodo di giuggiole gli Augias e i Parenzo; e la prima delle cose che essi dicono, e per la quale ricevono applausi e complimenti, era parlar male della Chiesa, quanto ancora la Chiesa tentava di resistere alla bufera della massoneria e del modernismo; e parlar male, malissimo, dei pochi preti e vescovi che a quella bufera si oppongono, oggi, e quindi hanno delle riserve, o delle critiche, all’operato di papa Francesco, il "misericordioso". Inoltre, si guardano bene dal parlare di Gesù Cristo: parlano di problemi sociali, di accoglienza, d’integrazione, di solidarietà; parlano di farsi carico dei bisogni dei migranti, dei profughi, dei diversi: ma di Gesù, niente. Se proprio son costretti a nominarlo, il Gesù di cui parlano è l’uomo vissuto in Palestina duemila anni fa, morto e forse, chi lo sa, anche risorto, almeno così dicono i suoi discepoli (ma, come osserva finemente papa Francesco, che sia morto è storia, cioè un fatto, che sia risorto è fede, cioè opinione), non il Figlio di Dio, non il Verbo incarnato; novelli ariani, alla divinità di Gesù, da come parlano, non si direbbe proprio che ci credano molto. E nemmeno all’immortalità dell’anima. Quando mai parlano della morte, del giudizio, dell’inferno e del paradiso? Eh, no: questa non è musica per i sensibili orecchi degli Augias e dei Parenzo; questa, per loro, sarebbe una musica terribilmente stonata. Meglio, quindi, molto meglio, sorvolare su tutto ciò che potrebbe infastidirli; meglio far finta che il soprannaturale, nella religione cristiana, sia una sorta di opzione facoltativa; meglio lasciare i Santi, Gli Angeli e Maria Vergine alle vecchiette e ai frequentatori di santuari e pellegrinaggi, a quelli che vanno a recitar Rosari: hanno cose ben più importanti da fare, loro; e, soprattutto, ben più costruttive. Stanno lavorando per costruire una nuova chiesa e un mondo migliore per tutti: non è meraviglioso? Non ci si sente rimescolar le viscere dalla commozione, al solo pensiero?
C’era un prete veramente scomodo, ma nel senso giusto della parola, il quale, fin dagli ani Settanta del ‘900, aveva perfettamente capito quel che stava succedendo dentro la Chiesa, da parte della fazione progressista e modernista, e aveva individuato con matematica esattezza la strategia della "scomodità" quale via privilegiata di tutti i narcisisti e progressisti in tonaca e stola; e che, mentre il partito dei preti di sinistra — i David Maria Turoldo, gli Ernesto Balducci e tutti gli altri, con don Lorenzo Milani quale nume tutelare — si organizzava e tramava il colpo che poi è riuscito a mettere a segno, cioè la conquista dei vertici eccelsiastici, lui, con vero coraggio intellettuale, denunciava la demagogia e l’ipocrisia di tutte queste manovre e metteva a nudo la palese artificiosità di quei personaggi. Si chiamava Francesco Fuschini e non ha fatto carriera; era parroco di un paese qualsiasi, a Porto Fuori, periferia industriale di Ravenna, e scriveva sul Resto del Carlino, oltre che su l’Osservatore Romano. Oggi, però, l’Osservatore Romano – ne siamo certissimi – non gli pubblicherebbe un bel nulla, perché son cambiati i chiari di luna e mentre lui continuerebbe a dire, oggi, quel che diceva allora, la neochiesa ha fatto una inversione a "U" e sta dicendo e facendo tutto il contrario di ciò che la vera Chiesa diceva e faceva sino a qualche anno fa, e che sempre ha detto e fatto. In altre parole, don Fuschini era un prete coerente: merce umana assai rara, sul mercato delle vacche pronte a cambiar bandiera e a marciare secondo la direzione del vento. E si noti bene che don Fuschini non era affatto un prete "conservatore", se, con questo termine, di solito usato spregiativamente, si intende un prete che critica i suoi confratelli di sinistra, standosene comodo e ben caldo nel suo ufficio parrocchiale, vicino alla stufa, mentre quelli si prodigano nell’azione sciale; no: don Fuschini è stato quasi il creatore del quartiere di cui era parroco, e, quando non c’era proprio nulla, per prima cosa mise su, da zero, un asilo e un cinema-teatro. Insomma,era uno che si rimboccava le maniche e lavorava sodo per i suoi parrocchiani, per i bisognosi: ma senza lasciarsi incantare e strumentalizzare dalle sirene neomarxiste e guardando, anzi, con sconcerto e disapprovazione il proliferare di gruppi che si autodefinivano cattolici e anche, nello stesso tempo, comunisti o socialisti. Era uno che sapeva vedere lontano, molto più lontano di certi falsi profeti i quali raccoglievano consensi a più non posso, scimmiottando la retorica delle sinistre e che oggi, da parte della neochiesa, ricevono riabilitazioni e riconoscimenti a non finire. Don Fuschini, al contrario di quelli, dei don Milan e dei don Mazzolari, è stato pressoché dimenticato: logico, lui era scomodo per davvero, e non per finta.
