
Una lezione più che mai attuale: come san Pio X smaschera i falsi riformatori
17 Luglio 2017
Perché una cosa esista, devono esserci un dentro e un fuori: e ciò vale anche per la Chiesa
18 Luglio 2017La famiglia, la famiglia formata da un uomo e una donna che sperano di avere dei figli, e sono pronti ad accoglierli; la famiglia che nasce da un amore puro dei coniugi l’uno verso l’altro, e di entrambi verso la prole, con l’impegno solenne al rispetto, all’aiuto e al sostegno reciproco, nella buona e nella cattiva sorte; la famiglia che cerca il proprio fondamento nell’amore soprannaturale di Dio e che fonda la propria speranza non in cose materiali e umane, ma in Lui, e in Lui soltanto: questa è la base della società e il pegno della sua sopravvivenza. Finché essa esiste, nulla è perduto; se essa si dissolve, nulla e nessuno potranno salvare la società dalla completa rovina. La famiglia moralmente sana, onesta, laboriosa, affettuosa, aperta all’amore di Dio e del prossimo, è quasi una piccola prefigurazione del paradiso: lì, e soltanto lì, si può trovare quanto di più simile sia possibile immaginare, umanamente parlando, alla dedizione totale e all’amore disinteressato. Per quante imperfezioni, per quante difficoltà la facciano soffrire, essa è come una luce che continua a brillare nelle tenebre. Quella luce si spegne se in essa prevale l’egoismo; se gli sposi cessano di amarsi e rispettarsi, per inseguire un miraggio di felicità che li rende immemori dei loro doveri e dell’impegno da essi contratto; se i figli disprezzano l’autorità dei genitori e se i genitori si disinteressano della doverosa educazione dei figli.
Oggi si sente parlare molto, forse troppo, anche nella Chiesa cattolica, anche da parte del clero, e con molta indulgenza, di quelle famiglie che si sono spezzate a causa di circostanze "complesse" e "drammatiche", e del fatto che gli sposi, pur avendo rotto il sacramento del matrimonio, nondimeno vorrebbero essere riammessi alla piena comunione ecclesiale, pur senza riconoscere pienamente la loro colpa e senza modificare in nulla il loro stile di vita e la loro condizione attuale. Ci piacerebbe sentir parlare di più del coraggio, talvolta dell’eroismo, di quelle famiglie i cui membri lottano contro immani difficoltà per restare uniti, per non smarrire le ragioni dell’amore fra i loro membri. Vi sono spose che restano accanto al marito colpito da malattie gravissime, invalidanti, avvilenti, che lo rendono simile a un vegetale, e che non perdono il sorriso, né la speranza, né la fede; e vi sono mariti che sanno fare la stessa cosa per la moglie o per i figli, con una abnegazione, con una dolcezza, con una capacità di donarsi, che hanno veramente qualcosa di sovrumano. E qualcosa di sovrumano, realmente, deve esserci: perché Dio non rinnega le sue promesse, non rifiuta il suo aiuto e non respinge coloro che, un giorno, si sono legati da un sacro vincolo dinanzi a Lui, e a Lui hanno chiesto di assisterli in ogni circostanza della loro vita, lieta o triste. Ragionando secondo dei criteri puramente umani, è impossibile immaginare che delle persone riescano a trovare le energie morali e fisiche necessarie per condurre una vita così dura, assistendo dei malati di tale gravità, e questo senza scoraggiarsi, senza avvilirsi, senza ribellarsi e senza perdere la tenerezza nei confronti degli altri e il rispetto comunque dovuto anche a se stessi.
Le società sane hanno sempre saputo quanto sia indispensabile l’unione familiare per assicurare la loro stessa sopravvivenza, e di regola, nei secoli passati, sia le leggi dello stato che quelle religiose prevedevano pene severe per chi infrangeva il vincolo della fedeltà coniugale. Nell’impero romano vigeva la pena di morte per gli adulteri, sia uomini che donne; pare che la condanna a morte di Fausta, la moglie di Costantino il Grande , sia scaturita dalla dura necessità, per l’imperatore, di far vedere ai suoi sudditi che, quanto alla sua stessa famiglia, egli non pretendeva un trattamento diverso da quello riservato dalle legge a chiunque altro (di questa opinione è lo storico tedesco Eberhard Horst, anche se l’episodio è piuttosto oscuro e controverso). Ma, naturalmente, nessuna pena, nessuna minaccia e nessuna condanna, possono conservare la santità della famiglia, se questa nasce su basi sbagliate, o se è solo una contraffazione di ciò che dovrebbe essere realmente una famiglia. Se l’unione dell’uomo e della donna nasce da ragioni puramente egoistiche, da interessi economici o materiali, da appetiti sensuali passeggeri, che inevitabilmente finiranno e daranno luogo a un senso di stanchezza e alla brama di altre esperienze, è logico che quella famiglia possiede in se stessa, fin dall’inizio, le ragioni della propria dissoluzione futura. Ciò che rende solido il legame familiare non può essere imposto dall’esterno, ma deve nascere da una scelta personale e da tutto uno stile di vita dei due futuri sposi. Da persone sane, moralmente oltre che fisicamente, nascerà una famiglia sana; da persone viziose, immature, ciniche, disoneste, nascerà una famiglia fragile, che si disperderà al primo soffio di vento.
