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2 Giugno 2017
La ricerca della verità crea la selezione dei migliori
2 Giugno 2017Vi è una linea di continuità fra la Chiesa dei primi secoli e quella della prima metà del Novecento, anzi, addirittura fra quest’ultima e i profeti dell’Antico Testamento; linea che, invece, si assottiglia e infine si spezza, a partire dalla stagione del Concilio Vaticano II. Noi non vogliamo dire che questa interruzione sia stata causata dal Concilio: ci limitiamo a prendere atto che, dopo di esso, quella continuità si è interrotta. Sussiste, intendiamoci, a parole: quasi tutti i teologi e i pastori della Chiesa odierna lo dicono e lo ripetono; solo, essi parlano di un "aggiornamento delle conoscenze e dei modi di comunicazione", nonché di un "approfondimento della riflessione religiosa, a partire dall’uomo". Tuttavia, la verità è che quella continuità non esiste più, ed essi lo sanno benissimo, perché tale era il loro preciso obiettivo, tenacemente perseguito, con pazienza, con costanza, fino al trionfo che oggi stanno celebrando.
Da che cosa si riconosce la rottura di quella linea di continuità? Da diverse cose; una delle quali è la completa abolizione dell’apocalittica. Da quando il cattivo maestro, Umberto Eco, ha pubblicato il libro Apocalittici e integrati, nel lontano 1964 (è ormai trascorso più di mezzo secolo!), i cultori dell’apocalittica sono stati definitivamente relegati nell’inferno dei pessimisti cronici, dei musoni inguaribili, dei denigratori della vita (se sono cattolici, beninteso; se invece sono atei, come Leopardi, diventano invece dei saggi e dei lucidi profeti dell’avvenire). Niente di più falso Gli apocalittici sono, puramente e semplicemente, i cristiani: ogni cristiano — anche se questo discorso, oggi, non piace; e non piace specialmente ai "cattolici" progressisti modernisti – è anche un apocalittico. L’apocalittica è l’insieme delle cose riguardanti il destino finale dell’umanità e del mondo; e, dal momento che, per un cristiano, il nostro destino finale non coincide con la vita quaggiù, sulla terra, vale a dire non coincide con la tomba, va da sé che ogni vero cristiano ha sempre un occhio rivolto alle cose ultime: al destino finale della propria anima, così come a quello dell’umanità tutta. Ma già due anni prima, l’11 ottobre 1962, una voce si era levata, alta e chiara, contro i profeti di sventura e quindi, neanche tanto velatamente, contro l’apocalittica: quella, nientemeno, del papa Giovanni XXIII, precisamente nel suo discorso inaugurale di apertura del Concilio Vaticano II. Strana espressione, in verità: perché i profeti sono sempre, per definizione, profeti di sventura: quando non ci sarà più bisogno che essi annuncino la necessità del pentimento e della penitenza – senza di che seguiranno le meritate sventure -, non ci sarà più nemmeno bisogno di loro, dei profeti. I profeti sono gli uomini chiamati da Dio per esortare l’umanità alla conversione dai peccati: pertanto, è perfettamente logico che essi parlino delle sventure incombenti sul capo di quanti non si vogliono ravvedere. Viceversa, è illogico, assurdo, inaccettabile, che proprio il clero cattolico, nella persona dei suoi più alti rappresentanti, parli in questi termini della profezia cristiana, definendola profezia di sventura. Per quanto, a ben guardare, una logica c’è, anche se non è quella che dovrebbe essere: se il clero ha smesso del tutto di parlare dell’apocalittica; se molti cristiani, ormai, ignorano perfino il significato della parola novissimi; se i teologi "cattolici" parlano e scrivono di tutto, dal sindacalismo ai diritti civili, tranne che della morte, del giudizio e del destino eterno dell’uomo, allora è perfettamente logico e sensato che siano infastiditi dai profeti e dalle profezie. I profeti, infatti, sono come gli sgraditi testimoni che, per il solo fatto di esserci, attestano che la neochiesa modernista sta mentendo su tutta la linea, sta prendendo in giro i fedeli e ardisce perfino d’ingannare Dio.
