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È nato un nuovo tipo antropologico: lo pseudo cattolico ignorante, cialtrone e autoreferenziale

La varietà dell’homo sapiens sapiens (o quasi sapiens, o pochissimo sapiens) si è arricchita, in questi ultimi anni di meraviglioso e fantasioso pluralismo, che ha conosciuto un’impennata prodigiosa sotto l’attuale pontificato, di un nuovo tipo umano: quello del pseudo cattolico ignorante, che non sa praticamente nulla di cosa sia il cattolicesimo (si vede che non glie l’hanno insegnato, oppure che ha rimosso quel che non si attagliava alla sua misura), cialtrone e autoreferenziale, nel senso che si qualifica cattolico da se stesso, si assolve dei suoi peccati da se stesso, si proclama autorevole interprete del dogma da se stesso, e così via. Fa tutto da solo, in magnifica autonomia, essendo e sapendo di essere un cattolico "adulto" e non più un cattolico puerile, come i suoi antiquati genitori e i suoi mummificati nonni; e pazienza se Gesù Cristo in persona ha raccomandato di farsi simili a dei bambini, se si vuol entrare nel Regno dei Cieli. Nel caso, poi, qualcuno — e soprattutto un sacerdote – si permetta di sollevare qualche obiezione, o rappresentargli qualche perplessità, compresa la suddetta citazione evangelica, lui, immancabilmente, tira fuori il suo asso dalla manica e lo getta sul tavolo, trionfante, asserendo: Lo dice anche il papa!; oppure: Lo fa anche il papa!; e con questo mantra pigliatutto chiude la bocca a qualsiasi interlocutore e riduce al silenzio qualunque obiezione.

Si vede che il papa, beninteso questo papa, papa Francesco, non certo i papi suoi predecessori, quasi tutti ottusamente conservatori e "lontani dalla gente ", tanto quanto costui è ad essa "vicino", è assai più titolato di chiunque altro a stabilire che cosa è cattolico e che cosa non lo è; anche più titolato di Gesù Cristo. Del resto, come tranquillamente si è premurato di fari sapere, e senza arrossire, né cadere incenerito all’istante, né venire ripreso immediatamente da chi di dovere, e cioè appunto dal papa, il nuovo generale dei gesuiti, Sosa Abascal, dobbiamo tener presente che noi, in fondo, non sappiamo quel che Gesù Cristo abbia detto e fatto realmente, per la buona, anzi, ottima ragione che ai suoi tempi, in Palestina, sfortunatamente mancava quel prezioso oggetto che si chiama registratore, e che consente di salvare i discorsi dal pericolo di essere travisati e deformati da coloro i quali li riferiscono. Nel nostro caso, i travisatori, peraltro da lui non nominati, ma il riferimento era inevitabile e necessario, sono i quattro evangelisti e gli altri autori della Sacra Scrittura, i quali, evidentemente, a giudizio di padre Sosa, hanno scritto quel che hanno scritto con le loro forze e con le loro parole meramente umane, e non già ispirati e sostenuti dallo Spirito Santo, ossia da Dio stesso. Si aggiunga che Dio stesso, nella prospettiva della neochiesa odierna, non è cattolico, per autorevolissima decisione del sommo pontefice in persona, che lo ha serenamente dichiarato nel corso di una intervista-fiume con Eugenio Scalfari (pubblicata su La Repubblica il 1° ottobre 2013); per cui è da rigettare come obsoleta e oscurantista la pretesa di quanti, come don Ariel S. Levi di Gualdo, si ostinano con diabolica pertinacia ad affermare che Dio è cattolico, perché ce lo insegna la Luce del Vangelo di San Giovanni (vedi L’isola di Patmos del 18 gennaio 2016).

A proposito di don Ariel S. Levi di Gualdo. Quando si era ancora nei primi mesi dell’attuale pontificato, e in molti speravano che le cose non fossero così come avevano tutta l’aria di essere, firmava sul sito Riscossa Cristiana, in difesa di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro, un articolo intitolato Dalla riserva indiana alle moderne catacombe (12 ottobre 2013), in cui, tra l’altro, polemizzando con il papa sul concetto della Chiesa cattolica come "ospedale da campo" in cui accogliere con misericordia divorziati, omosessuali e altri peccatori, testualmente affermava:

[Si tratta] di essere semplicemente cattolici , dicendo sì quando è sì e no quando è no, perché il di più — ma di questi tempi anche il di meno, oppure il vago o l’ambiguo dire e non dire — proviene rigorosamente dal Maligno. E l’ultimo dei anti che mai avrebbe approvato il dire un po’ sì e un po’ no, lasciando infine capire forse "ni", sarebbe stato Ignazio di Loyola, che della povera e decadente Compagnia di Gesù dei giorni nostri — o se preferiamo della sincretistica Compagnia delle Indie, della Compagnia Indigenista e suvvia a seguire — non è lontano parente.