Per farsi un’idea della sua lucidità e della sua schiettezza, ecco, per esempio, quel che scriveva del gran poeta della sinistra ecclesiastica, David Maria Turoldo, quando costui andava già per la maggiore e i mass media si contendevano, quasi azzuffandosi, le sue preziose interviste e le sue impagabili perle di saggezza (da: F. Fuschini, Preti scomodi, articolo del 17/04/1974; ripubblicato in: Parole poverette. Prediche tra religione e politica, Milano, Rusconi Editore, 1981, pp. 39-42):
San Giovanni Battista mangiava locuste e predicava nel deserto: ora, in tempo di vacche grasse e di esibizionismi ecumenici, abati, frati, preti e cattolici di nuova osservanza predicano sulle colonne dei giornali.. […]
Allorquando il referendum sul divorzio marciava alla sua scadenza, è entrata in agitazione tutta la confraternita degli "scomodi". Sono come i soldati di Gedeone: pochi ma chiassosi. Lascio da un canto gli uomini di truppa e chiamo fuori dai ranghi i due sergenti: l’abate Franzoni e il padre Davide Maria Turoldo. L’abate Franzoni batte la provincia lavorando i "lotta continua" alla maggior gloria degli onorevoli Fortuna e Baslini e alla maggior confusione del comunicato dei vescovi sul divorzi. Il padre Davide Maria Turoldo " ha sostenuto la sua posizione a favore del divorzio davanti a duemila persone".
Padre Davide Maria Turoldo coltiva il campicello delle muse. Componeva verso dolcemente malati di ermetismo. Ora che non canta più i mandorli in fiore ma setaccia problematica cattolica, la fama gli è entrata in convento dalla finestra. "Gli vengono chiesti interventi, conferenze, partecipazioni a dibattiti". Il padre David Maria Turoldo si tormenta d’angoscia. "Non ho tempo", risponde al telefono. "Sono come un cavallo da tiro al quale non staccano i finimento neppure la notte". Però (dice) "su queste cose di Dio andrei a parlare anche all’inferno". Che è indizio di virtù eroiche. Veramente, ci sarebbe piaciuto che il poeta Turoldo avesse composto almeno un sonetto per Solzenityn che è esule dalla patria come Dante; ma comprendiamo che c”è scomodità e scomodità.
Il "Corriere della Sera" è il conte zio, cioè il natural protettore dei padri divorzisti. Sono a pupilla delle sue pagine. Trattandosi pi di uno "scomodo" del valore i Turoldo, ha aperto l’ombrello di un tutolo su cinque colonne: "Il prete scomodo che si batte per il divorzio" tra una pioggia di annotazioni agiografiche. Vediamo il padre "in un gelido studio dell’abbazia di Sant’Egidio a pochi chilometri da Sotto il Monte, il paese di papa Giovanni. La pioggia batte sui vetri dello studio. Padre Turoldo tiene in testa il colbacco per proteggersi dal freddo, alza due mani enormi, sfoglia fasci di lettere; dice: "Non c’è pace per i preti scomodi".
