
Il diavolo e Matteo La Grua
5 Giugno 2017
Cittadini, ma di dove?
6 Giugno 2017Qualche tempo fa il mondo della cultura cattolica, o quella che si spaccia per tale, è stato messo a rumore – ma non quanto sarebbe stato giusto – dalla presa di posizione del teologo domenicano padre Giovanni Cavalcoli, che, dai microfoni di Radio Maria, aveva istituito una correlazione fra le calamità naturali che talvolta colpiscono gli uomini, in quel caso, il terremoto, e i peccati da loro commessi, in quel caso, la sodomia e l’approvazione, in parlamento, dei cosiddetti matrimoni omosessuali. Non lo avesse mai fatto: si è subito prodotta una levata di scudi contro di lui, e la sua "testa" è stata perentoriamente richiesta, e subito concessa, al direttore di Radio Maria. Fra tutti quelli che hanno voluto dire la loro su quanto aveva affermato padre Cavalcoli, sia al di fuori, sia, soprattutto, all’interno della Chiesa, non si è sentita quasi nessuna voce in sua difesa, tanto che egli ha dovuto difendersi da solo, ribadendo la perfetta legittimità della sua affermazione. Viceversa, vi è stata una specie di gara nel ricoprirlo di critiche, d’ironie, di apprezzamenti pesantissimi, evidenziando la sua (supposta) mancanza di sintonia con gli indirizzi attuali della Chiesa e, soprattutto, la mancanza di "misericordia" – parola oggi decisamente inflazionata – nella sua prospettiva teologica. Scaricato da tutti, dal vescovo al papa, dopo essere stato messo alla berlina sui mass media e portato ad esempio, ovviamente in negativo, di una Chiesa che non vuol rinnovarsi e che guarda soltanto al passato, è stato praticamente ridotto al silenzio.
Nella Chiesa di papa Francesco, nella quale è lecito a monsignor Paglia tessere i più alti elogi di Marco Pannella, a monsignor Galantino affermare che Dio ha risparmiato Sodoma, a padre Martin auspicare i matrimonio omosessuali, a padre Sosa Abascal affermare che i Vangeli non riferiscono fedelmente quel che Gesù ha detto, e negare che il diavolo esista, e al vescovo Julian Barrio ordinare sacerdoti due omosessuali dichiarati e conviventi; e in cui il papa stesso dichiara che le Persone della Santissima Trinità litigano continuamente fra di loro, e che Gesù, sulla croce, si è fatto diavolo, "brutto da fare schifo", ebbene, in questa chiesa non è lecito a un teologo ricordare che i peccati degli uomini hanno come conseguenza degli effetti disastrosi, non solo sul piano morale, ma anche su quello fisico. Il guaio è che non si tratta di una stravaganza di padre Cavalcoli, ma della posizione che il Magistero ha sempre avuto su questo argomento, corroborata dalla Scrittura e dalla Tradizione. Perciò, il teologo domenicano ha perfettamente ragione quando ribatte ai suoi accusatori che dovrebbero vergognarsi loro, semmai, per aver celebrato Lutero, che era un eretico, non lui, che non ha detto niente di eretico e niente di strano, ma ha semplicemente ripetuto un concetto che è essenziale nella teologia morale cattolica.
Ecco, questo è un nodo cruciale: e chi non lo ha capito, non ha capito quale sia la reale posta in gioco, in questi mesi, in questi anni, riguardo al futuro della Chiesa cattolica. E allora domandiamoci: perché quella levata di scudi contro il discorso di padre Cavalcoli; perché tanto accanimento nel voler smentire, cancellare, rimuovere le sue affermazioni, come se fossero qualcosa d’intollerabile, di osceno? Perché, dietro la critica alla correlazione fra peccato e terremoto, vi è una questione molto più grossa in ballo, che nessuno (per ora) vuol dire apertamente, ma che, da molti segnali, si capisce che sarà il prossimo banco di prova dei modernisti nella loro diuturna, tenace, progressiva campagna per "normalizzare" la Chiesa secondo i loro postulati: quella del peccato in sé e per sé. In questa fase, l’obiettivo dei critici di padre Cavalcoli è – oltre a contare le loro forze e testare, come sempre, il grado di reazione, o di assenza di reazione, da parte delle forze cattoliche ancora sane, cioè fedeli alla vera dottrina – è quello di demolire definitivamente la correlazione fra peccato e conseguenze del peccato: ciò che, per semplificare, di solito si chiama "castigo", ma che può indurre in errore, quasi che Dio attuasse una "vendetta" immediata contro i peccatori, mentre sono i peccatori stessi a punirsi da sé, sia pure in maniera indiretta e inconsapevole.