Nel recente passato, tra le varie meraviglie legate a questo inizio di pontificato narrate dalla stampa, si è detto che dopo l’elezione dell’Augusto Pontefice Regnante sono aumentate anche le confessioni, si sono affollati i confessionali ed è aumentato l’afflusso alle Chiese.

Or bene, se come Chiesa dobbiamo essere una specie di "ospedale da campo, allora, tanto per principiare si cominci ad ascoltare — primari e baroni clinici in testa — noi "medici del pronto soccorso", che sul campo ci stiamo in modo molto concreto. E siccome dentro i confessionali ci stiamo appunto noi e non i giornalisti, ma volendo neppure i cardinali del Cortile dei Gentili atei, agnostici e massoni, vogliamo parlare di queste confessioni e della qualità di queste confessioni? Presto detto: noi preti abbiamo accolto pseudo penitenti presi più o meno da turbe emotivo-mediatiche che ci venivamo a sfogare quanto piacesse a loro questo pontefice. E dopo avere premesso che non rubavano, non ammazzavano, non facevano del male a nessuno e che quindi non avevamo per questo bisogno alcuno di confessarsi ed in specie tanto meno con un uomo come loro, cominciavano a calarsi nel ruolo di censori per spiegare al confessore, durante la celebrazione di un Sacramento del quale non avevano alcuna percezione, l’essenza della loro originale "ecclesiologia" e della loro "fede" surreale, vale a dire questa: "Papa Francesco sì, Chiesa no. Papa Francesco sì, preti no. papa Francesco sì, sacramenti no…". Infine: "Papa Francesco sì, Dio no".

Si è anche parlato di Piazza San Pietro affollata come mai s’era visto prima. Certo, ma affollata da chi, qualcuno se l’è chiesto? Presto detto: per una media di otto su dieci — e non esagero ma sono davvero largo — da persone che se avvicinate non erano in grado di dire le prime cinque parole della professione di fede : "Credo un solo Dio" e le prime sei parole del Padre Nostro: "Padre nostro che sei nei cieli".

Non trascorre giorno senza che noi preti si debba avere a che fare con persone alle quali mai passerebbe per la mente di entrare dentro una chiesa neppure per Pasqua e Natale che ci vengono a dire: Se i preti fossero come Papa Francesco! Ah, lui è per i poveri, per la Chiesa povera, mica come voi" sottinteso… brutti sporcaccioni.

Questo è ciò che come prete posso dire dal pronto soccorso della Chiesa "ospedale da campo". E una volta detto questo, posso essere preoccupato dinanzi a un’opinione pubblica mondiale che scinde ormai la figura dell’attuale Sommo Pontefice dalla Chiesa ma soprattutto da Cristo e dalla Rivelazione del Verbo di Dio fatto uomo?

Dinanzi a questo tremendo disfacimento io ho l’obbligo morale di essere preoccupato e anche drammaticamente allarmato, quando orde di atei, agnostici, anticattolici irredimibili fieri di essere tali, seguiti da eserciti di pseudo cattolici ignoranti e orgogliosi della propria ignoranza in materia di fede e di dottrina, finiscono col creare, sulla scia dei riflettori, una nuova religione pagano-mediatica: la religione del "papacecchismo".

E quello che scriveva padre Ariel, lo dicono tanti, tantissimi preti, beninteso purché abbiano la competenza, la sensibilità e soprattutto il carisma per riconoscere la serietà del Sacramento della Confessione e per sapere che essa non ha niente a che fare con una discussione mondana fra due parti che si confrontano alla pari, ma è l’atto penitenziale del peccatore che si riconosce tale, non di fronte a un uomo, ma di fronte a un sacerdote, cioè a un uomo di Dio, che, in quel momento, è, per lui, un alter Christus, un altro Gesù Cristo, e davanti al quale si deve umiliare, perché solo chi si umilia sarà esaltato, cioè assolto, mentre chi non lo fa se ne torna a casa con il fardello dei suoi peccati, anche nel caso che un prete scellerato lo abbia indebitamente assolto. Noi stessi abbiamo parlato con dei sacerdoti che ci hanno riferito la stessa cosa: il "penitente" non è più tale, in realtà non è più nemmeno un cattolico, ma un ignorante presuntuoso e polemico, che si presenta per impartire una lezione di "vero" catechismo al sacerdote consacrato e per rinfacciargli che la Chiesa non è credibile perché sono troppo pochi i preti che assomigliano a papa Francesco. E siccome noi, che non siamo nessuno, sappiamo queste cose, o ci prendiamo la briga d’informarci e di leggerle, sicuramente le sa, e assai meglio di noi, il diretto interessato, ossia il pontefice regnante: ne discende che Bergoglio, sapendo tutto ciò, anzi, proprio perché lo sa, non fa nulla per correggere il tiro, al contrario, lo alza ogni giorno di più, impallinando con precisione infallibile tutti i punti cardine della dottrina cattolica, in un’opera di distruzione sistematica, diremmo scientifica, che certamente non sgorga dalla sua "impulsività latina", meno ancora da una sua supposta "ingenuità" e mancanza di scaltrezza mediatica, ma, tutto al contrario, da una spregiudicatezza estrema proprio nel servirsi dello strumento mediatico, per far dire ai giornali e ai giornalisti tutto quel che lui dice e anche diverse cosa che non dice, o che finora non ha detto, guardandosi però bene dal correggere o rettificare, segno che certe forzature e certe esagerazioni gli vanno benissimo, le approva, le desidera, le cerca e fa di tutto perché avvengano. In questo modo, astutamente, lancia il sasso e nasconde la mano; dice e non dice, allude, suggerisce, poi lascia che siano i giornali e le televisioni a completare l’eresia, a renderla "perfetta", secondo i suoi desideri, ma, apparentemente, al di là delle sue intenzioni.