Ed è perfettamente inutile che stuoli di solerti psicologi vengano poi a spiegare che i bambini possono accettare perfettamente la separazione dei genitori, purché questa avvenga nelle forme civili di un atto consensuale e rispettoso: la verità, nuda e cruda, è che la separazione dei genitori provoca nei figli, specialmente se ancora bambini, una sofferenza enorme, e apre in loro una ferita immedicabile, che provocherò scompensi, disagi e svariate forme di malessere esistenziale. Se, poi, i genitori separati e divorziati vogliono mettersi a posto la coscienza, lasciandosi ingannare dalle sirene di quei sedicenti psicologi, facciamo pure: ma essi agiscono come lo struzzo che nasconde la testa sotto la sabbia, per non vedere la gravità del pericolo. È meglio guardar le cose in faccia e chiamarle onestamente con il loro nome. Sposandosi e mettendo al mondo dei figli, i genitori hanno preso un impegno preciso verso di questi: quello di accudirli, di assisterli, di proteggerli e, naturalmente, di risparmiare loro ogni inutile e crudele sofferenza. Separandosi, non di rado per motivi più che discutibili, per il capriccio di uno dei due, o per la ripicca dell’altro, essi vengono meno a questo impegno e tradiscono la fiducia dei loro bambini: avevano promesso di proteggerli, e adesso li gettano in una situazione dolorosa, lacerante, a volte straziante, perché per qualsiasi bambino normale vedere i due genitori che prendono strade diverse, e trovarsi separati da uno dei due, equivale a una sofferenza indicibile, che nessun regalo costoso e nessun vacanza al mare o all’estero potranno minimamente risarcire. Peggio ancora se la separazione darà luogo a battaglie legali, a ostilità durature, a rancori inestinguibili, tutte cose che intossicano l’atmosfera di una casa e che accrescono ulteriormente la sofferenza dei figli, come chi getti del sale su di una ferita aperta. Naturalmente, la mentalità del mondo è giunta a un punto tale di malizia, da presentare la separazione come un atto di "coraggio" e quasi un dovere verso se stessi e persino verso i figli, perché, quando l’amore tra i coniugi viene meno, restare ancora insieme sarebbe una "finzione", una "ipocrisia", e bisogna far vedere anche ai propri figli che la cosa più importante, nella vita, è "essere se stessi", non sottomettersi a niente e a nessuno, rivendicare sempre e comunque il proprio diritto alla "felicità", non importa se passando sopra a impegni e promesse, e se infliggendo gravi sofferenze ad altre persone. Della mia vita sono padrone io, e io soltanto: questa è la nuova tavola della legge, il nuovo comandamento laico, che gli adulti si propongono d’insegnare ai bambini, in modo da crescerli simili a sé: infedeli, sleali, spergiuri, incostanti, inaffidabili, e tutti dediti alla ricerca, non della propria felicità (che è sempre un bene oggettivo), ma del proprio piacere, che è cosa ben diversa, e che, fondata su tali premesse, è assai probabile che durerà ancor meno di quell’altra, che si credeva di aver raggiunto con il matrimonio e che poi aveva prodotto una "delusione", a cui ci si era voluti ribellare. Questa, invece, è ipocrisia, e della peggior specie: chiamare bene il male, e male il bene, solo perché non si ha il coraggio di essere onesti con se stessi, e, di conseguenza, onesti con le persone che ci si era impegnati solennemente ad amare, rispettare, assistere e proteggere.
