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Ecco come si è espresso il ministro australiano Peter Costello, sessant’anni — è nato a Melbourne il 14 agosto 1957 -, esponente di punta del Partito liberale, ministro del Tesoro per oltre un decennio, dal 1996 al 2007, a proposito della questione degli immigrati nel suo Paese, i quali, peraltro, sono pochissimi a paragone di quelli che si riversano continuamente sulla sola Italia; e che sono in gran parte di provenienza europea, ma, soprattutto, non sono immigrati irregolari, o clandestini, o come li si vuol chiamare, ma tutti regolarmente registrati e autorizzati ad entrare.
Non sono contrario all’immigrazione e non ho niente contro coloro che cercano una vita migliore venendo in Australia.
Tuttavia ci sono questioni che coloro che sono recentemente arrivati nel nostro Paese e, a quanto sembra, anche qualcuno dei nostri concittadini nati qui, devono capire.
L’idea che l’Australia deve essere una comunità multiculturale è servita soltanto a dissolvere la nostra sovranità ed il sentimento di identità nazionale.
Come australiani, abbiamo la nostra cultura, la nostra società, la nostra lingua ed il nostro modo di vivere.
Questa cultura è nata e cresciuta durante più di due secoli di lotte, processi e vittorie da parte dei milioni di uomini e donne che hanno cercato la libertà in questo Paese.
Noi parliamo l’inglese, non il libanese, l’arabo, il cinese, il giapponese, il russo qualsiasi altra lingua.
Perciò, se desiderate far parte della nostra società, imparate la nostra lingua!
La maggioranza degli australiani crede in Dio. Non si tratta soltanto di un affare privato di qualche cristiano fondamentalista di destra, ma vi è un dato di fatto certo ed incontrovertibile: uomini e donne cristiani hanno fondato questa nazione su principi cristiani, ed è chiaramente documentato nella nostra storia e dovrebbe essere scritto sui muri delle nostre scuole.
Se il nostro Dio vi offende, allora vi consiglio di prendere in considerazione la decisione di scegliere un’altra parte del mondo per mettere su casa, perché Dio è parte della nostra cultura.
Accetteremo le vostre opinioni religiose, e non vi faremo domande, però daremo per scontato che anche voi accettiate le nostre e cercherete di vivere in pace ed armonia con noi.
Se la Croce v i offende, o vi molesta, o non vi piace, allora dovete pensare seriamente di andarvene da qualche altra pare.
Siamo orgogliosi della nostra cultura e non pensiamo minimamente di cambiarla, ed i problemi del vostro Paese di origine non devono essere trasferiti sul nostro.
Cercate di capire che potete praticare la vostra cultura, ma non dovete assolutamente obbligare gli altri a farlo.
Questo è il nostro Paese, la nostra terra, il nostro modo di vivere e vi offriamo la possibilità di viverci al meglio.
Ma se voi cominciate a lamentarvi, a piagnucolare, e non accettate la nostra bandiera, il nostro giuramento, i nostri impegni, le nostre credenze cristiane, o il nostro modo di vivere, vi dico con la massima franchezza che potete far uso di questa nostra grande libertà, di cui godiamo in Australia: il dirotto di andarvene.
Nessuno vi ha obbligato a venire nel nostro Paese.
Voi avete chiesto di vivere qui: ed allora accettate il paese che avete scelto. Se non lo fate, andatevene!
Vi abbiamo accolti, aprendo le porte del nostro Paese; se non volete essere cittadini come tutti in questo Paese, allora tornate nel Paese da cui siete partiti!
Questo è il dovere di ogni nazione.
Questo è il dovere di ogni immigrato.
