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27 Febbraio 2022La Lettera di Barnaba, suddivisa in ventuno brevi capitoli, fa parte del Codice Sinaitico, databile fra il IV e il V secolo d. C.; viene attribuita all’apostolo Barnaba, il valido collaboratore di san Paolo menzionato negli Atti degli Apostoli, e si pensa che fu scritta nel greco della koinè fra il 70 e il 132 d.C., poiché vi si allude alla distruzione di Gerusalemme, che potrebbe essere quella di Tito del 70, oppure quella di Adriano, avvenuta nel 131.
La Chiesa dei primi tempi la tenne in gran conto, appunto perché attribuita ad un autore apostolico, ed essa viene citata con rispetto da autori come Origene e Clemente Alessandrino, i quali sembrano considerarla del tutto canonica, o avente un’autorevolezza pari a quella dei testi del Nuovo Testamento, il che giustifica la sua presenza nel Codex Sinaiticus, altrimenti inspiegabile. Tuttavia, quando, verso la fine del IV secolo, il canone neotestamentario venne fissato in maniera definitiva, la Lettera di Barnaba non vi fu inclusa e perciò divenne un testo apocrifo; anche se, in ragione del grande prestigio e della vasta diffusione raggiunti nell’arco di due secoli, la sua attendibilità non venne mai contestata quanto ai contenuti, come invece accade per i Vangeli apocrifi, e quindi essa fu considerata piuttosto come parte della letteratura sub-apostolica, che si colloca in una posizione intermedia fra gli apocrifi veri e propri e i testi che, pur scartati al momento della definizione del canone cristiano, seguitarono a godere d’un riflesso della popolarità e del prestigio che li avevano accompagnati in precedenza. Fra essi ci sono la Didaché, le due Lettere di Clemente, la Lettera a Diogneto e Il pastore di Erma (vedi il nostro articolo: L’angelo della giustizia e l’angelo dell’iniquità lottano per conquistare l’anima nostra, pubblicato sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 25/02/18).
Non si deve disprezzare o sottovalutare in toto questa letteratura fiorita ai margini del canone biblico; vi si trovano dei tesori di sapienza e di spiritualità che hanno ancora molte cose da dire agli uomini di ogni tempo, anche agli uomini moderni. A ben guardare, il discrimine fra i testi della Bibbia e quelli che non ne fanno parte, ma che hanno dato luce e conforto a molte generazioni di cristiani, non è il fatto della divina ispirazione, perché questa può essere presente, del tutto o in parte, anche al di fuori della Bibbia stessa. Forse che non vi è divina ispirazione nell’Imitazione di Cristo? E nella Commedia di Dante? E nella Città di Dio di Agostino? E nella Summa di Tommaso? Ma certo che è presente; come la si ritrova nelle composizioni dei gradi musicisti religiosi e nei dipinti e nelle architetture dei grandi artisti cristiani, nei costruttori delle cattedrali e negli autori di tante pale, affreschi, mosaici, sculture, raffiguranti Gesù Cristo, Maria Santissima, gli Angeli e i Santi. Né essa ha finito di soffiare nell’anima di tanti scrittori, pensatori, artisti, musicisti, i quali, magari ignorati al presente, qualche volta perseguitati, hanno consacrato la loro vita e il loro ingegno al servizio della Verità, e mediante l’azione irresistibile dello Spirito Santo prima o poi saranno conosciuti da tutti, affinché ogni ginocchio si pieghi davanti al Nome del Signore e ogni ciglio si abbassi davanti alla sua Santissima Madre. Pertanto la vera distinzione fra i testi biblici e gli altri è che sui primi la Chiesa dei primi secoli ha trovato un accordo e l’unanime consenso, dopo avere attentamente vagliato e scartato tutto ciò che non appariva perfettamente limpido; mentre sui secondi tale accordo ed unanime consenso non è stato trovato. Il che non significa che quella letteratura sia tutta da ignorare, o che le stramberie dei Vangeli gnostici, ad esempio, coi loro miracoli tanto spettacolari quanto frivoli, si debbano porre sullo stesso piano di opere serie e altamente edificanti, quali Il pastore di Erma o la Lettera di Barnaba, letti e apprezzati da varie generazioni di cristiani.