Il padre Turoldo non immagina la mia "scomodità" di cattolico che non sa più dove siano i VERI pastori. La segnaletica dottrinale della Chiesa è girata a sensi opposti. È un cocomeraio, una babilonia, un cafarnaio di profeti. Accade ciò che il Manzoni racconta dei monsignori del duomo di Milano: "che l’arciprete predicava da una parte e il penitenziere dall’altra". Io qui non voglio (né so) fare la punta del problema del pro e del contro la legge sul divorzio: imiterò la tivù che si ava le mani come Pilato. Sono cattolico e non mi riconosco la vista più lunga di quella della Chiesa. Ma avessi la sapienza di Salomone e la Chiesa fosse più cionca di Noè, il trovarmi diviso da lei sarebbe per me un magone così ritorto e dolente che mi mancherebbe la voglia di proclamarlo in piazza a vantaggio di chi convertirebbe il mio dramma religioso in un motivo di propaganda politica.
Il mio lettore (e se c’è, è benevolo) permetta che mi appropri di queste parole del Tommaseo: "Il mio sentire né simulo né dissimulo. Né del sentire o del dire fo mercato. Volessi piacere avrei scelta altra strada. A ciascuno la sua. Ad altri il lucro, gli onori, i piaceri, la frequenza, gli applausi; a me la solitudine franca, la povertà senza rimprovero, le gioie arcane, i dolori calunniati, qualche affetto possente, qualche parola ispiratrice, qualche lacrima pia".
E aggiungo di mio che nessuno sentiva il bisogno dello schiamazzo dei preti "scomodi" nel gran mercato italiano del "sì" e del "no".
Non si poteva dire di più, né meglio. Se i preti "scomodi" non provavano e non provano alcun imbarazzo ad andare contro la dottrina della Chiesa, allora vuol dire che amano di più piacere al pubblico, che piacere a Dio. Oggi, però, le cose sono andate tant’oltre, che i preti scomodi, non più scomodi per nessuno, hanno preso il controllo della navicella di San Pietro e continuano ad essere scomodi solo per i veri cattolici, questi ultimi più che mai confusi e "incomodati", dal momento che, pur senza presumere di avere la sapienza di Salomone, non ci vuol molto a capire che la chiesa, o meglio la neochiesa modernista che ad essa si sta sostituendo, ha la vista terribilmente corta e terribilmente strabica, e che non è possibile in alcun modo andarle dietro, perché si cadrebbe nel fosso tutti quanti. Resta il profondo dolore di dover dire alla propria madre: Stai sbagliando, stai sbagliando proprio tutto; ma senza alcuna smania di andare in televisione. Senza contare che in televisione, a disapprovare la neochiesa di Bergoglio, non c’è pericolo che si venga invitati, semmai c’è il pericolo di venir cacciati fuori, com’è capitato a don Minutella, o divenir commissariati quasi come dei delinquenti, o poco meno, com’e accaduto, prima ancora, ai Francescani e alle Francescane dell’Immacolata.
Tuttavia, amare la Chiesa significa non lasciarla sola, non abbandonarla in mano a questi signori che, ieri "scomodi", oggi si sono comodamente insediati nelle facoltà teologiche, sulle cattedre episcopali e perfino sul soglio di san Pietro. Significa resistere alla tentazione di andarsene, di mollare tutto, di lasciar campo libero a costoro. Perché il dovere del cristiano è quello di stare con Gesù Cristo, sempre e comunque; e, se il clero sbaglia, ammonirlo e correggerlo; ma sempre ricordando che a non sbagliare mai è uno ed uno solo, il Vangelo di Gesù, non certo i suoi "scomodi", o pretesi "scomodi", interpreti ed esegeti della vulgata progressista e modernista.
Fonte dell'immagine in evidenza: RAI