È singolare che un simile modo di porsi di fronte alla questione dell’immigrazione debba essere espresso da un uomo politico di una nazione che ha appena 200 anni di vita, mentre le nostre nazioni europee, e la nostra Italia in particolare, hanno migliaia di anni di storia e di tradizione alle spalle; e che debba venire da un liberale, vale a dire da un rappresentante di quella ideologia che, abilmente deformata e manipolata, serve ora da pretesto per giustificare le politiche suicide e immigrazioniste dei nostri buonisti, umanitari, compassionevoli e generosissimi uomini politici, intellettuali e cattolici di sinistra, secondo i quali spostarsi in massa da un Paese all’altro, da un continente all’altro, è un diritto sacrosanto e inalienabile, per poco che si possa dichiarare d’esser perseguitati e in pericolo, anche se non è vero affatto. Peter Costello mette le carte in tavola: chi vuol venire in Australia, lo fa per ragioni economiche e non per ragioni di emergenza umanitaria. I nostri governanti non hanno nemmeno questa dignità, e continuano a raccontarci la frottola che tutti quelli che sbarcano ogni giorno nei nostro porti sono dei poveri disperati, in fuga da guerra e fame. Ma, a parte questo, Costello mette bene in chiaro che chi domanda di stabilirsi in un Paese, ha l’obbligo di rispettare tutte le sue leggi, le sue usanze e le sue tradizioni, e che non deve neppure sognarsi di voler imporre le sue; che deve essere un cittadino leale verso la nuova Patria che l’ha accolto, altrimenti può tornarsene a casa sua. Nessun politico europeo è mai stato capace di fare un discorso del genere, a parte gli esponenti dei partiti "populisti" che, poi, sovente, si alleano con le destre "moderate" e, alla fine si riducono a centellinare le cifre dell’invasione, a discutere di quante decine di migliaia noi dobbiamo comunque accogliere, senza poter affrontare il problema alla radice e, soprattutto, senza osare di mettere in discussione l’assunto fondamentale: che esista un diritto di asilo illimitato per chiunque, e in qualsiasi momento. Ma finché non si contesta quel principio e non si rivedono radicalmente i trattati internazionali, che furono pensati per offrire asilo a singole persone perseguitate o minacciate e non certo per autorizzare delle migrazioni di massa e delle sostituzioni di popolazione, non si andrà da nessun parte. E finché le forze dell’ordine non saranno dotate di strumenti atti a far rispettare la legge, e la magistratura non la smetterà di stare dalla parte degli stranieri che gettano bombole del gas in testa ai poliziotti e di accusare il poliziotto che pronuncia una frase rabbiosa, peraltro comprensibilissima; e finché il parlamento non avrà il coraggio di votare delle leggi che rispecchino il mutato quadro internazionale e che finalmente prendano atto di una cosa che vent’anni fa ancora non c’era, l’invasione sistematica del nostro Paese, dietro il pretesto di una emergenza umanitaria permanente in Africa, in Asia e Dio sa ancora dove, il problema non farà che ingrossare, e prima o dopo darà luogo a episodi di guerriglia urbana fra la popolazione italiana, esasperata e offesa, e i nuovi venuti, sempre più arroganti e sicuri di spuntarla. Ciò che è accaduto a Roma in questi giorni dovrebbe servire da monito: la pazienza degli italiani è ormai finita; ormai nessuno crede più alla favola dei poveri infelici che vengono qui per salvarsi la vita: gli stupri di Colonia, gli attentati terroristici nelle principali città europee (e sia pure con lo zampino dei servizi segreti americani), gl’innumerevoli episodi di criminalità da pare degli immigrati e perfino dei richiedenti asilo, che vanno dallo stupro, allo spaccio di droga, alla prostituzione, al furto, alla rapina, all’assassinio, tutto ciò sta a indicare che quella in atto è una invasione, una sostituzione di popoli e una islamizzazione forzata dell’Europa. Chi non l’ha capito, o è uno stupido, o un complice, o entrambe le cose insieme. E siccome fra i sostenitori della politica dell’accoglienza indiscriminata ci sono anche moltissimi preti e vescovi, e soprattutto c’è il papa Francesco, bisogna pur dire che il papa e la neochiesa che attualmente ha preso il posto della vera Chiesa cattolica, sono complici di questa invasione, di questa sostituzione, di questa islamizzazione. Perché lo facciano, lo sapranno loro e ne renderanno conto a Dio; ma che lo stiano facendo in piena consapevolezza, è cosa ormai indubitabile.
Il problema parte da noi, bisogna riconoscerlo. Siamo noi che non amiamo abbastanza il nostro Paese; siamo noi che disprezziamo le nostre radici e la nostra cultura; siamo noi che rifiutiamo la nostra identità e che siamo sempre pronti a prendere le parti di chiunque altro, purché sia "altro", possibilmente con la pelle di un altro colore (razzismo alla rovescia o auto-razzismo: una specialità tutta italiana ed europea), e meglio se "povero", quantunque chi viene in Europa sui barconi degli scafisti ha pagato fino a 6.000 euro, ciò che dimostra in maniera eloquente che non è un povero, specie considerando che il redito medio annuo, in molti Paesi africani dai quali costoro provengono, si aggira intorno ai 1.000 dollari, contro i 25 0 30.000 dei principali Paesi europei. Siamo noi che disprezziamo la nostra religione, la religione