
25 luglio 1943, fu tradimento? b) Grandi
8 Luglio 2017
25 luglio 1943, fu tradimento? c) Federzoni
9 Luglio 2017Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne, io la vivo con la fede nel Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me: con queste stupende parole san Paolo, nella Lettera ai Galati (2, 20) ci fa capire che cosa avviene allorché l’anima, purificata dal peccato, fiduciosa e abbandonata interamente in Dio, attraverso l’amore di Gesù Cristo e illuminata dallo Spirito Santo, rinasce a nuova vita, la vita divina, pur continuando a dimorare nel corpo.
Immersi come siamo nella dimensione naturale, tendiamo a dimenticarci che la natura non è tutto, e che il nostro corpo di carne non è tutto; tendiamo a scordarci che esiste una vita soprannaturale, dalla quale discendono nell’anima la salute, la forza, la bellezza, la trasparenza, la gioia. Oppure, se ci pensiamo, siamo indotti a immaginare che questa vita soprannaturale e invisibile si annidi chissà dove, si sottragga alla vista in chissà quali altezze, e, insomma, che non giungeremo mai a farci alcuna idea esatta di quel che essa sia, perché i nostri sensi e la nostra ragione sono troppo limitati per poterlo fare. Tuttavia si tratta di un errore evidente: la vita soprannaturale, la vita divina, è, sì, un’altra vita, ma essa non è aliena e sconosciuta a noi uomini, astratta, irraggiungibile; non è una dimensione cui non possiamo accedere, o lo possiamo solamente per pochi, fortunati istanti di intensa preghiera e contemplazione. Al contrario, la vita divina irrompe in noi, nella nostra anima, già qui, adesso, nella dimensione terrena, ogni qualvolta noi ci poniamo in stato di grazia, cioè ogni qualvolta, purificati dal peccato, sgombri dalla concupiscenza e aperti all’azione dei Sacramenti, che sono come altrettante porte e finestre dalle quali entrano l’aria, la luce e il calore celesti, la presenza di Dio abita in noi, dimora in noi; e noi non viviamo più la vita di prima, la nostra vita, una vita carnale, ma viviamo un’altra vita, la sua vita, la vita del Signore che è entrato in noi e ha trovato in noi un tempio atto a riceverlo.
Illusioni, fantasticherie? Eppure, quando una persona è in grazia di Dio, si vede: lo si vede con la stessa chiarezza con cui si vede quando una persona è lontana da Dio Il suo sguardo è luminoso, il sorriso irradia una luce indefinibile, i suoi gesti, i suoi passi sembrano quelli di una creatura angelica: è una cosa che non sfugge neppure al nostro occhio carnale, figuriamoci all’occhio spirituale. I santi, che possiedono come una seconda vista, se ne accorgono prima e meglio degli altri, ma anche le persone comuni si accorgono che c’è qualcosa di speciale, d’ineffabile, di straordinario, in quell’uomo o in quella donna; qualcosa di straordinario non già nel senso umano, ma proprio in un senso altro: si percepisce che essi sono già proiettati in un’altra dimensione, la dimensione soprannaturale, e ciò nel bel mezzo della loro vita nell’ordine naturale, delle loro normali occupazioni quotidiane. Talvolta gli uomini piccoli si rivelano straordinari, per un momento, se posti davanti a circostanze eccezionali, poi ripiombano nella loro piccolezza; gli uomini grandi, cioè quelli che sanno farsi piccoli davanti a Dio, possiedono una costante eccezionalità, una sorta di straordinarietà nel quotidiano, che li rende cari e preziosi a tutti gli altri, tranne ai malvagi più induriti, e fa sì che la loro semplice presenza spanda intorno a sé un profumo divino che reca pace, serenità, perdono. In loro presenza, è impossibile odiare; è impossibile bestemmiare, è impossibile agire con violenza verso un altro essere umano, e sia pure solo verbalmente, ed è impossibile perfino provare cattivi pensieri verso chicchessia; in loro presenza si prova un po’ di vergogna o un po’ di malinconia, al pensiero di quanto si è, normalmente, immersi e sprofondati in una spessa dimensione materiale, fatta di brame, di passioni, d’impulsi disordinati. Presso di loro, ci si rende conto, con stupore, di quanto sappia di chiuso e di viziato l’aria che respiriamo di solito, e quanto sarebbe bello poter aprire la finestra e riempirsi i polmoni con l’aria fresca e pulita che viene dall’esterno, la sera, dopo la pioggia che ha bagnato la terra e rinfrescato ogni cosa. Presso di loro, ci si sente affascinati, trasportati altrove, come se qualcuno ci mostrasse con un gesto della mano un giardino meraviglioso, della cui esistenza non sapevamo nulla, e la cui porta si apre proprio accanto alla porta di casa nostra, anzi, fin dentro casa nostra, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Scriveva Jacques Leclerc (Bruxelles, 1891-Beaufrays, Lovanio, 1971), sacerdote, noto professore all’Università Saint Louis della capitale belga e, in seguito, all’Università cattolica di Lovanio, studioso di teologia morale e di metafisica, nonché animatore di un movimento cattolico della Vallonia, nel suo libro Meditazioni di vita cristiana (titolo originale: Trente meditations sur la vie chretienne, Tournai-Paris, Casterman, 1947; traduzione dal francese, Milano, Edizioni Paoline, 1956, pp. 78-85):
