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Se l’ecumenismo è una strategia per protestantizzare la Chiesa, noi non ci stiamo

Per mille rivi, per mille strade, per mille spiragli, la Chiesa cattolica sta subendo, a partiie dal Concilio Vaticano II, un sottile ma incessante processo di protestantizzazione. Un poco alla volta, cautamente dapprima, ora sempre più scopertamente, teologi, vescovi e preti cattolici si fanno portabandiera – con cinque secoli di ritardo! – delle idee di Lutero, le introducono di soppiatto nella dottrina, modificano insensibilmente il magistero, archiviano tacitamente la Tradizione in nome del principio luterano (ed eretico) della sola Scriptura.

E ne vediamo ogni giorno numerosi esempi, talmente comuni, ormai, da costituire la normalità: la normalità di una situazione decisamente abnorme, quella di una Chiesa che ripudia silenziosamente la propria dottrina e fa sua una dottrina eretica, vecchia e stravecchia: tutto ciò ha un nome, e si chiama apostasia dalla fede.

Ormai è diventata cosa abituale, e perciò "normale", sfogliando delle riviste cattoliche a grande tiratura, come Famiglia cristiana e Vita pastorale, trovare delle affermazioni sorprendenti, sia sotto il profilo liturgico, sia sotto quello teologico (e ne abbiamo parlato, in più occasioni, con degli articoli specificamente dedicati a questo argomento); affermazioni che danno praticamente per scontato un processo di protestantizzazione della Chiesa che, invece, se c’è stato, è stato surrettizio, condotto con una strategia ingannevole, cioè non dichiarando i suoi veri fini, ma dietro la parola passepartout dell’ecumenismo, un vero e proprio cavallo di Troia per contaminare la purezza della fede cattolica con una  serie di eresie vecchie di almeno 500 anni e solennemente condannate dal Magistero, dal Concilio di Trento, dal Vaticano I, dal Sillabo, dall’enciclica Pascendi e così via. Ma di che cosa meravigliarsi, dopo che il papa Francesco, in persona, ha dichiarato che la dottrina, se diventa "ideologia"- vale a dire, se rimane fedele  se stessa – è una cosa brutta e che va eliminata, perché ostacola l’essere dei "veri" cristiani?

Ecco, infatti, cosa ha detto il papa nella sua omelia da Santa Marta il 19 maggio scorso, trasformando, come nel suo stile, il silenzio e l’adorazione del Sacrifici Eucaristico in una rumorosa tribuna per le sue fluviali e polemiche esternazioni, quasi sempre del tutto scollegate dalla meditazione spirituale sul Messale del giorno, e tese unicamente a forzare il significato della divina Rivelazione nel senso di un ecumenismo indifferente alla Verità e di un "dialogo" con i non cristiani che equivale a un vero e proprio relativismo, cioè all’abbandono puro e semplice della fede cattolica:

Ma sempre c’è stata quella gente che, senza alcun incarico, vanno a turbare la comunità cristiana, con discorsi che sconvolgono le anime. Eh, no questo è eretico; Quello non si può dire; Quello, no; La dottrina della Chiesa è questa. E… e… e sono FANATICI, di cose che non sono chiare, come questi fanatici che andavano lì, seminando zizzania, per dividere la comunità cristiana. E questo è il problema: quando la dottrina della Chiesa, quella che viene dal Vangelo, quella che ispira lo Spirito Santo, perché Gesù ha detto Lui: Ci insegnerà e vi farà ricordare quello che Io ho insegnato; quella dottrina diventa IDEOLOGIA. Questo è il grande sbaglio di questa gente

Ora vediamo, con sgomento, che anche le riviste cattoliche più specificamente rivolte a un pubblico di lettori selezionati, per esempio di frati o di suore di questo o quell’Ordine religioso, o rivolte a dei laici i quali, comunque, si ispirano in maniera particolare a questo o quell’Ordine religioso, sono infettate dal veleno modernista e da tendenze chiaramente ereticali, in particolare neo-luterane.

Sulla rivista dell’Associazione Amici di San Leopoldo, Portavoce di san Leopoldo Mandic, nel numero 3 dell’aprile 2017, un articolo, a firma di Giampaolo Dianin, reca un titolo di per sé eloquente, Cercare sempre e con tutti la riconciliazione, sottotitolo La sfida quotidiana dell’ecumenismo, nel quale, a un certo punto, si può leggere questa valutazione della figura e dell’opera di Lutero:

L’ecumenismo è parte della nostra coerenza cristiana come l’amore ai poveri, la preghiera, la giustizia sociale. Se l’amore di Cristo ci abita, ci spinge anche a soffrire, a pregare e a cercare l’unità e la riconciliazione. […]

Sullo fondo del percorso che ci viene indicato per quest’anno, troviamo il quinto centenario della Riforma protestante. Sappiamo dalla storia che la Riforma nasce da un desiderio di autenticità evangelica contro le non poche ambiguità che abitavano la Chiesa del 1500. Lutero si sente parte di una Chiesa ferita, sporca, malata, compromessa, con logiche mondane e mette al centro Dio che ci salva, ci perdona, ci giustifica. Vuole uno slancio verso l’alto che liberi e purifichi la Chiesa. Alla fine questi desideri porteranno a rompere l’unità della Chiesa. 