Una volta accertato che tale correlazione è stata rimossa e archiviata, i signori modernisti passeranno alla fase due: la rimozione e l’archiviazione dell’idea stessa di peccato. Di fatto, lo stanno già facendo, con il papa in testa, in una maniera subdola e soft: non parlando mai del peccato, e tanto meno delle sue conseguenze. Non parlare del peccato, per un teologo cattolico o per un vescovo o un sacerdote cattolico, è lo stesso che negarlo: sarebbe come se un commissario di polizia non parlasse più dei crimini, o come se un vulcanologo non parlasse più delle eruzioni vulcaniche, o un medico non parlasse più di virus, di batteri, di malattie e di terapie per sconfiggere, o prevenire, le malattie. In compenso, teologi, vescovi e sacerdoti di tendenza modernista, parlano in continuazione di giustizia sociale, di diritti sociali, di accoglienza dei migranti, di inclusione dei diversi; parlano molto di scuse che la Chiesa deve porgere a destra e a sinistra, agli omosessuali per averli discriminati, ai luterani per non averli ascoltati, ai musulmani per le crociate di otto secoli fa, e ai giudei perché gli evangelisti hanno avuto l’indelicatezza di scrivere che Gesù Cristo non è morto di raffreddore, ma è stato messo in croce per volontà dei sacerdoti e dei capi del popolo di Gerusalemme.
Seguirà, naturalmente, la terza fase: quella in cui, eliminato il concetto di peccato, per sostituirlo, semmai, con quello, tutto laico, di "errore", si eliminerà – oh, ma sempre con molta, molta dolcezza, senza strappi e senza traumi, un poco alla volta, con la massima delicatezza possibile – il concetto di Dio: del Dio cattolico, beninteso, trascendente e creatore, ma, nello sesso tempo, Incarnato nel Verbo, e sempre presente fra gli uomini nella Persona dello Spirito Santo. A sua volta, questa fase si svilupperà per gradi: un poco alla volta, teologi, vescovi e sacerdoti modernisti, smetteranno di parlare di Gesù come del Figlio di Dio, e inizieranno a parlarne come del "figlio dell’uomo", impossessandosi, in maniera eretica e blasfema, di una espressione adoperata da Gesù stesso, ma torcendola ai loro scopi reconditi. Poi ne parleranno, semplicemente, come di un uomo; oh, ma un grande uomo: come ne parlano gli occultisti, gli islamici e i testimoni di Geova. Infine, quei signori smetteranno di parlare anche del Padre, e, naturalmente, dello Spirito Santo; dsula Madonna, silenzio o quasi, la lasceranno in un angolino stile New Age, descrivendola come la "dolce mamma" sotto il cui manto ci si può rifugiare: parole dolciastre, vaghe, generiche. A quel che la Madonna dice continuamente, a Lourdes, a La Salette, a Fatima, a Medjugorje, non si presterà orecchi: perché Maria ha la spiacevole abitudine di insistere proprio sul peccato, sulle sue inevitabili conseguenze, e, quindi, sulla indifferibilità della conversione, del pentimento e della penitenza. Del resto, in questa fase ci siamo già dentro: si leggano o si ascoltino i discorsi tenuti dal papa Francesco a Fatima, nel suo pellegrinaggio mariano in occasione del centenario delle apparizioni (1917-2017): non vi si troverà neppure un accenno al peccato, al pentimento, alla penitenza, agli inevitabili castighi se non vi saranno conversione, né penitenza.
Ecco come il saggista Rino Cammilleri riassume i termini della questione peccato/castigo, con specifico riferimento a un’altra vittima eccellente, e abbastanza recente, della cultura politcally correct modernista, Enrico De Mattei (nel suo libro Medjugorje. Il cammino del cuore, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 2012, pp. 141-143):
Uno che recentemente ha ricordato, sollevando un polverone, che i "castighi" di Dio sono una realtà con cui fare i conti è lo storico Roberto e Mattei ai microfoni di Radio Maria. La trasmissione andò in onda il 16 marzo 2011 e, diffusa da mano malevola in internet (certuni hanno come scopo nella vita la sorveglianza assidua dei cattolici, al solo fine di coglierli in fallo), scatenò un putiferio. Quasi tutti i maggiori opinionisti "laici" dei maggiori quotidiani diedero addosso a De Mattei, dandogli del cattolico fanatico e, in certi casi, chiedendo la sua rimozione dalla carica, che allora ricopriva, di vicepresidente del Cnr. Il bello è che si unirono al coro anche alcune figure in vista dello stesso mondo ecclesiastico. Insomma, un Dio che può anche castigare non piace a nessuno, lo so preferisce padre buono sempre e comunque come babbo Natale, esclusivo distributore di premi & cotillon che non merita neanche ringraziare, ma riservandosi di chiedergli "dov’era" quando si verificano catastrofi.
