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Libertà religiosa: la vera posta in gioco

Scusi, lei crede nel valore della libertà religiosa? Una classica domanda politicamente corretta, la cui risposta politicamente corretta è: Ma certo, si figuri; ci mancherebbe altro! Benissimo: tutti contenti, tutti soddisfatti, e tutti politicamente corretti. Non lo dice forse anche un solenne documento del Concilio Vaticano II, la dichiarazione Dignitatis Humanae, laddove si afferma (1, 2): Questo Concilio Vaticano afferma che la persona umana ha il diritto alla libertà religiosa? Chiaro, dunque: è la classica affermazione che mette tutti d’accordo, credenti e non credenti, nel segno del pluralismo, della democrazia e di tante altre cose belle ed eccellenti. C’è solo un piccolo particolare che non quadra. Se la domanda viene fatta a un cattolico, a un cattolico vero e non fasullo, a un cattolico che pesa le parole e che sa riflettere con la propria testa, e non a un eretico modernista travestito da cattolico, la risposta giusta dovrebbe essere: Niente affatto: davanti alla Verità, che è Dio, non esiste la libertà nell’errore; la sola libertà possibile è quella che riconosce la Verità, per ciò che essa è, così come è stata rivelata da Dio agli uomini e come la Chiesa, fondata sull’autorità di Gesù Cristo, l’ha preservata, custodita, difesa e tramandata nello spazio di duemila anni, senza arrogarsi la licenza di modificare neppure una virgola della divina Rivelazione. Almeno fino ai tempi presenti, tempi di eresia e di apostasia, nei quali il papa in persona, Francesco, può prendersi la licenza di dichiarare, tanto per fare un solo esempio, che, sulla questione della predestinazione, Lutero aveva ragione, e su questo siamo tutti d’accordo, anche noi cattolici (parole pronunciate dal papa ai giornalisti nel 2016, sull’aero che lo riportava in Vaticano dopo il viaggio pastorale in Armenia).

Intendiamoci: nessuno invoca l’Inquisizione, o l’Indice dei libri proibiti, o i roghi, o le tenaglie, o le prigioni; ci mancherebbe altro. Però, se si pensa e si afferma che la libertà religiosa è un "diritto" inalienabile dell’uomo, intendendo, con ciò, che ogni uomo ha il diritto di credere, o anche non credere, a tutto quel che gli pare, come se la Verità non esistesse, e come se tutti gli uomini non avessero l’obbligo di cercarla sinceramente, ma esistessero solo delle verità parziali e relative, tutte sostanzialmente equivalenti e, magari, intercambiabili, allora si pensa e si dice una cosa gravemente errata, e totalmente non cattolica. Questo è il punto: che la Verità non è negoziabile. Nel momento in cui il cattolicesimo accettasse di negoziarla, di negoziarla come principio, esso perderebbe la propria ragion d’essere e cesserebbe di esistere. Andate in tutto il mondo, battezzate e predicate il Vangelo; e se in un villaggio non vorranno ascoltarvi, scuotete la polvere dei vostri calzari contro di esso, e proseguite oltre. Questo è ciò che Gesù Cristo ha comandato di fare ai suoi discepoli. Non ha detto loro: Andate e dialogate; andate e meditate con i buddisti; andate e invitate i musulmani alla santa Messa; andate e dite ai Giudei che sono già nella verità, anche senza di Me; no: ma ha dato loro il solenne legato di diffondere la Verità. Il fatto che la mentalità laica, o piuttosto laicista, sia penetrata così a fondo nella società moderna, che gli stessi cattolici l’hanno a loro volta introiettata, senza neppure rendersene conto, non toglie che, per essi, la Verità non è un principio negoziabile, e il suo conseguimento non è cosa discrezionale, o, peggio, indifferente: cercare la verità è un dovere, e la Verità ultima è Cristo. Questo dice la Chiesa cattolica e questo si trova sia nella Scrittura che nella Tradizione, i due pilastri della Rivelazione cristiana; e se la chiesa, oggi, parla diversamente, allora non è la Chiesa cattolica, la vera Chiesa, ma una sua caricatura, una simulazione, un inganno: è la neochiesa gnostica e massonica, sincretista e relativista, quella che piace tanto al mondo e ai poteri forti del mondo, più che mai interessati a favorire la confusione e la manipolazione dell’umanità, ridotta a un gregge inconsapevole di consumatori inebetiti dal consumismo e da un progresso senz’anima.

