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24 Luglio 2017
«Una sinistra commedia di tremila buoni a niente»
25 Luglio 2017Abbiamo sostenuto, nei precedenti articoli, che esiste un’incompatibilità di fondo tra la Vergine Maria, la sua figura, la sua funzione, il suo culto, e la cultura moderna, comprese le componenti del cattolicesimo che si ispirano, direttamente o indirettamente, a quella cultura (cfr. specialmente gli articoli E ora nel mirino della neochiesa c’è Maria Vergine, e «Figli, non bevete del veleno che il mondo vi offre», pubblicati, rispettivamente, su Il Corriere delle Regioni il 28/06/2017, e su Nuova Italia. Accademia Adriatica di Filosofia, il 25/07/2017). E abbiamo indicato due delle cause fondamentali di tale incompatibilità: il fatto che Maria è d’intralcio, se così possiamo esprimerci, al tanto strombazzato "dialogo" con le chiese scismatiche protestanti, in nome di un principio astratto e letteralmente inventato dal Concilio Vaticano II, ossia che non è ammissibile il perdurare della separazione fra le diverse confessioni cristiane e che qualunque prezzo deve essere pagato pur di ricomporle a unità; e il fatto che la funzione essenziale di Maria è la mediazione fra l’umanità peccatrice e il suo divino Figlio, cosa che pone l’accento sul peccato e che non piace, di per sé, ai cattolici progressisti, i quali non amano considerare l’uomo nella sua fragilità e nel suo limite creaturale, ma preferiscono guardarlo nella sua eccellenza e nella sua perfezione, così da porlo di fronte a Dio quasi in un rapporto di pari dignità ontologica. Vogliamo ora parlare di una terza causa di quella inconciliabilità, ancor più profonda e che si colloca veramente alla sua radice: il fatto che il modello femminile rappresentato da Maria Vergine è agli antipodi del modello femminile alla cui costruzione lavora senza posa, da almeno tre secoli, la cultura moderna. In pochissime parole, Maria è inconciliabile con il femminismo. E il fatto che, nella teologia contemporanea, siano fiorite delle correnti di sedicente teologia femminista, indica quanto a fondo sia penetrato il male e quanto difficile sia la battaglia per estirpare il veleno e restituire non solo il culto mariano, ma la concezione teologica mariana, alla sua purezza e trasparenza originarie.
La cultura moderna fa perno sull’idea di progresso, che ne è l’anima, il motore, la ragione profonda; le culture che non hanno assolutizzato il progresso, sono le culture pre-moderne: e ciò vale per tutte le culture non occidentali prima della seconda metà del XIX secolo, e per la stessa cultura occidentale anteriormente alla triplice rivoluzione che si snoda a cavallo fra il XVII e il XIX secolo: scientifica, politica e industriale. Senza la centralità dell’idea di Progresso, non c’è modernità: e dove c’è la modernità, il Progresso diventa la nuova religione, tanto esigente quanto infallibile, alla quale ci si affida per ogni speranza di bene, presente e futuro. Tipico esempio, la speranza di poter debellare, un domani, le patologie tumorali, grazie ai progressi della medicina occidentale moderna, basata sulle terapie invasive della chimica e della chirurgia; oppure la vaccinazione obbligatoria, imposta per legge a tutti i bambini, in funzione profilattica verso determinate malattie e senza troppo sottilizzare sui possibili effetti iatrogeni, ossia non voluti e dannosi per l’organismo umano, dei vaccini stessi, ridotti a semplici effetti collaterali, statisticamente irrilevanti (cosa, quest’ultima, non precisamente vera). Ora, se il progresso è la molla della modernità e la sua ragione essenziale, è evidente che tutto, anche i rapporto sociali, devono obbedire alla legge del progresso, la quale, lo si dà per scontato e come parte del paradigma fondante (che si regge, come tutti i paradigmi, essenzialmente su un atto di fede), vuole che si passi dalla socialità all’individualismo, dall’obbedienza alla libertà, dalla sottomissione all’emancipazione, dalla sobrietà all’ostentazione, dalla modestia all’affermazione di sé, dal sacrificio e dalla rinuncia all’edonismo e all’inseguimento sfrenato e sistematico di tutto quel che può produrre il proprio piacere.