Ora, nel quarto capitolo, dedicato all’avvento degli ultimi tempi, l’autore dell’Epistola di Barnaba scrive (fonte: https://www.vitanostra-nuovaciteaux.it/lettera-di-barnaba-testo/):
Bisogna che consideriamo con attenzione gli avvenimenti presenti e cerchiamo ciò che può salvarci. Fuggiamo decisamente ogni opera di iniquità per non esserne travolti. Odiamo l’errore del presente per essere amati nel futuro. Non diamo alla nostra anima la libertà di correre con i peccatori e gli scellerati, per non diventare simili a loro. È vicino il grande scandalo di cui sta scritto secondo Enoch: "Per questo il Signore ha abbreviato i tempi e i giorni affinché il suo prediletto si affrettasse a giungere all’eredità". Così dice anche il profeta: "Dieci regni domineranno sulla terra e dopo di essi sorgerà un piccolo re che umilierà tre dei re in una volta". Del pari sull’argomento dice Daniele: "Vidi la quarta bestia, feroce e forte, più terribile di tutte le bestie del mare e come da essa spuntare dieci corna e da queste un piccolo corno rampollo che con un solo colpo abbatté tre corna grandi". Dovete comprendere. Inoltre vi chiedo questo come se fossi uno di voi, amandovi particolarmente tutti più della mia anima, (vi chiedo) di badare a voi stessi e di non somigliare a certi che accumulano le colpe dicendo che l’alleanza nostra è nostra. È nostra; ma essi (i giudei) perdettero completamente l’alleanza ricevuta da Mosè. Dice infatti la Scrittura: "E Mosè stette sul monte digiunando per quaranta giorni e quaranta notti e ricevette l’alleanza dal Signore, cioè le tavole di pietra scritte col dito della mano del Signore. Ma quando essi ritornarono agli idoli, la perdettero. Il Signore dice così: "Mosè, Mosè, scendi presto, poiché il tuo popolo che hai condotto fuori dalla terra d’Egitto ha prevaricato". Mosè comprese e gettò via dalle sue mani le due tavole; la loro alleanza si spezzò affinché quella dell’amato Gesù fosse incisa nel nostro cuore, con la speranza della fede in lui. Volendo dirvi molte cose, non come maestro, ma come si conviene a chi ama, e di non tralasciare nulla di ciò che possediamo, mi affrettai e scrivere come fossi un rifiuto. Stiamo attenti in questi ultimi giorni. Nulla ci gioverà tutto il tempo della vita e della nostra fede se ora, nel momento duro e nell’imminenza degli scandali, non resistiamo come si addice ai figli di Dio.
Perché il diavolo non penetri di nascosto, fuggiamo ogni vanità e detestiamo definitivamente le opere della via cattiva. Non isolatevi ripiegandovi in voi stessi come se già foste giustificati; invece, riunitevi per ricercare l’interesse comune. Infatti dice la Scrittura: "Guai a coloro che si credono intelligenti e saggi ai loro occhi". Diveniamo spirituali, diveniamo un tempio compiuto per Dio. Per quanto è in noi curiamo il timore di Dio e lottiamo per osservare i suoi comandamenti, per gioire nei suoi giudizi. Il Signore giudicherà il mondo senza preferenze. Ciascuno riceverà nella misura che avrà operato. Se è stato buono, la giustizia camminerà davanti a lui; se fu cattivo, davanti a lui ci sarà il compenso della sua malvagità. Non facciamo che, restando tranquilli come chiamati, ci addormentiamo sui nostri peccati e il principe del male impadronendosi di noi ci allontani dal regno del Signore. Considerate anche questo, fratelli miei: quando vedete che, dopo tanti segni e miracoli avvenuti in Israele, (i giudei) sono stati così abbandonati, stiamo attenti che giammai come è scritto siamo trovati "molti chiamati ma pochi eletti".
In questa pagina ispirata e solenne, viene chiaramente ricordato il carattere irrevocabile e definitivo dello scontro finale tra il male e il bene, così come viene individuata e denunciata la tattica preferita del grande seduttore: avvicinarsi in silenzio, di nascosto, evitando di mettere in allarme le sue vittime sollevando dei clamori. Padre della menzogna e suggeritore di tutte le menzogne che precipitano l’umanità nella notte del peccato, il diavolo sa che il sistema più sicuro per raggiungere i suoi scopi è quello di tenerli celati il più a lungo possibile, e intanto adoperarsi a suggestionare le anime mediante una sapiente confusione di concetti buoni e cattivi, uno studiato dosaggio di verità e di errore.
Allo stesso tempo, il lettore viene ammonito che il modo più sicuro di fronteggiare le insidie del diavolo consiste nel non offrirgli alcun appiglio attraverso le umane debolezze; nel conservare la purezza dell’anima e la vigilanza della fede; e soprattutto nel non confidare in se stesso da parte dell’uomo: Guai a coloro che si credono intelligenti e saggi ai loro occhi. Per non farsi cogliere alla sprovvista nel momento decisivo, è necessario divenire spirituali: perché l’uomo carnale è già condannato, in quanto non ha voluto fare la volontà di Dio, che è quella di trasformare la propria anima, con l’aiuto della grazia, in un tempio dello Spirito Santo.