Il papa Pio IX, nella veste solenne di custode del sacro Magistero, aveva chiaramente ribadito il principio della non negoziabilità della libertà religiosa, e definito un gravissimo errore il fatto di presentarla come un "diritto", in due documenti importantissimi: il Sillabo e l’enciclica Quanta cura, pubblicati insieme l’8 dicembre 1864, nella ricorrenza del’Immacolata Concezione. Ci piace, a questo proposito, riportare una pagina dell’ottima biografia di quel papa, scritta dallo storico Roberto De Mattei (da: R. De Mattei, Pio IX, Casale Monferrato, Alessandria, Piemme Editrice, 2000, pp. 182-185):

Tra le "prave opinioni e dottrine" "riprovate, proscritte e condannate" dal Sommo Pontefice è la libertà di religione e di coscienza, , dogma del liberalismo e fonte di tutti gli altri falsi diritti e libertà del mondo moderno. Il principio secondo cui "la libertà di coscienza e dei culti è diritto proprio di ciascun uomo", già condannato esplicitamente da Gregorio XVI, viene dunque altrettanto chiaramente colpito dal Magistero infallibile del Pontefice. Giova inoltre ricordare come la infallibilità non sia prerogativa del solo Magistero straordinario del papa, ma garantisca anche la continuità di insegnamento di quel Magistero ordinario costituito da singoli pronunciamenti (encicliche, allocuzioni, ecc.), pur non espressi secondo una particolare e solenne forma definitoria. Se infatti "in una unga e ininterrotta serie di documenti ordinari su uno stesso punto i Papi e la Chiesa universale potessero ingannarsi, le porte dell’inferno avrebbero prevalso contro la Sposa di Cristo. Essa si sarebbe trasformata in maestra di errori, alla cui influenza pericolosa e perfino nefasta i fedeli non avrebbero modo di sfuggire" (Arnaldo Vidigal Xavier Da Silveira, in "Cristianità", gennaio-febbraio 1975).

La condanna del relativismo liberale e del falso principio della neutralità religiosa degli Stati e della libertà di coscienza e di religione è, da parte del Magistero ordinario della Chiesa, ininterrotta e fu riaffermata, dopo i solenni documenti di Pio IX, dai suoi successori, a cominciare da Leone XIII, specialmente nelle encicliche "Immortale Dei" del 1° novembre 1885 e "Libertas" del 20 giugno 1888. "La società civile, proprio perché società" afferma Leone XIII in quest’ultima enciclica "deve riconoscere in Dio il padre e l’autore suo, e riverirne e onorarne il potere e dominio sovrano. Ragione dunque e giustizia condannano parimenti lo Stato ateo o, che è lo stesso, indifferente verso i vari culti e prodigo di uguali diritti a ciascuno di essi".

La Chiesa, hanno ribadito i Pontefici, non ammette il diritto all’errore: "Ciò che non risponde alla verità e alla norma morale, non ha oggettivamente alcun diritto né al’esistenza, né alla propaganda, né all’azione" (Pio XII, discorso del 6 dicembre 1953 ai giuristi cattolici). Nella vita sociale delle nazioni l’errore può essere al più tollerato come un fatto, mai ammesso come un diritto. Gli Stati hanno l’obbligo di riconoscere la verità e di rendere un culto ufficiale a Dio, loro sovrano e Signore. "Gli Stati non possono, senza empietà, condursi come se Dio non fosse, o trascurare la religione come di cosa estranea e di nessuna importanza, e adottarne indifferentemente una fra le molte: essi hanno invece l’obbligo di onorare Iddio in quella forma e in quel modo che Egli stesso mostrò di volere" (Leone XIII, "Immortale Dei").

Il liberalismo, che pone sullo stesso piano la verità e l’errore e rifiuta la regalità di Gesù Cristo sulla società, anticipa e costituisce la premessa sul piano politico, di quel relativismo morale che costituirà la piaga del XX secolo.

Quando la libertà si emancipa da "una verità oggettiva e comune", insegna Giovani Paolo II "la vita sociale si avventura nelle sabbie mobili di un relativismo totale"; l’esito nefasto di questi relativismo è che il "diritto" cessa di essere tale: "la democrazia, ad onta delle sue regole, cammina sulle strade di un sostanziale totalitarismo" (Giovanni Paolo II, "Evangelium Vitae", n. 20, 25 marzo 1995).