In questo paradigma, non c’è posto per le mezze misure: una donna che sacrifichi le proprie opportunità di carriera, o le proprie voglie sensuali, o qualunque altro aspetto dei propri desideri e dei propri istinti (senza alcuna gerarchia di valore fra gli uni e gli altri, e fra entrambi e l’idea del bene e del giusto in senso oggettivo) non può che apparire come una perdente, una repressa, una infelice e una vittima della cultura maschilista, anche nel caso che si tratti di scelte assolutamente libere, ponderate e responsabili. Anzi, dal punto di vista della cultura moderna, che, quanto alla condizione femminile, è tutt’uno con il femminismo, in questo caso si tratterà di un esempio da manuale di auto-repressione e di auto-castrazione psicologica, riconducibile, comunque, a qualche deleteria figura maschile o, in ogni caso, alla nefasta azione complessiva esercitata sulle nature più sensibili e scrupolose dalla società, a sua volta dominata dal maschilismo. Cosa, anche questa, tutta da dimostrare, ma le femministe non si prendono il disturbo di provarci, perché, se lo facessero, dovrebbero scendere, e sia pure per un istante, dal piedistallo sul quale si son messe da sé, e ammettere, anche solo in via d’ipotesi, che il loro paradigma potrebbe fare acqua, scricchiolare da qualche parte, ossia che potrebbe contemplare qualche eccezione, cosa impossibile perché il paradigma della modernità, essendo — come tutti i paradigmi – una verità di fede, non si discute nemmeno. O lo si accetta, e allora si va nella direzione giusta, o lo si rifiuta, e allora si precipita nell’immondezzaio della storia, per usare la gentile espressione di uno che, di quel paradigma, se ne intendeva: Lev Trotzkij, massimo artefice, insieme a Lenin, del colpo di Stato che portò i comunisti al potere in Russia, e che si è poi auto-legittimato col nome di Rivoluzione d’Ottobre.
Ora, la Vergine Maria rappresenta, nel più alto grado, tutte le qualità che la cultura femminista odia, detesta e aborrisce: rappresenta la donna che si sacrifica totalmente, che si annulla per l’uomo da lei amato (in questo caso, il Figlio), che vive non per se stessa, ma per lui; che si reprime come donna, sessualmente a affettivamente, e che si annulla come persona; insomma, la donna che fa offerta gratuita di sé e che, quanto a se stessa, non chiede nulla, non vuole niente, non spera niente, se non di poter essere utile, con la sua offerta totale, a tutti gli altri. Le signore teologhe femministe stanno facendo del loro meglio per togliere questa fastidiosissima spina dalla loro sensibile coscienza di militanti della grande battaglia per Liberazione della Donna, ossia per dimostrare l’indimostrabile e per stravolgere completamente il senso della vita e della personalità di Maria, facendone, non si sa come, la campionessa di una femminilità liberata e libertaria, quasi un’antesignana delle femministe moderne, ossia loro stesse: ma vanno fatalmente a cozzare contro lo scoglio della sua Maternità sublime, che, per loro, è motivo di scandalo, anche se cercano di non darlo troppo a vedere. Il vero femminismo è, sia chiaro una volta per tutte, ferocemente abortista: il suo ideale di donna è rappresentato da una Emma Bonino, che, giovanissima, insegnava alle sue coetanee ad abortire con mezzi fai da te, quando la legge che liberalizzava l’aborto volontario non esisteva ancora nel nostro Paese. La stessa signora, notiamo per inciso, che i bravi "cattolici" di una certa comunità parrocchiale hanno invitato a parlare, in chiesa, dall’alto della sua sapienza e saggezza di superdonna, non di aborto, per carità, ma di un altro caposaldo della cultura progressista: il dovere della solidarietà e dell’accoglienza nei confronti qualunque massa di stranieri. Pertanto, una cattolica femminista è una contraddizione in termini, e una teologa femminista è una mostruosità concettuale: laddove già il fatto di insistere sulla condizione di teologa, cioè di teologo di sesso femminile, denuncia una totale incomprensione, o un totale rifiuto, del vero egualitarismo cristiano (che non è affatto quello dei progressisti), perché esalta l’io e lo mette al di sopra di tutto, laddove il vero cristiano ha compreso il segreto del farsi piccoli come fanciulli, ed esalta il Tu, perché, davanti a Dio, gli esseri umani, maschi e femmine, sono tutti straordinariamente piccoli, peccatori e bisognosi di redenzione.
