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«Anche tra voi ci saranno dei falsi maestri»

Verranno dei falsi maestri; molti li seguiranno e, per causa loro, la verità sarà degradata. È un passo, abbastanza noto, del Nuovo Testamento; sono parole tradizionalmente attribuite al primo degli Apostoli di Gesù, al primo capo della Chiesa. Le abbiamo sentite, le abbiamo lette, ma ce ne sfugge il significato. Abbiamo la tendenza a pensare che quanto è scritto in quei libri non riguarda noi e il nostro presente; che le profezie non si riferiscono al nostro tempo, ma ad un tempo imprecisato, forse passato, forse futuro; comunque, non il nostro. Questo accade perché la nostra fede si è indebolita, si è razionalizzata; il veleno della modernità ci è entrato nel sangue, e siamo incapaci di calare nel nostro presente, nella nostra situazione, nella nostra vita, quel che dice la Bibbia. Pensiamo che quelle cose si debbano riferire sempre a qualcun altro; oppure che abbiano un senso generico, buono un po’ per tutti e, in fondo, per nessuno. Noi uomini moderni abbiamo smarrito la certezza che Dio ci parla per mezzo di quegli autori: a noi, proprio a noi, a ciascuno di noi, in ogni epoca della storia, e che continuerà a farlo sino alla fine del mondo. Un poco alla volta, abbiamo preso a credere in altre parole, in altri messaggi: quelli del mondo, che giustificano ogni sorta di abusi morali e di sconcezze. Ci fidiamo di più degli economisti, degli scienziati, dei tecnici: calcoliamo le probabilità, soppesiamo i pro e i contro, pervasi da un robusto scetticismo da persone pratiche, che sanno vivere coi piedi ben piantati a terra.

Eppure la Bibbia, la Parola di Dio, è chiara: basta leggere. Nella Seconda lettera di Pietro (2, 1-22), infatti, sta scritto:

Ci furono dei falsi profeti nel popolo (di Israele): ugualmente anche tra voi ci saranno dei falsi maestri, i quali introdurranno divisioni perniciose e, rinnegando il loro padrone che li riscattò, attireranno su se stessi una rovina veloce. Molti seguiranno le loro lascivie e per causa loro la via della verità sarà denigrata. Nella loro cupidigia cercheranno di comprarvi con discorsi artefatti: ma il loro giudizio di condanna già da tempo è in azione e la loro perdizione non ritarda.

"Dio infatti non perdonò agi angeli che avevano peccato, ma, condannandoli al tartaro, li confinò nelle fosse tenebrose perché vi fossero trattenuti fino al giudizio. Non perdonò al mondo antico, ma quando scatenò il diluvio sul mondo degli empi, custodì Noè come ottavo in quanto annunciatore di giustizia; condannò le città di Sodoma e Gomorra, incenerendole, dando un esempio agli empi di quanto accadrà nei tempi futuri; salvò il giusto Lot, tormentato dalla condotta sfrenata di gente senza legge. Infatti abitando, lui giusto, in mezzo a loro, sentiva la sua anima retta tormentata giorni per giorno da ciò che vedeva ed udiva in opere inique: il Signore seppe salvare i buoni dalla prova e conservare i cattivi fino al giorno del giudizio per punirli, specialmente coloro che seguivano la carne nella bramosia di turpitudini e disprezzavano la dignità del Signore.

Incoscienti ed egoisti, non tremano davanti alle manifestazioni della gloria, bestemmiando, mentre gli angeli, pur essendo in potenza e forza superiori, non reggono al giudizio di condanna pronunciato presso il Signore su di loro.

Questi invece, come bestie irragionevoli, nate proprio per essere catturate e per morire, bestemmiano ciò che non conoscono e periranno della morte loro, subendo a loro danno il contraccambio della malvagità; ritengono delizia il piacere di un giorno; macchiati e luridi, si immergono nel piacere, facendo a voi buon viso con seduzioni ingannevoli.

Hanno gli occhi pieni di passione per l’adulterio, non cessano di saziarsi di peccato, adescano le persone deboli, hanno il cuore assuefatto alla cupidigia, sono figli di maledizione, abbandonando la via retta si sono smarriti, hanno seguito la via di Balaam, di Bosor, che amò la ricompensa di ingiustizia ed ebbe una lezione per la sua iniquità: un giumento muto, esprimendosi in voce umana, frenò l’idiozia del profeta.