Perciò chiunque, beninteso in buona fede, si preoccuperebbe e si allarmerebbe per questa deriva del cattolicesimo e specialmente per la nascita di questa nuova, stranissima figura di "cattolico", ignorante, cialtrone e autoreferenziale; chiunque, beninteso, se è realmente cattolico. Il papa non se ne allarma e non se ne preoccupa, al contrario, se ne compiace e se ne gloria, sapendo benissimo che essa è, in larga misura, opera sua. E intanto si scioglie sempre più nell’abbraccio dei media, guarda caso di quelli più notoriamente agnostici, scettici, massonici ed atei; sorride a trentadue denti davanti alle telecamere, con il naso da clown e il sombrero in testa, si lascia fotografare dalla gente, e ripete senza tregua tutto ciò che suona come una musica deliziosa agli orecchi del mondo, e tace tutto ciò che potrebbe disturbare quei delicatissimi padiglioni auricolari. Dice che l’importante è amare e che Dio perdona tutto, tace che l’amore cristiano non ha nulla a che fare con la lussuria e con le passioni disordinate e che, per essere perdonati, occorre infine pentirsi, altrimenti si va dritti all’inferno: questo è quanto insegna la Chiesa cattolica da duemila anni e non se lo inventa, sta scritto nel Vangelo di Gesù Cristo (con buona pace di padre Sosa), senza "se" e senza "ma": Via da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e i suoi angeli! Più chiaro di così… Ma il papa Francesco non parla mai questo linguaggio; ha deciso di "correggere" il Vangelo e di espungere da esso tutto quel che può creare problemi e difficoltà, tutto ciò che costringerebbe i credenti ad una coerenza un po’ troppo faticosa. No; lui preferisce dire le cose che piacciono alla gente, a questa gente: le folle decerebrate, incoscienti, edoniste, egoiste, incretinite del terzo millennio; le folle che applaudono chiunque dica loro che sono belle, brave e meravigliose, e che non devono pentirsi di nulla, né ravvedersi, né convertirsi, né, tanto meno, ascoltare i "rigidi", e neppure i "profeti di sventura". Lui ama dire che tutto quel che divide è cattivo e tutto ciò che unisce è buono; e finge di non sapere che, per definire qualcosa, per esempio la Chiesa cattolica, si deve pur "dividere", cioè separarla da ciò che le è estraneo, e specialmente dai suoi agguerritissimi nemici, che da secoli mirano a distruggerla, dopo averla infiltrata; e che "unire" è un concetto ambiguo, pericoloso, sbagliato e foriero di tremende conseguenze, se implica il fatto di annullare le differenze e le identità e cioè, nel caso del cattolico, se implica di sciogliersi in un solo minestrone insieme agli eretici protestanti, ai giudei, agli islamici, ai massoni e agli atei che disprezzano Dio e hanno giurato la distruzione della sua opera fra gli uomini. Siamo giunti a questo: che delle persone ignoranti del cattolicesimo, che non saprebbero recitare correttamente neanche il Credo, ma che vanno pazze per la teologia della liberazione, per dom Helder Camara, per don Lorenzo Milani, per don Andrea Gallo, per il cardinale Martini, per Enzo Bianchi, e, adesso, per papa Francesco; e che non ritengono di aver nulla da confessare, anche se sono sprofondate nei peccati, ma semmai parecchio da insegnare ai confessori, costoro si ritengono i veri cattolici e dicono: Noi siamo chiesa!

Fonte dell'immagine in evidenza: Photo by Mike Chai from Pexels

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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