E qui torniamo alla considerazione precedente. Ai progressisti non piace che qualcuno ricordi loro l’umana piccolezza e fragilità; non piace che qualcuno ricordi loro l’essenzialità e l’unicità della Redenzione portata da Gesù Cristo; e non piace che qualcuno, o qualcosa, rammenti loro il valore salvifico e irrinunciabile della Croce. La Croce, per loro – adoperando la celebre espressione paolina – è scandalo, come lo fu per i Giudei, e follia, come lo fu per i Greci: e i progressisti, anche se verniciati esteriormente di cattolicesimo (ma un cattolico progressista è un altro ossimoro, un’altra contraddizione in termini), ci tengono moltissimo ad essere, e ancor più ad apparire, sapienti e intelligenti. La Vergine Maria che piange suo Figlio ai piedi della Croce, è, per loro, qualche cosa d’incomprensibile: e lo è per la buona ragione che la croce, loro, la considerano un male da evitare, ogni volta che sia possibile, e, magari, anche quando in realtà non lo sarebbe. Logico anche questo: se l’edonismo è uno dei punti qualificanti del "programma" progressista, la Croce di Cristo, e anche la croce del singolo cristiano, non è strumento di salvezza, ma una vera e propria maledizione, nonché un residuo d’una mentalità arcaica, radicalmente pessimista, e — per fortuna, secondo loro — ormai decisamente superata. E non è solo lo spirito di abnegazione e di sacrificio di Maria Vergine nei confronti del suo divino Figlio, a scandalizzare i progressisti, i modernisti e le femministe; è anche tutto l’insieme delle sue qualità femminili: il pudore, la modestia, la dolcezza, la pietà, che sono in radicale e irrimediabile contrasto con la lussuria, il narcisismo, la durezza e il cinismo, i quali, nella donna moderna, stanno a testimoniare il salto di qualità, secondo loro, rispetto al precedente ruolo femminile, debole e sottomesso all’egoismo maschile. Nella letteratura, nel cinema, alla televisione, ne lla pubblicità, il tipo femminile moderno che viene diffuso sempre più largamente,e che centinaia di milioni di donne si sforzano d’imitare, almeno esteriormente, nella realtà concreta della loro vita — senza minimamente riflettere che si tratta di un modello fittizio e, perfino sul piano fisico, del tutto fasullo, basato su accorgimenti tecnici o interventi massicci della cosiddetta chirurgia estetica — è, appunto, un tipo lussurioso, narcisista, duro e cinico, ovviamente presentando tali caratteristiche in senso positivo.
Ora, bisogna capire bene di che cosa stiamo parlando, e quale sia la posta in gioco. Non si tratta di porre un’alternativa secca fra sensualità e misticismo: solo una piccola minoranza di uomini e di donne si sente chiamata alla vita religiosa; e non c’è nulla, anche nella morale cattolica, che condanni, di per sé, una sana e robusta sensualità, sempre che essa non degeneri nel vizio. Il confine è meno sottile di quel che non si creda: qualunque persona dotata di istinti sani e normali capisce qual è la differenza fra una legittima esplicazione della sessualità e un comportamento sessuale disordinato, che degrada l’altro a mero strumento del proprio piacere e che fa del piacere stesso il fine e lo scopo, anziché l’effetto e il completamento, di una relazione affettiva fra due persone. Senza entrare in inutili particolari, è evidente che quel confine esiste e che è sufficientemente chiaro per essere riconosciuto da chiunque sia in buona fede, cioè da chiunque sappia guardarsi dentro con un minimo di onestà e non sia uso a inventare sofismi per giustificare la propria tendenza al vizio e al disordine. Questo discorso vale specialmente per un cattolico, che cerca di conformare tutta la sua vita alla luce della Rivelazione divina, così come essa si manifesta nel Vangelo. E, a proposito di questo, è evidente che i cattolici non sono immuni sia da comportamento disordinarti, sia da ipocrisie con le quali cercano di ammantarli. Le scene poco edificanti delle ultime edizioni della Giornata mondiale della gioventù, istituita da Giovanni Paolo II, e specialmente quella di Rio de Janeiro, del luglio 2013, con la partecipazione di una massa incontrollabile di tre milioni e mezzo di persone, sono di quel genere che non avremmo mai voluto vedere. E il fatto che fior di vescovi si unissero a quella atmosfera oggettivamente disordinata, e la riscaldassero ancor più, per esempio mettendosi a ballare la samba sulla spiaggia di Copacabana, non ha fatto che acuire la profonda tristezza di tali degenerazioni. Una volta che si sia imboccato il piano inclinato dell’edonismo e del permissivismo, è difficile fermarsi; si scende sempre più in basso, quasi trascinati da una forza irresistibile. Non sapremmo in quale altro modo spiegare il contegno di quei vescovi indegni che, scendendo sempre più in basso, ora si fanno paladini della causa omosessuale e dichiarano pubblicamente che l’amore fra due uomini o fra due donne dovrebbe essere riconosciuto, approvato e benedetto dalla Chiesa stessa, mediante il sacramento matrimoniale.
Ora, la posta in gioco è la sopravvivenza stessa della nostra società, fondata sull’amore fecondo e rispettoso fra due coniugi, ovviamente di sesso diverso. Ciò, per un credente, dovrebbe essere cosa ovvia; ma osiamo dire che dovrebbe esserlo anche per un non credente, purché intellettualmente onesto e giustamente pensoso sui pericoli che minacciano il nostro futuro, e specialmente quello dei nostri figli. A chi consideri le cose con retto giudizio, non sfuggirà che la lussuria è il principale fattore di dissoluzione della società, perché è quello in cui più facilmente, dietro la maschera della rivendicazione di una libertà individuale pressoché assoluta, si possono dare libero sfogo agli istinti più brutali e selvaggi della natura umana; ed è chiaro che la cultura femminista non intende recedere dalla battaglia per la libertà sessuale, cioè per la lussuria. Ebbene, Maria Vergine incarna il modello opposto di persona, di donna, di madre. Non c’è da stupirsi se i cattolici progressisti l’amano poco…
Fonte dell'immagine in evidenza: RAI