Eppure, sin dall’inizio del suo pontificato, nella famosa intervista a Eugenio Scalfari prontamente pubblicata dal quotidiano La Repubblica (molto simpatica, vero, tutta questa attenzione verso il Sommo Pontefice da parte dei mezzi d’informazione di orientamento massonico e radicale?), ha dichiarato, con la massima tranquillità, che l’importante, per ciascun essere umano, è seguire la propria coscienza, e che Dio perdona a chi segue la propria coscienza, concetto ribadito nel chiosare l’enciclica Lumen fidei (29 giugno 2013), in una lettera aperta a La Repubblica del 4 settembre 2013. E allora, come la mettiamo? O ha ragione Pio IX, oppure ha ragione Francesco: uno dei due è nella verità, l’altro nell’errore; ma chi erra in materia di fede è eretico, e se ad errare è un papa, allora la cosa è gravissima, e urta contro il dogma dell’infallibilità pontificia. Bisogna dunque vedere se si tratta realmente di espressioni del sacro Magistero, dotato della prerogativa della infallibilità in questioni di fede, oppure se si tratta di documenti, anche ufficiali – cosa che certamente non si applica ad una intervista o ad una lettera a un giornale — ma che non impegnano, direttamente ed esplicitamente, il Magistero stesso. Lasciamo la delicatissima questione agli esperti di diritto canonico e ritorniamo al punto centrale: la libertà di religiosa, che è una delle espressioni della libertà di coscienza. Per la cultura moderna, laica e individualista, si tratta di un principio fondamentale; per la Chiesa cattolica, si tratta della codificazione di una erronea concezione della libertà, dal momento che non può esservi la libertà di errare in cose riguardanti la morale e la religione. La Chiesa non può dire, senza smentire se stessa e senza distruggere con le sue stesse mani la propria ragione di esistere: Sbagliate pure, è affar vostro; tutti hanno il diritto di credere in ciò che a loro sembra essere la verità; ma deve dire, per forza di cose, e senza alcuna ambiguità: Cercate la verità, con umiltà e con fede, e la troverete: è quella insegnata da Dio agli uomini, per mezzo di Gesù Cristo; non ce ne sono altre, se non menzognere. In altre parole; per un cattolico la verità è assoluta; per un laico, essa è relativa. Sia ben chiaro che non stiamo parlando questioni di interesse puramente teorico: stiamo parlando della cosa più importante che ci sia, per un cattolico: la salvezza dell’anima. Fuori della Verità non c’è salvezza; dunque, non è ammissibile, e non è neppure pensabile, che vi sia la libertà di errare circa la verità.

Ed ecco perché la strada del dialogo interreligioso, pur se intrapresa, almeno da parte di alcuni, in perfetta buona fede, si sta rivelando oltremodo ambigua e pericolosa, e la dichiarazione conciliare Nostra aetate, che spianava la strada al dialogo con le altre religioni, ha spianato anche la strada a un gravissimo fraintendimento teologico, foriero di perniciosi errori. Se si intende il dialogo come il riconoscimento della pari dignità delle varie religioni, ponendo, implicitamente o esplicitamente, il cristianesimo sullo stesso piano delle altre, e il cattolicesimo sullo stesso piano del protestantesimo, allora siamo al di fuori del sacro Magistero, così come esso è stato insegnato, ribadito e confermato innumerevoli volte nel corso della lunghissima storia della Chiesa. E se qualcuno vorrà stabilire un principio nuovo e diverso, allora deve avere anche il coraggio di dire che vuole cambiare ciò che non può essere cambiato, che vuole rivoluzionare ciò che non può essere rivoluzionato, e che si arroga la potestà di compiere un abuso intollerabile: quello di stravolgere e rovesciare l’insegnamento della Chiesa, traendo in inganno i fedeli e mettendo in gravissimo pericolo la loro anima immortale. Chi è disposto a fare una cosa simile, non è cattolico e non ama il Vangelo di Gesù Cristo, ma è un subdolo nemico della Verità; tanto più subdolo qualora avesse la perfida abilità di non lasciar trasparire apertamente la sua apostasia, ma riuscisse a gabellarla per ortodossia, dando a credere ciò che non è, ossia di affermare cose perfettamente in linea con il Magistero, mentre ne sono la radicale antitesi.

È qui che si gioca la vera partita fra modernità e cattolicesimo; ed è questa la posta in gioco: la salvezza delle anime. La cultura moderna non rinuncerà mai all’affermazione del primato della coscienza, e del suo supposto diritto a una libertà totale, assoluta, dunque anche alla libertà di errare; di più: essa non può non porre tutte le verità su di un piano relativo, proprio per non incorrere nel paradosso di proclamare vero ciò che potrebbe essere falso, e che essa stessa, un domani, potrebbe vedersi obbligata a riconoscere come tale. Ma la Chiesa, se vuol essere la fedele Sposa di Cristo, e non una qualsiasi meretrice, sfrontata e imbellettata, non potrà mai accettare un simile principio: dovrà sempre difendere la tesi opposta, che nessuno ha il "diritto" di approdare all’errore, ma che tutti hanno il dovere, piuttosto, di cercare sinceramente e umilmente la Verità, permettendo all’azione soprannaturale della Grazia di illuminare le loro menti e i loro cuori. Cosa che non può avvenire fino quando gli uomini si chiudono nel loro orgoglio intellettuale, nella loro superbia di persone "moderne", smaliziate e navigate, che non credono più alla Verità. E quei "cattolici" i quali condividono tale atteggiamento, e qualificano di fanatici i loro correligionari non disposti a transigere su questo punto, sono solo dei cattolici moderni, cioè degli eretici modernisti…

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Chad Greiter su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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