Costoro sono sorgenti senza acqua, nubi in preda al vento della tempesta, è riservato loro il buio delle tenebre. Mediante parole tronfie, e vanitose adescano, sollecitando gli istinti lascivi della carne, coloro che non si distaccano del tutto da quanti stanno vivendo nell’errore. Promettono loro la libertà, mentre sono, essi stessi, schiavi della corruzione: ciascuno infatti rimane schiavo di ciò che lo vince. Se infatti dopo aver fuggito le brutture del mondo mediante la conoscenza approfondita del Signore nostro e Salvatore, Gesù Cristo, impigliandovisi di nuovo, la loro situazione ultima diventa peggiore di quella iniziale. Sarebbe stato infatti meglio per loro non aver conosciuto la via della giustizia, che, dopo averla conosciuta, tornare indietro dai comandamenti santi loro dati. A loro è accaduto quanto dice un proverbio vero: "Il cane si rivolge contro ciò che ha vomitato", e "la scrofa, lavata, ritorna a sguazzare nel fango".

Ma chi sono questi falsi profeti, questi cattivi maestri che travieranno molti e che li condurranno velocemente alla rovina? Chi sono costoro, i quali si sono scordati di dovere tutto a Colui che li ha riscattati con il suo sangue, sulla croce, e senza del quale sarebbero nulla? Possibile che questo brano si rivolga proprio a noi, a noi, uomini del tempo presente? Che ci stia interrogando, singolarmente, seriamente, drammaticamente, su qualcosa che sta accadendo adesso, proprio qui, in mezzo a noi, sotto i nostri occhi?

La tentazione di sdrammatizzare, di ridimensionare, di relativizzare questa profezia è forte. Il teologo Ugo Vanni, autore della traduzione e del commento alle Lettere di Pietro, Giacomo e Giuda (per la collana Nuovissima versione della Bibbia dai testi originali, Edizioni Paoline, 1974, 1984, pp. 102-111), sceglie questa strada: sdrammatizzare, ridimensionare, relativizzare. Togliere il pungiglione dalla parola di Dio, ammansirla, lisciarle il pelo. L’opera di "normalizzazione" della fede cattolica è incominciata subito dopo il Concilio Vaticano II e, negli anni ’70, galoppava già a spron battuto. Le parole d’ordine conciliari erano: Ottimismo! Dolcezza! Dialogo! Apertura! Misericordia! Proibito inquietare, rimproverare, scuotere, intimare, proibire. Ed ecco cosa dice il buon gesuita, classe 1929, per molti anni professore di esegesi del Nuovo Testamento alla Pontificia Università Gregoriana e al Pontificio Istituto Biblico:

L’errore, nelle previsioni dell’autore, si diffonderà. Accanto ai falsi maestri ci saranno molti loro seguaci e formeranno un’ondata travolgente che minaccerà di sopraffare i cristiani quali l’autore si rivolge, Per questo egli mette in guardia in maniera così precisa. È chiaro che egli ha davanti a sé esempi concreti: i falsi maestri di cui parla sono futuri solo nella finzione letteraria dell’attribuzione della Lettera a Pietro Apostolo. Ma di quali errori si tratta? Le invettive dell’autore sono roventi, ma gli accenni alle dottrine sono generici e non permettono una localizzazione storica convincente. L’insistenza su una condotta immorale, l’allusione ai castighi biblici fanno pensare a deviazioni dottrinali e pratiche in materia sessuale, che dovevano stare alla base di questo insegnamento sbagliato. Forse si trattava di una forma di neopaganesimo, di un tentativo di compromesso tra paganesimo e cristianesimo, quasi un sottoprodotto negativo di quello sforzo che la comunità ecclesiale dovette fare per adattarsi a vivere continuamente in un mondo pagano, una volta venuta meno la febbre escatologica e l’attesa della parusia (cf 3,4).