Il 20 aprile successivo De Mattei ritornò sull’argomento, ribadendo giustamente, che talvolta le calamità naturali sono castighi di Dio. È noto che un padre corregge i figli discoli perché vuol loro bene; segno che non se ne disinteressa (tutta la Bibbia è piena della sollecitudine, anche con mano pesante, di Dio nei confronti del suo popolo). Ma, poiché viviamo nell’epoca della "morte del padre", De Mattei fu subissato di improperi dal laicume nazionale, anche quello sedicente "moderato".
Quel giorno De Mattei, sempre via radio, si era spiegato meglio e aveva approfondito il concetto. Fra l’altro aveva ricordato le scritte apparse a Messina il 27 dicembre 1908, domenica, che recitavano: "Gesù Cristo on è mai esistito". Lo stesso giorno, sul giornale anticlericale "Il Telefono", era comparsa la poesiola: "O Bambinello mio, vero uomo e vero Dio, per amor della tua croce fa’ sentir la nostra voce; Tu che sai, che non sei ignoto, manda a tutti un terremoto". La sera, una processione parodistica di mangiapreti era andata a buttare simbolicamente in mare un crocifisso. All’alba del lunedì 28 dicembre 1908 un terremoto del decimo grado Mercalli, seguito dal maremoto, rase al suolo Messina. Le vittime furono oltre ottantamila. Il mondo intero rimase attonito. A Messina l’unica cosa rimasta in piedi fu l’orfanotrofio del messinese Annibale Maria di Francia, il protettore di Mélanie Calvat [la pastorella de La Salette, poi suor Maria della Croce]; tutti i suoi piccoli erano illesi. Il 16 novembre 1905 il futuro santo aveva predicato in cattedrale e aveva avvertito che la città era "sotto la minaccia dei castighi di Dio". Ed era stato anche più esplicito: "Non possono nascondervi, fratelli miei, che appunto il terremoto è il flagello con il quale io temo che il Signore voglia punirci".
Per gli interessati, un riassunto della querelle e il testo dell’ultimo intervento di De Mattei sono stati pubblicati sulla rivista "Lepanto", della Fondazione omonima presieduta dallo stesso De Mattei, nell’agosto 2011.
Sono personalmente convinto della concreta possibilità dei "castighi" di Dio. Del resto, i segreti di Fatima, per esempio, si sono verificati tutti puntualmente, come la stessa Chiesa ha dovuto ammettere. A Fatima la Madonna ha esordito sempre con un: "Se gli uomini non si convertiranno…". E ha poi elencato i mali che ne sarebbero seguiti. Se si vuole, si possono chiamare "castighi", ma si può anche vedere la cosa in un altro modo. Faccio un esempio molto banale: vedo uno appoggiato a un muro e scorgo un vaso di fiori pericolante al primo piano, a piombo su di lui; lo avviso che, se non si sposta, il vaso lo centrerà. Se quello non prende sul serio il mio avvertimento, è colpa mia se si rompe la testa? È un mio "castigo"?
Insomma: non si deve dire che il peccato ha delle conseguenze, perché questo disturba l’odierna versione modernista del cattolicesimo: una versione in cui si vuol mostrare una sola faccia di Dio, quella misericordiosa, e ignorare del tutto l’altra, non meno importante, quella della giustizia.
Il momento è quanto mai difficile, delicato, drammatico. Non era mai accaduto che la dottrina cattolica, con il pretesto di essere rinnovata e resa più adatta al dialogo con il mondo, si allontanasse così tanto, e in maniera così scandalosa, da se stessa, cioè dalla custodia della divina Rivelazione. La dottrina non ha senso, è solamente un guscio vuoto, e per giunta ingannevole, se non serve a fare questo: a custodire fedelmente, inalterata, incontaminata, nella sua assoluta purezza, la Rivelazione. Certo che se il generale dei gesuiti ci viene a dire, con la massima disinvoltura, che nessuno sa cosa disse esattamente Gesù Cristo, ci troviamo già, automaticamente, del tutto al di fuori della dottrina cattolica. Ci troviamo in una terra sconosciuta, in una situazione inedita, simile a un incubo lucido, a una realtà irriconoscibile. Le forze massoniche e anticristiane, attive e operanti già da molto tempo al’interno della Chiesa, stanno venendo allo scoperto: non si vergognano più di mostrarsi apertamente per quel che sono. Siamo noi che dovremmo vergognarci di non aver visto, di non aver capito, di non aver reagito con la dovuta prontezza e con la necessaria decisione.
Tuttavia, non è ancora troppo tardi. Dio sa quel che fa. Ma c’è una sola cosa che non può fare, perché non la vuol fare: salvarci contro la nostra volontà. Facciamoci coraggio, dunque. Dobbiamo vegliare e pregare, perché la notte sarà lunga; ma poi spunterà l’alba e lo Sposo, come ha promesso, verrà a prendere la sua Sposa. Badiamo di aver l’olio nelle lucerne, sì da accoglierlo come si deve…
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