Ogni cristiano dovrebbe avere in se stesso un qualcosa dell’atteggiamento profetico: perché Dio vorrebbe servirsi di ciascun essere umano per annunciare la Verità. Questo, e non altro, è la profezia: l’annuncio della verità di Gesù Cristo, il nostro Signore e il nostro Redentore. La chiamata di Dio è rivolta a tutti gli uomini, tutti, nessuno escluso: ed essere chiamati significa essere chiamati a testimoniare, con la vita e con le opere. Fin qui, un modernista e un cattolico la pensano allo stesso modo. Ma ecco il puto di separazione, chiaro, nettissimo, inequivocabile: per il modernista, la cosa più importante è trovare un linguaggio comune, uno spirito comune, un sentire comune, fra il Vangelo e il mondo; allo scopo, egli dice, di diffondere più agevolmente e più efficacemente la Parola di Dio. Per il cattolico, non si tratta di annunciare e di testimoniare una verità qualunque, ma la Verità di Dio, così come l’ha insegnata e testimoniata il Figlio, il quale disse di sé: Chi ha visto me, ha visto il Padre. Non solo: la verità deve essere annunciata e testimoniata così come vuole Dio, non come vorremmo noi. Sia nei contenuti, sia nei tempi e nei modi, Dio è un Padre amorevole, ma esigente: non è un padre amicone, permissivo e bonaccione; non è un bancomat spirituale, cui ricorrere nei momenti di penuria, e poi seguitare a far di testa propria; niente affatto: è un Padre che darebbe (che ha dato) la sua vita per amor nostro, ma per il nostro bene, per il nostro vero bene, non per assecondare qualunque miraggio di falso bene di cui ci possiamo incapricciare. E questo Padre amorevolissimo, ma esigente, non ci dice: Va’e fai quello che puoi, quando puoi; prendi pure la metà, o un quarto, del mio Vangelo, e lascia perdere la parte che non ti soddisfa; annuncia qualche cosa di esso, e togli pure le parti che ti sono di scandalo, oppure le parti che potrebbero essere di scandalo agli altri. Soprattutto, non ci dice: Va’, e annuncia il Vangelo alla tua maniera, quando ti va, e se ti va; no: ma dice: Vai e vivi il mio Vangelo, con assoluta fedeltà, così come lo hai ricevuto, senza nulla aggiungere e senza nulla togliere; senza concessioni allo spirito del mondo, senza sconti ai vizi e alle debolezze degli uomini, senza astuzie e compromessi, senza viltà e accomodamenti. Questo ci dice, questo ci chiede il nostro Padre celeste: nulla di più, nulla di meno. Se a qualcuno non sta bene, liberissimo di fare orecchi da mercante, di rifiutare, di prendere un’alta strada: Dio non è un tiranno, non obbliga, non costringe nessuno ad amarlo e a seguirlo. Quello che non è lecito, invece, è pretendere di adattare il Vangelo alla nostra debolezza, al nostro quieto vivere, alla nostra ipocrisia; quello che non è lecito, è abbassarlo al livello di una minestrina riscaldata, buona per tutti i palati, innocua, inoffensiva, in maniera tale da poter essere manipolato, edulcorato, allargato o ristretto, insomma strumentalizzato, da chiunque e in qualsiasi direzione. Questo no, mai!
Il discorso sulla verità è assolutamente centrale nel discorso che Dio rivolge agli uomini. Senza la verità, non c’è nulla di solido, neppure il vangelo (che, a questo punto, scriviamo con la lettera minuscola, perché diventa un messaggio come tutti gli altri: uno fra i tanti). Queste non sono delle nostre personali supposizioni: questo è quanto ha detto, a chiare note, Gesù stesso, insistendovi con particolare nettezza, fino all’ultimo istante, cioè fin davanti a Pilato, poche ore prima di morire sulla croce: Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce (Giovanni, 18, 37). E davanti ai Giudei, pochi giorni prima della Passione: Se Dio fosse vostro Padre, certo mi amereste, perché da Dio sono uscito e vengo; non sono venuto da me stesso, ma lui mi ha mandato. Perché non comprendete il mio linguaggio? Perché non potete dare ascolto alle mie parole, voi che avete per padre il diavolo, e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli è stato omicida fin dal principio e non ha perseverato nella verità, perché non vi è verità in lui. Quando dice il falso, parla del suo, perché è menzognero e padre della menzogna. A me, invece, voi non credete, perché dico la verità. Chi di voi può convincermi di peccato? Se dico la verità, perché non mi credete? Chi è da Dio ascolta le parole di Dio: per questo voi non le ascoltate, perché non siete da Dio (Giovanni, 8, 42-47). Infine davanti ai suoi discepoli, durante l’Ultima Cena:
Padre, è giunta l’ora: glorifica il Figlio tuo, perché il Figlio glorifichi te. Poiché tu gli hai dato potere sopra ogni essere umano, perché egli dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato. Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico ero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo. Io ti ho glorificato sopra la terra, compiendo l’opera che mi hai dato da fare. E ora, Padre, glorificami davanti a te, con quella gloria che avevo presso di te prima che il mondo fosse.
Ho fatto conoscere il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo. Erano tuoi e li hai dati a me. Ed essi hanno osservato la tua parola. Ora essi sanno che tutte le cose che mi hai dato vengono da te, perché le parole che hai dato a me io le ho date a loro; essi le hanno accolte e sanno veramente che sono uscito da te e hanno creduto che tu mi hai mandato. Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per coloro che mi hai dato, perché sono tuoi. Tutte le cose mie sono tue e tutte le cose tue sono mie, e io sono glorificato in loro. Io non sono più nel mondo; essi invece sono nel mondo, e io vengo a te. Padre santo, custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola, come noi.