"L’amore di Cristo ci spinge alla riconciliazione", scrive Paolo. L’amore ha portato Gesù fino al dono della vita. Lui è morto per tutti e questo evento ci riguarda, sia perché è  morto anche per me, sia perché questo è il cuore della nostra identità cristiana.

Lutero aveva chiaro questo, lo aveva intuito scrutando le Scritture e ne era stato affascinato: siamo stati amati, salvati, liberati senza nessun merito, ma per un amore che è arrivato fino alla fine…

Una breve riflessione sul passo introduttivo.

Si dice che l’ecumenismo è parte della nostra coerenza cristiana: dunque, apprendiamo che l’ecumenismo, una parola quasi sconosciuta prima del Concilio Vaticano II, è diventato un elemento essenziale dell’essere cristiani (la parola "cattolici" viene evitata con cura, evidentemente per non disturbare o non offendere i non cattolici). Perciò si parla di coerenza cristiana e non di fede cattolica: laddove la coerenza prende il posto della fede, e il cristianesimo si sostituisce al cattolicesimo. Subito dopo si rafforza il concetto, affermando che l’ecumenismo è parte della coerenza cristiana alla pari  dell’amore ai poveri, della preghiera e della giustizia sociale. Veniamo così ad apprendere che le quattro virtù fondamentali del cristianesimo sono la coerenza, intesa come ecumenismo, a sua volta inteso come Cercare sempre e con tutti la riconciliazione (anche a scapito della dottrina, cioè della Verità?), l’amore ai poveri, la preghiera e la giustizia sociale. Ahimè, su quattro elementi, ne riconosciamo uno solo come autenticamente cristiano e cattolico: la preghiera, messa qui al terzo posto. Gli altri non sono specificamente cristiani, né, meno ancora, cattolici; anzi, non sono nemmeno specificamente religiosi. L’amore ai poveri, senz’altra specificazione, sa più di marxismo che di Vangelo: almeno se non si specifica che "poveri" sono tutti coloro i quali si trovano lontani da Dio, e dunque il concetto con coincide con la categoria sociale dei poveri in senso economico.

Quanto alla giustizia sociale, apprendiamo con sbalordimento che è stata innalzata a elemento centrale della fede cattolica (ma forse, appunto, l’autore non sta parlando della fede cattolica, ma di qualcos’altro, e quindi non la presuppone nel suo discorso, se pure non la considera un ostacolo): perché la giustizia sociale è certamente una bella cosa, ma, oltre al fatto di essere terribilmente opinabile – e la storia dell’umanità sta lì a dimostrarlo: tutti la rivendicano, da sinistra, da destra e dal centro, e tutti dicono di sapere cosa sia – essa è un valore terreo, non religioso. È legittimo desiderarla, è auspicabile che la si possa realizzare, ma non è essenziale alla fede; e, soprattutto, rimanda interamente alle cose di quaggiù, e distoglie dalle cose di lassù. Il mio Regno non è di questo mondo, ha detto solennemente Gesù Cristo, parlando con Pilato, poche ore prima di morire sulla croce. Ripetiamo: non c’è nulla di male, tutt’altro, nel lavorare per la giustizia sociale; e non c’è nulla di incompatibile con il Vangelo, come la dottrina sociale della Chiesa insegna, dalla Rerum novarum in poi; ma non è uno dei caratteri essenziali della fede cattolica. Chi dice questo, mente: o vuole ingannare gli altri, o sta ingannando se stesso. 