Già; tutto chiaro, dunque? Ma proviamo ad attualizzare le parole di quel testo, che siano di Pietro o di qualcun altro poco importa: proviamo a leggerle nella precisa prospettiva dei nostri giorni, e non già, come fa padre Vanni, dando per scontato, dall’alto del suo tecnicismo di profondo esperto di esegesi biblica, che i falsi maestri di cui parla sono futuri solo nella finzione letteraria dell’attribuzione della Lettera a Pietro Apostolo. Proviamo a domandarci se oggi, proprio sotto i nostri occhi, non si sta producendo una situazione che riflette perfettamente il severo ammonimento di quella lettera apostolica: L’insistenza su una condotta immorale, l’allusione ai castighi biblici fanno pensare a deviazioni dottrinali e pratiche in materia sessuale, che dovevano stare alla base di questo insegnamento sbagliato. E che cosa sta succedendo, nella Chiesa dei nostri giorni? Non vediamo dei preti, e perfino dei vescovi, auspicare una liberalizzazione di qualsiasi comportamento sessuale, da parte della Chiesa stessa? Non li vediamo parlare con assoluta tranquillità della sodomia, negare che Dio distrusse Sodoma (Galantino), auspicare matrimoni omosessuali (Martin), presentare festosamente due lesbiche ai fedeli durante la santa Messa (tale padre Cosimo Scordato, parroco di Palermo)? E non abbiamo visto uscire dalle mani del papa una esortazione apostolica, Amoris laetitia, in cui si prospetta una riammissione dei divorziati risposati all’Eucarestia, pur persistendo costoro nella loro situazione oggettiva di peccato? E non abbiamo visto questo stesso papa rifiutarsi di fornire chiarimenti a quattro cardinali che ne avevano fatto richiesta, e perfino rifiutarsi di riceverli in udienza privata? E non abbiamo visto un altro monsignore, Vincenzo Paglia, fare affrescare il duomo della sua diocesi, Terni, da un artista dichiaratamente omosessuale, per dipingervi una gigantesca Resurrezione in cui si vedono i peccatori salire in cielo, senza pentimento né espiazione, tratti in alto da un Cristo che, a sua volta, ha ben poco di divino, e, nelle vesti succinte e trasparenti, pare uscito dallo stesso mondo equivoco e peccaminoso che ha partorito gli altri, fra i quali vi è il ritratto del medesimo Paglia? E non abbiamo udito quello stesso Paglia celebrare le virtù esimie di Marco Pannella, campione del divorzio, dell’aborto, dell’omosessualità, della droga e dell’eutanasia? E non abbiamo udito un altro sacerdote, Krzysztof Charamsa, convocare la stampa per presentare a tutti il suo "compagno" e dichiarare apertamente la sua omosessualità? E non abbiamo visto un vescovo spagnolo, Julian Barrio, ordinare sacerdoti due omosessuali notori e dichiarati? E non abbiamo visto un teologo abortista, Nigel Biggar, entrare a far parte della Pontificia Accademia per la Vita? E non abbiamo visto il segretario del cardinale Coccopalmerio, monsignor Luigi Capozzi, arrestato per aver celebrato dei festini gay all’ombra del Vaticano? E non sentiamo dire, quasi ogni giorno, di preti indegni che intrattengono rapporti sessuali con i giovanissimi loro affidati, nei collegi e nei seminari? E non sappiano bene che esiste, nel cuore del Vaticano, una potentissima lobby gay, la quale preme in ogni modo affinché la Chiesa modifichi il proprio Magistero riguardo ai peccati carnali, specialmente quello contro natura?

No, caro professor Vanni: il passo della Seconda lettera di Pietro non parla di eventi già accaduti: parla di noi, parla di ora. Perché vi si parla sia di comportamenti immorali, sia di deviazioni dottrinali: e le seconde sembrano nate con lo scopo preciso di giustificare i primi. Questo accade quando i cristiani giungono a un compromesso al ribasso con il mondo; quando perdono la tensione escatologica e si adattano a vivacchiare in un mondo di vizio e di peccato, e allora s’ingegnano, con diabolica astuzia, a escogitare delle false dottrine che permettano loro di fare quel che fanno gli altri, i pagani. Oggi stiamo vivendo in una società neopagana, in cui ritornano puntualmente i vizi e i peccati descritti dalla Bibbia e, in particolare, i disordini sessuali tante volte additati dai primi autori cristiani – si pensi alla Lettera ai Romani di san Paolo — come la manifestazione più evidente dell’abbandono di Dio da parte degli uomini, e di Lui verso di essi. Forse si trattava di una forma di neopaganesimo, di un tentativo di compromesso tra paganesimo e cristianesimo, quasi un sottoprodotto negativo di quello sforzo che la comunità ecclesiale dovette fare per adattarsi a vivere continuamente in un mondo pagano, una volta venuta meno la febbre escatologica e l’attesa della parusia. Ugo Vanni usa i verbi al passato, perché ha già affermato e deciso che la lettera parla di cose già accadute; che finge di parlare al futuro mentre, invece, parla al passato. A noi, invece, sembra che essa parli terribilmente al presente. La situazione che vi è descritta è la precisa fotografia di quel che sta accadendo oggi, non solo al di fuori, ma anche dentro la Chiesa. La neochiesa odierna, gnostica e massonica, è sprofondata nei vizi e nei peccati descritti in quel testo; e, quel che è ancora peggio, essa appare protesa nello sforzo di trovare una giustificazione dottrinale che consenta di "normalizzarli", di non considerarli più né vizi, né peccati, e ciò manipolando la stessa dottrina cattolica. Il clero, a cominciare dal sommo pontefice, non ammonisce più, non mette in guardia, non ricorda il castigo che attende il peccatore, non parla del giudizio di Dio: parla solo di misericordia, di perdono, di amore, di letizia e di tante altre belle cose. Finge di non vedere il male, finge che il peccato non esista. Mediante parole tronfie e vanitose, adescano, sollecitando gli istinti lascivi della carne, coloro che non si distaccano del tutto da quanti stanno vivendo nell’errore. Promettono loro la libertà, mentre sono, essi stessi, schiavi della corruzione. Non sembrano parole scritte oggi, per metterci in guardia da ciò che noi stessi stiamo facendo, o permettiamo che accada?

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Chad Greiter su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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