cristiana cattolica, grazie alla quale siamo quello che siamo, e possediamo una delle culture più ricche al mondo, e un patrimonio artistico che non è secondo a nessuno. Siamo noi che vogliamo regalare la cittadinanza a chiunque nasca in Italia o a qualunque minore arrivi in Italia non accompagnato, compresi ragazzi di sedici o diciassette anni che sono già dei delinquenti incalliti, venuti qui apposta per delinquere, cosa che incominciano a fare dal primo momento in cui hanno la possibilità di farlo. Siamo noi che abbiamo impedito a un papa come Benedetto XVI di parlare all’università di Roma, solo perché difendeva ancora un minimo la nostra identità cristiana, mentre ora ci scalmaniamo ad applaudire un papa come Francesco, che la sta svendendo al primo che passa. Siamo noi che autorizziamo dei presidi, come quello di Corsico, a mettere sotto inchiesta un professore che è stato contestato dai genitori di una sua alunna egiziana, i quali sostengono che ha offeso l’islam, quando è stata lei, la ragazza, a sfidarlo, restando seduta a quando lui era entrato in aula, e che, interrogata su tale comportamento, aveva risposto di aver ottemperato alle leggi del Ramadan; il professore, però, non è stato neanche ascoltato, non ha avuto la possibilità di difendersi. Noi, in Italia, trattiamo un nostro concittadino, uno stimato insegnante, che ha lavorato tutta la vita al servizio dello Stato, come un delinquente, e siamo pronti a dare tutte le ragioni a degli stranieri che lo accusano, soltanto perché loro, poverini, sono immigrati, e quindi, non si capisce per quale motivo, sono considerati soggetti più deboli, cioè bisognosi di maggiori tutele. E sono cento, mille, milioni, gli episodi di auto-mortificazione che potremmo contare, dai quali emerge quasi una voluttà furiosa di nascondere e rimuovere i segni della nostra cultura e della nostra identità, per non "offendere" la sensibilità altrui. Chi non ricorda l’umiliante decisione di avvolgere in lenzuoli le opere d’arte del Rinascimento che, mostrando dei corpi nudi, avrebbero offeso la sensibilità islamica del presidente iraniano Rohani, nel gennaio 2016, in vista nel nostro Paese? Allora, il Pulcinella di turno fu il signor Renzi; ma non dubitiamo che a simili auto-umiliazioni avrebbero accondisceso volentieri molti altri, nei suoi panni, e non solo dello schieramento di centro-sinistra.
Quanto a noi, ci sembra che il "manifesto" di Peter Costello sia anche troppo morbido e moderato, sia nei toni che nei concetti. Egli parte dell’assunto che gli stranieri hanno comunque diritto ad essere accolti, purché mostrino di volersi integrare. Noi non siamo d’accordo. Anche ammesso che l’integrazione sia possibile – e ormai l’esperienza fallimentare di tre generazioni d’immigrati turchi, in Germania, dimostra che non è così — anche ammesso ciò, per puro amore d’ipotesi, resta il fatto che, superata una certa soglia quantitativa, si compromette irreversibilmente la composizione etnica del Paese ospitante; e, considerato il tasso d’incremento demografico, doppio, triplo o quadruplo dei nuovi arrivati — mentre noi siamo praticamente al tasso di crescita zero, o perfino sotto — ciò equivale a consegnare la nostra nazione, e con lei anche i nostri figli, a un destino d’islamizzazione certa e di altrettanto certa sostituzione di popolazione. Questa Italia, che gli italiani hanno fatto, bene o male; che i nostri avi hanno creato, hanno lavorato, hanno abbellito; che i nostri nonni e i nostri padri ci hanno consegnato così come essa è: europea, cristiana, occidentale, diverrà, matematicamente, araba, africana e musulmana: con le moschee al posto delle chiese, i minareti al posto dei campanili e il canto del muezzin al posto del gregoriano. Con le donne velate, rinchiuse in casa, forse private del diritto di guidare l’automobile, come in Arabia Saudita, e condannate alla lapidazione in caso di adulterio (capito, care signore e signorine femministe, care Boldrini?); e con l’obbligo per gli tutti delle cinque preghiere al giorno, rivolti verso la Mecca. È questo che vogliamo? Perché, se davvero lo vogliamo, dobbiamo anche avere il coraggio di dirlo. I nostri politici eunuchi e traditori, i nostri intellettuali progressisti, i nostri preti di sinistra, il nostro papa misericordioso, tutti costoro lo devono dire apertamente e se ne devono assumere la responsabilità. Che la smettano di raccontarci balle; il tempo delle balle è finito, e anche quello della pazienza del popolo bue. Il popolo si sta svegliando; e si sta arrabbiando. Un popolo mite, accogliente, tollerante, sta diventando insofferente, forse razzista: e come non diventarlo, quando si vede ogni giorno un negozio italiano che chiude, una impresa che licenzia gli operai, e intanto i "profughi" che vanno ogni giorno dal questore a lamentarsi perché sono stufi del menu troppo uniforme (meno male che fuggivano da "guerra e fame"!), e vogliono fare lo sciopero della fame?
Compimenti, signori progressisti e di sinistra, complimenti, Renzi e Bergoglio, e anche voi, scrittori buonisti e giornalisti, generosi con ciò che non è vostro — perché il futuro dell’Italia non è vostro, è dei nostri figli: tutto questo è opera vostra. Dovete solo ringraziare voi stessi.
Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Christian Lue su Unsplash