Passando all’argomento Lutero, veniamo a sapere – ce lo dice la storia, secondo l’autore – che la Riforma nasce da un desiderio di autenticità evangelica contro le non poche ambiguità che abitavano la Chiesa del 1500. Una affermazione che sembra equilibrata, obiettiva, e invece è di una parzialità sconcertante: perfino gli storici protestanti più seri riconoscono che la molla fondamentale della Riforma fu l’avidità dei principi tedeschi, bramosi di impossessarsi dei beni della Chiesa (schema che si ripeterà per l’Inghilterra e per i regni scandinavi). Qui, invece, il discorso delinea un quadro manicheo: la purezza delle intenzioni di Lutero, da una parte, e i molti mali che affliggevano la Chiesa cattolica, dal’altra; il bene dalla parte del monaco tedesco, il male dalla parte del cattolicesimo. È la solita confusione, generalmente voluta, fra il piano morale e il piano dottrinale: nessuno nega che la Chiesa del primo Cinquecento fosse afflitta da una grave crisi spirituale; quel che non è ammissibile, è ignorare che Lutero, ammesso e non concesso che sia stato mosso essenzialmente da preoccupazioni di natura morale (e ci sono molti elementi che ne fanno dubitare fortemente), ha concepito, predicato ed imposto una serie di gravissimi errori dottrinali, che hanno letteralmente stravolto il significato della Rivelazione, e il cui obiettivo dichiarato, fra l’altro, era quello di distruggere dalle fondamenta la Chiesa stessa, sostituendola con una "sacerdotalità" indifferenziata di tutti i cristiani.

Segue un ritratto di Lutero, delle sue intenzioni, della sua prospettiva, che definire idealizzato sarebbe ancora poco; si tratta, piuttosto, di una apologia, che starebbe benissimo in bocca a un protestante convinto: Lutero si sente parte di una Chiesa ferita, sporca, malata, compromessa, con logiche mondane e mette al centro Dio che ci salva, ci perdona, ci giustifica. Vuole uno slancio verso l’alto che liberi e purifichi la Chiesa. Nemmeno un accenno ai numerosi e gravissimi errori teologici propugnati da Lutero: pare che non si stia parlando di un eretico e di uno scismatico, che ha indotto in errore e spinto verso il peccato milioni di anime, ma di uno dei maggiori santi cattolici, di un pilastro della Chiesa, di quella Chiesa che egli voleva, invece, distruggere; ma quest’ultimo è un dettaglio che l’autore passa bellamente sotto silenzio: infatti, non fa neppure un cenno alla dottrina del sacerdozio universale dei credenti, che, di fatto, spazza via la ragion d’essere della Chiesa.

Ma il meglio, o il peggio, viene subito dopo: il cuore della identità cristiana è la consapevolezza che Cristo è morto per amore degli uomini, verissimo, senza alcun merito da parte nostra, falso: la dottrina cattolica insegna che la giustificazione avviene per mezzo della fede e delle opere. Se si toglie l’idea che l’uomo è chiamato a collaborare attivamente alla propria salvezza, mediante la santificazione nella grazia, si toglie il pilastro su cui si regge l’edificio stesso della Chiesa, e si toglie ciò che è specifico del cattolicesimo: la fiducia nella dignità dell’uomo, che Lutero non ha, perché non crede nel libero arbitrio. Ma negare il libero arbitrio, per un cristiano, equivale a negare la cosa più importante del cristianesimo stesso: la libertà dell’uomo davanti a Dio e il carattere volontario del suo o del suo no all’offerta dell’Amore divino. Oltretutto, negare il libro arbitrio equivale a rendere assurda la credenza nel giudizio, e quindi nel premio e nel castigo eterno: se l’uomo non è libero di scegliere il bene anziché il male, che senso hanno il Paradiso e l’Inferno? Ora, è ben vero che i preti e i vescovi, da diversi anni, e il papa Francesco in modo particolare, hanno smesso di parlare del giudizio, del paradiso e dell’inferno (e anche del peccato, se è per questo, se non per assicurare che non esistono peccati che non verranno perdonati dalla misericordia di Dio); ma questo non fa che confermare i nostri peggiori sospetti. Se la Chiesa cattolica smette di parlare di ciò che è essenzialmente cattolico, e parla come una delle tante chiese protestanti, se ne deve trarre l’inevitabile conclusione che è in atto un colpo di stato all’interno della Chiesa stessa, a danno della Verità e dei fedeli, e con pericolo per la loro salvezza eterna.

Ma forse è proprio questo l’obiettivo: togliere ciò che è specificamente cattolico; togliere la ragion d’essere della Chiesa, per rimuovere gli "ostacoli" sul cammino dell’ecumenismo. Solo che un ecumenismo cosiffatto ci porterebbe automaticamente fuori dalla nostra fede e, quindi, lontano da Dio. Se è questo ciò a cui mirano codesti signori, ebbene, lo dicano, abbiano il coraggio di giocare a carte scoperte: e la smettano di trattare i cattolici come dei poveri idioti, quasi che nessuno vedesse le loro manovre, e nessuno fosse capace di rendersi conto di ciò a cui essi mirano…

Fonte dell'immagine in evidenza: RAI

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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