È dunque vero, o Signore, che tutta la mia vita è diventata tua; che ciò che si chiama vita soprannaturale forma ormai tutta la mia vita e quindi non c’è più nulla in me, eccettuato il peccato che non sia tuo quanto mio, che, se sono virtuosi, i miei atti sono tuoi, sono di te, atti di Cristo, atti di Dio, e che c’è in essi qualcosa di divino (qualcosa: non so con esattezza cosa) che, quantunque siano atti dell’uomo, sono nello stesso tempo atti di Dio risultando ognuno di essi non la sovrapposizione di un atto di Dio ad un atto dell’uomo (come avveniva per le divinità d’Omero che si combattevano nel cielo al di sopra dei Greci e dei Troiani che si davano battaglia in terra), ma un unico atto, una sola volontà che nello stesso tempo è di Dio e nostra, che è di Dio essendo nostra?…
Nessuno mai è giunto ad esprimere queste cose che con la loro profondità, per poco che ci si pensi, ci lasciano sbalorditi. È vero che tutta la mia vita che in questo momento è divenuta la tua vita , che la tua grazia scende fino alle radici del mio essere, mi trasforma nel più intimo di me, in modo che tutto ciò che procede da me procede nello stesso tempo da te e che il mistero della tua Incarnazione, proprio la tua, di Cristo, si rinnova in me (beninteso, secondo una filiazione adottiva, poiché Tu solo sei Figlio nella pienezza della filiazione, quantunque si tratti di una filiazione adottiva del tutto diversa da quanto chiamiamo adozione noi uomini, perché la nostra adozione non è, in fondo, che un atto giuridico, mentre la tua adozione, a te propria, è trasformante) e che è nel mio essere che avviene una mutazione quando la tua vita mi invade?
In questo modo dunque tutta la mia vita umana diventa divina; proprio la mia vita umana, quindi non devo cercare il divino al di fuori dell’umano. Non è che sia umano, ma si manifesta nell’umano, come ad es. in te, nella tua persona divina di Uomo-Dio che nello stesso tempo trovo tanto umana e tutta divina. Ed anche su di un piano più modesto, su quello cioè in cui la vita divina si realizza in me, tutto è divino in me. Il tuo tocco fa sgorgare in me, come hai detto tu stesso, una fonte d’eternità, ed ormai come lo dice anche il tuo Apostolo, "sia che mangi o che beva" anche negli atti più semplici, tutto è divino in me. […]
E questa azione divina si manifesta anche al di fuori. Coloro che avvicinano il cristiano notano in lui un qualche cosa di indefinibile, una specie di luce e di pace e nello stesso tempo di delicatezza, di carità, di una prerogativa che non si trova affatto altrove. La vita musulmana, l’antica cultura greca, lo spirito di un libero pensatore che sia onesto, ogni genere di vita ha una sua propria intensità: quella della vita cristiana rappresenta il mistero in cui il divino e l’umano si ritrovano. "Vedete come si amano", dicevano i pagani indicando i primi cristiani, ed anche oggi al passaggio di un buon cristiano, il profumo del divino si spande sotto i suoi passi e fa aleggiare la nostalgia di una purezza che non è di questo mondo. Si legge nel libro dell’Esodo che quando Mosè, chiamato dal Signore sul Sinai per ricevere le tavole della legge, salì sulla montagna, "la gloria del Signore si posò sul Sinai, avvolgendolo come una nube quasi di fuoco ardente". Anche sul cristiano dimora questa "gloria del Signore", riflesso di quanto i discepoli vedevano in Gesù; la si nota nella vita del cristiano, perché traspare dalla sua anima nelle sue azioni, nelle sue parole e persino nell’espressione del volto. È essa che attira, che converte, che anima tutto il corpo della Santa Chiesa perché essa è la vita divina in mezzo agli uomini.[…]
Sì, Signore; dammi la grazia di percepire questi valori che non possono essere afferrati dai carnali, questi divini ed autentici valori che si sviluppano in noi senza bisogno di scartare la natura perché puramente spirituali e trascendenti ogni creato, perché il divino ha la prerogativa di essere talmente incomparabile che il naturale non lo intralcia, né lo nasconde, ma si fa strada in qualunque cosa e ovunque. Dio per parlare a Balaam si è servito della di lui asina; ai magi ha parlato per mezzo della stella, ai pastori per mezzo degli angeli; egli solo è il padrone del proprio linguaggio e si serve degli strumenti che egli stesso sceglie. In noi, attraverso la vita soprannaturale frutto della redenzione, egli fa di più ancora che parlare: ci prende interamente e riconferma su di noi l’abbraccio della sua divinità. Tutta la nostra natura umana, in parole più vere, tutta la nostra vita di uomini, è inondata della sua luce; non devo cambiare nulla della mia vita umana all’infuori del peccato, perché Dio vi traspaia ed il mio essere nuoti nella sua gioia.