L’autore raccomanda di non risposare sugli allori, di non coltivare un’illusoria sicurezza, come fecero gi ebrei, i quali, avendo ricevuto tanti segni e miracoli, e ritenendosi ormai per sempre gli unici destinatari della salvezza, furono abbandonati dalla grazia, poiché fondarono le loro speranze su se stessi e non seppero riconoscere i segni, né accogliere il Figlio dell’uomo venuto a mostrare le vie del Signore, anzi lo rifiutarono, lo odiarono e vollero che fosse condannato a morte, avverando in se stessi la parabola dei vignaioli omicidi. Da tale rifiuto e da tale scelleratezza è scaturita la Nuova Alleanza, che oltrepassa l’antica e ovviamente l’abolisce, perché l’idea di due alleanze divine parimenti valide, una mediate il Sacrificio di Cristo e l’altra senza di esso, è un’autentica aberrazione, e, anche se piace molto al falso clero e ai falsi teologi del Concilio Vaticano II, si pone da se stessa al di fuori della vera dottrina e del magistero perenne e immutabile con il quale la Chiesa ha custodito la dottrina e l’ha trasmessa ai fedeli, intatta e immacolata, nel corso di due millenni.
Dice infatti l’autore della Lettera di Barnaba nel capitolo successivo, dedicato alla Nuova Alleanza:
Per questo il Signore sopportò di consegnare la sua carne alla distruzione perché fossimo santificati con la remissione dei peccati, vale a dire con la effusione del suo sangue. Sia per Israele sia per noi la Scrittura dice di Lui così: "Fu colpito per le nostre iniquità e fu straziato per i nostri peccati e dalla sua lividura fummo guariti; come pecora fu condotto al macello e come agnello muto davanti al tosatore". Bisogna ringraziare il Signore che ci ha fatto conoscere il passato, ci ha resi edotti del presente e siamo capaci di intuire il futuro. Dice la Scrittura: "Non ingiustamente si tendono le reti agli uccelli". Ciò significa che giustamente perirà l’uomo che, avendo conosciuto la via della giustizia, prende invece la via delle tenebre. Ancora questo, fratelli miei: se il Signore volle patire per la nostra anima, perché, egli che è il Signore di tutto il mondo – al quale Dio dopo la creazione del mondo disse: "Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza" – perché tollerò di patire per mano dell’uomo?
Imparate. I profeti che da lui hanno ricevuto la grazia profeteranno per lui. Egli doveva incarnarsi e soffrire per abolire la morte e per provare la risurrezione dei morti. Per compiere la promessa fatta ai padri, prepararsi un popolo nuovo e dimostrare, stando sulla terra, che egli stesso operando la risurrezione giudicherà. Poi, insegnando e compiendo grandi miracoli e portenti, predicò a Israele che amò immensamente. Quando scelse i suoi apostoli per propagandare il vangelo, li scelse tra quelli che erano più gravati di ogni peccato per dimostrare che "non era venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori". Allora manifestò di essere il Figlio di Dio. Se non fosse venuto nella carne, come gli uomini si sarebbero salvati nel vederlo, se non sono capaci nemmeno di guardare il sole, destinato a scomparire, opera delle Sue mani, e fissare gli occhi nei suoi raggi? Dunque, per questo il Figlio di Dio si incarnò, per il colmo dei peccati di coloro che avevano perseguitato e ucciso i Suoi profeti. Perciò ha patito. Dio dice che la piaga della carne di lui è colpa loro. "Quando colpiranno il proprio pastore allora periranno le pecore del gregge". Egli stesso volle patire così; bisognava che patisse su di un legno. Dice il profeta di lui: "Risparmia l’anima mia dalla spada" e: "Trafiggi con chiodi le mie carni, perché le turbe dei malvagi si sono a me ribellate". E ancora: "Ecco, ho offerto le mie spalle ai flagelli e le mie guance agli schiaffi: ho reso il mio volto come dura pietra ".
Non è abbastanza chiaro? È vero che Dio resta sempre fedele alle Sue promesse: ma questo non significa che l’antica Alleanza rimane intatta, come sei il Verbo non si fosse incarnato e come se Cristo non avesse scelto di morire sulla croce per prendere su di sé i peccati del mondo e dischiudere agli uomini la via della salvezza. Certo, Dio ha amato immensamente Israele; ma è altrettanto vero che Egli è venuto nel mondo per compiere la promessa fatta ai padri, prepararsi un popolo nuovo. E che altro è questo popolo nuovo, se non il nuovo Israele, ossia il popolo di quanti hanno creduto nel Cristo venuto? A che giova dire che Israele ha i profeti e l’Annuncio, se poi non ha saputo vedere, né accogliere il Verbo divino? Pertanto, dice l’autore, badiamo a non fare lo stesso errore: a non farci trovare impreparati e gonfi di presunzione quando verrà il tempo del suo Ritorno.
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