Delle cosiddette "famiglie arcobaleno" non vogliamo neppure parlare: il solo chiamarle "famiglie" è una profanazione. Oltre al fatto che, quanto alla prole, esse fanno ricorso a pratiche biasimevoli, anche se, in parte, legalmente fruibili, il fatto stesso che si basino sull’unione di due "coniugi" dello stesso sesso le pone al di fuori del contesto vero e naturale della famiglia. La circostanza che la società odierna, scesa ai più bassi gradini della depravazione e dell’offuscamento intellettuale, oltre che morale, sia arrivata a vedere simili cose come normali (peraltro contraddittoriamente, dato che essa nega il concetto stesso di normalità), e a legalizzarle, equiparandole in tutto (fuor che nella promessa di fedeltà reciproca!, cosa davvero significativa) alle famiglie formate da un uomo e una donna, non significa nulla, se non che in un mondo di pazzi, la pazzia viene abolita per legge e la salute mentale viene riguardata come una anomalia da correggere o da estirpare. Piuttosto, ci preme porre in evidenza che i paladini delle unioni omosessuali (una contraddizione in termini: la sessualità è l’unione, potenzialmente fertile, dei gameti femminili e di quelli maschili), i crociati della ideologia gender, che ora pretendono di venire nelle scuole ad insegnare ai bambini e ai ragazzi che cosa sia la vera sessualità, non hanno di mira tanto la "liberalizzazione" delle anomalie sessuali, quali omosessualità, bisessualità, transessualità (in effetti, chi mai impedisce a quelle persone di vivere la loro vita come meglio credono?), quanto l’attacco indiretto, veramente micidiale, che viene portato alla famiglia naturale, formata dall’uomo e dalla donna. Quello è il loro vero scopo, il loro vero obiettivo: dare il colpo di grazia alla famiglia quale essa realmente è, per sostituirla con qualsiasi tipo di unione; mentre già si profilano ulteriori "traguardi di civiltà", come li chiamano, con impudenza, i loro sostenitori, quali la legalizzazione delle unioni fra esseri umani e animali, oppure quella della pedofilia, eretta al rango di "amore consensuale" e, perciò, cosa perfettamente legittima (anche nel caso di un vecchio e di una bambina di undici anni). Tutto questo mentre si tace sullo stillicidio, totalmente oscurato dai mass media, delle interruzioni volontarie della gravidanza, come elegantemente si chiamano gli aborti volontari. Su quei milioni e milioni di creature umane alle quali viene negato il diritto di nascere, dopo che sono state generate e che la natura le sta preparando a divenire degli esseri umani completi, pronti ad affrontare la grande avventura dell’esistenza. E anche questo è, fra le altre cose, un attacco alla famiglia; anche questo basato sulla capacità di anestetizzare la percezione della sua vera natura criminale, e di contrabbandarlo come diritto alla "libertà" da parte della donna (benché il concepimento di un essere umano sia opera di una donna, ma anche di un uomo; almeno fino a quando ci penseranno semplicemente le macchine, come, del resto, sta già incominciando ad avvenire).
Abbiamo detto: bisogna tornare alla santità della famiglia, non solo alla sua sanità. La premessa e l’impostazione religiosa sono, a nostro avviso, essenziali. E siccome il matrimonio religioso, in Occidente, sta incominciando a diventare una rarità, una eccezione, e comunque, sempre più spesso, una quasi formalità, dato che giunge dopo anni di convivenza (alla faccia del significato originario dell’abito bianco della sposa), diciamo subito che, se non vi sarà una inversione di tendenza la famiglia è spacciata, e, con essa, anche la società, nel suo insieme, è condannata all’auto-distruzione. Anche se, per anni e per decenni, intellettuali, scrittori, artisti, drammaturghi, registi, psicanalisti, cantanti e opinionisti d’ogni genere hanno fatto a gara nel gettare palate e palate di fango su di essa, accusandola delle peggiori storture, grettezze e oscenità, magari proiettando su di lei le loro fantasie morbose e depravate (come il divino marchese De Sade i suoi innumerevoli discepoli e nipotini), la verità è che nessuno, in tutto l’arco della storia umana — tranne che nelle utopie sconclusionate di qualche filosofo — ha mai saputo "inventare" qualche cosa si meglio di essa, o che le si possa anche solo lontanamente paragonare. D’altra parte, è evidente che, per tornare alla santità della famiglia, bisognerebbe ritornare, innanzitutto, alla santità della vita umana: si dovrebbe recuperare il sentimento che la vita stessa è una chiamata di Dio, quindi una cosa santa, o potenzialmente santa; e che lo scopo di essa, da parte degli uomini, è appunto quello di santificarla, per quanto possibile, cioè di viverla in armonia con la legge di Dio, che è, in primissimo luogo, la legge dell’amore. Non si pensi che questo è un obiettivo irrealistico, perché troppo ambizioso: la santificazione della propria vita è alla portata di tutti, beninteso a condizione di volerlo; e molti di noi hanno visto i loro genitori, o i nonni, avvicinarsi non poco a questo ideale. Non erano persone fuori dell’ordinario; erano persone normali, spesso di modesta condizione sociale e di modestissima cultura: però erano persone che vivevano la vita, giorno per giorno, con quella serietà, con quella dedizione, con quella purezza di intenzioni, che conducono alla sua progressiva santificazione. Tuttavia, volere una cosa del genere non è sufficiente: è la condizione necessaria, ma non è ancora sufficiente. La condizione che la rende possibile non dipende dall’uomo, ma da Dio, dal suo aiuto soprannaturale. E poiché la vita è un dono di Dio, anche la sua santificazione viene da Lui: ed Egli la concede a quanti la desiderano e la cercano, con cuore sincero e con comportamenti coerenti. Sì, anche con comportamenti coerenti: perché non basta desiderare una cosa, bisogna anche fare un sia pur minino sforzo verso di essa. Ciò comporta dei sacrifici: una parola che sta sparendo dal nostro vocabolario quotidiano, sempre più improntato all’utilitarismo edonista, ma che dobbiamo ritrovare.
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