Tutti, sena dubbio, abbiamo notato che una persona, quando ama di un amore grande e totale, ed è, a sua volta, amata, emana una felicità che è quasi percepibile con i sensi ordinari, e, nello stesso tempo, diventa più bella, più viva, più profonda, ma anche più delicata, più spirituale, più — come dire? — trasparente. Ebbene: l’anima che si abbandona all’amore di Dio, totalmente, senza remore, senza resistenze, e che, a sua volta, Lo ama totalmente, immensamente, vive una esperienza analoga, ma ancora più struggente, quasi inesprimibile: non ci sono parole, infatti, per descrivere l’ingresso della vita di Dio nell’uomo. Non è che l’uomo si trasfiguri, perché si sforza di assomigliare a qualcosa che egli, normalmente, non è; ma è Dio stesso che entra in lui, ed essi diventano una cosa sola, per cui le parole dell’uomo, i gesti dell’uomo, i pensieri dell’uomo, non di qualunque uomo, ma proprio di quell’uomo che è stato capace di farsi così terribilmente piccolo per essere tutto e solo di Dio, diventano le parole i gesti e i pensieri divini, che si rivelano per mezzo della carne, della vita secondo l’ordine naturale.
Osserva, giustamente, padre Leclercq, che la vita della Chiesa, circonfusa da questo tipo di unione fra i suoi membri e Cristo, diventa, per mezzo delle anime che le appartengono, infinitamente affascinante, e capace di attirare a sé anche gli scettici, anche i nemici. Tuttavia, non possiamo fare a meno di chiederci se, oggi, questo sia ancora il tipo di luce che emana dalla Chiesa, a causa della fervida, intensa spiritualità dei suoi membri, clero e laici, e per merito dell’esempio che essa è capace di dare attraverso la liturgia, la pastorale, la dottrina, la ricerca teologica, oltre che attraverso la vita concreta dei santi. Chi ha avuto la fortuna di incontrare anche un solo sacerdote, anche un solo cristiano, nel cui sguardo, nei cui gesti e nelle cui parole sia visibile il prodigio della vita divina, sa quale triste contrasto sia dato, invece, dalla legione di preti e di fedeli che non solo non irradiamo alcuna luce, ma nei cui sguardi, nei cui gesti e nelle cui parole si percepiscono solo e unicamente sentimenti umani, passioni umane, magari anche sentimenti e passioni legittimi, perfino lodevoli, ma sempre e solo umani, senza nulla di spirituale, senza nulla che trasmetta il profumo dell’infinito. Ed ecco il danno immenso che è stato provocato, e che continua ad essere inferto, da quegli indirizzi ecclesiali, da quelle ricerche teologiche, da quelle pratiche pastorali, da quegli esperimenti liturgici, i quali disperdono e allontanano il profumo dell’infinito, per incentrare ogni cosa, sia a livello individuale, sia a livello comunitario, sulle capacità dell’uomo, sulla sua intelligenza, sul suo lavoro, sulla sua buona volontà, ma senza alcun afflato spirituale, senza fare il più piccolo passo in direzione della vita divina. Perché quest’ultima viene da Dio, è un dono di Dio, il dono della grazia; tuttavia, per riceverla, bisogna che l’anima umana, e sia pure, magari, nella maniera più segreta e impercettibile, abbia formulato la sua domanda di Dio, abbia espresso la sua sete di Dio, abbia detto: Sia fatta la tua volontà, e sia pure senza rendersene conto; perché, talvolta, può accadere anche questo: non tutti i santi trovano subito la loro strada, e non tutti si pongono fin dall’inizio nella giusta relazione con Dio).
La Chiesa deve tornare a predicare, come faceva una volta, come ha sempre fatto, come è suo compito, suo dovere e sua missione fare, la vita divina, non la vita umana; deve tornare a mostrare, con l’esempio concreto dei suoi uomini e delle sue donne, che il nostro scopo, la nostra meta, il nostro destino, sono la vita soprannaturale, non quella naturale; e che non troveremo l’amore di Dio, né quello del prossimo, chiudendoci in un orizzonte immanentistico, ma li troveremo entrambi se ci apriremo al profumo, al rischio, alla bellezza del Fiat, del Sì pieno e incondizionato a Lui soltanto…
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