Quand’ero con loro, io conservavo nel tuo nome coloro che mi hai dato e li ho custoditi; nessuno di loro è andato perduto, tranne il figlio della perdizione, perché si adempisse la Scrittura. Ma ora io vengo a te e dico queste cose mentre sono ancora nel mondo, perché abbiamo in se stessi la pienezza della mia gioia. Io ho dato a loro la tua parola e il mondo li ha odiati perché essi non sono del mondo, come io non sono del mondo.
Non chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che li custodisca dal maligno. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. Consacrali nella verità. La tua parola è verità. Come tu mi hai mandato nel mondo, anch’io li ho mandati nel mondo; per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità (Giovanni, 17, 1-19).
Impossibile, per un cristiano, eludere il discorso sulla Verità; impossibile, per lui, transigere o tergiversare in qualsiasi modo. Ed ecco perché il tanto decantato ecumenismo e l’ancora più strombazzato "dialogo" inter-religioso finiscono per allontanarsi dal vero cattolicesimo: perché, ponendo le altre confessioni cristiane e le altre religioni sul medesimo piano di verità dell’unica Verità, quella insegnata da Gesù Cristo e custodita dalla sua Chiesa, tradiscono proprio la Verità e rendono testimonianza a delle verità umane che non sono la Verità di Cristo. Si rileggano le parole sopra riferite di Gesù: Voi che avete per padre il diavolo; sono parole terribili, di una severità impressionante, quasi sgradevole. Già: perché risulta sgradevole ai nostri delicati orecchi tutto quel che ci impone una scelta chiara, netta, irrevocabile; noi preferiremmo andare d’accordo con tutti, cin Cristo e con il mondo, Ma non si può. O si sta con Cristo e con la Verità, o si sta con il mondo e con il padre della menzogna, il diavolo. Dovrebbe essere chiarissimo: e, infatti, lo era, sino a qualche anno fa; ma poi sono arrivate le teste d’uovo della "svolta antropologica" del post Concilio, sono arrivate le marce di Assisi, gli abbracci e baci ecumenici, le preghiere interreligiose, le chiese trasformate in moschee, le messe cattolico-luterane, i preti di strada e i vescovi di strada, la teologia della liberazione e l’evoluzione creatrice di Bergson nella salsa cristiana di Teilhard de Chardin, i matrimoni omosessuali, i preti omosessuali e i santi omosessuali, i "figli del diavolo" promossi al rango di nostri fratelli maggiori, l’aborto e il divorzio come peccati poco più che veniali, remissibili da qualunque sacerdote e senza neanche l’impegno a cambiar vita. In poche parole, lo spirito del mondo è entrato nella Chiesa e ha infettato il Vangelo, lo ha trasformato in una "lieta novella" di sapore quasi New Age, che piace a tutti, e particolarmente ai nemici della Chiesa, proprio perché non è più il Vangelo di Gesù Cristo, ma tutta un’altra cosa, interamente umana.
Di nuovo: lamenti, pianti e guai aspettano l’umanità che deliberatamente volta le spalle alla Verità di Dio e volontariamente ardisce di adulterarla. Rileggiamo il profeta Ezechiele (2, 8-9; dalla Bibbia di Gerusalemme, così come le precedenti citazioni): E tu, figlio dell’uomo, ascolta ciò che ti dico e non esser ribelle come questa genia di ribelli; apri la bocca e mangia ciò che io ti do". Io guardai ed ecco, una mano tesa verso di me teneva un rotolo. Lo spiegò davanti a me; era scritto all’interno e all’esterno e vi erano scritti lamenti, pianti e guai (ricorda qualcosa, vero? certo: il quivi sospiri, pianti e alti guai di Dante, Inferno, III, 22; perché la Divina Commedia è un poema integralmente cristiano, ispirato alle Scritture, alla mistica di san Francesco e alla teologia di san Tommaso d’Aquino, anche se i professori di sinistra, da bravi figli del Sessantotto, sui banchi del liceo, hanno fatto del loro meglio, o del loro peggio, per nasconderci o per travisare questa piccola, insignificante ma, per loro, fastidiosa verità).
Ineffabili, questi cattolici progressisti e modernisti. Fanno gli spavaldi, quando si tratta di mostrare un coraggio tutto umano: come quel Chi ha paura delle mele marce? di don Luigi Ciotti (che, oltretutto, va contro il più elementare buon senso: perché le mele marce vanno tolte dal cesto, se non si vuole infettare anche le sane). Però, se si tratta di fare i conti con le profezie di sventura, coi lamenti, pianti e guai di chi si ribella alla Verità divina, allora si turano gli orecchi per non sentire…
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