
Dio parla anche col silenzio
20 Maggio 2017
Giovanni XXIII, il “papa buono”?
21 Maggio 2017Ecco come il futuro Giovanni XXIII, allora professore al Seminario di Bergamo, racconta una sua esperienza giovanile relativa all’iniziativa antimodernista promossa, in quel di Bergamo, come in tutte le altre diocesi cattoliche, per impulso del papa Pio X, e riferita nella biografia con cui Angelo Roncalli ha reso omaggio al suo defunto vescovo (Monsignor Giacomo Radini Tedeschi, vescovo di Bergamo, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1923; cit. in: Giovanni XXIII, nella collana I dossier Mondadori, Milano, Mondadori, 1972, p. 21):
Uomo coltissimo e dialettico potente, padre M… mi si mostrò quale l’attendevo, conoscitore versato degli errori modernistici: e si comprende come li dovesse battere di santa ragione senza concedere alcuna tregua, né ad essi, né alle tendenze verso i medesimi. Ciò che mi sorprese subito e sconcertò le mie aspettative fu l’impulsività e il tono generale troppo vivace per non dir altro, onde il dotto padre toccava la persona di questo o di quello, dicendo insieme a certe cose di prima evidenza anche atre che mi parvero esagerazioni di non buona lega. Se la verità e tutta la verità si doveva dire, non comprendevo perché la si dovesse accompagnare ci fulmini e colle saette del Sinai piuttosto che con la serenità di Gesù sul lago e sulla montagna.
Quello che spiace, in questo brano di prosa, è il tono semiserio e semicanzonatorio con cui si tratteggia la figura di quel predicatore anti-modernista, presentato con un finto atteggiamento di rispetto per la sua cultura e la sua possente oratoria, ma, sotto, sotto, ridicolizzato per la sua tendenza a vedere ovunque pericolosi modernisti, e, quindi, facendogli fare la figura del povero Aiace Telamonio che, impazzito, si scaglia contro un gregge di pecore e le massacra, avendole scambiate per un gruppo di guerrieri, coprendosi così di disonore ai suoi stessi occhi, tanto che finirà per suicidarsi, non sopportando più la vergogna di una tale disavventura.
Proviamo a contestualizzare. Il modernismo dilaga, per mille rivi seminascosti, nelle facoltà di teologia, poi nei seminari, e, da lì, nella vita delle parrocchie, delle diocesi; non mancano alcuni vescovi compiacenti, possibilisti, alcuni teologi più o meno occultamente ben disposti. Pio X vede tutto questo, lui solo, e ne afferra l’enorme gravità: vede che il modernismo non è una eresia, ma la somma di tutte le eresie; che si tratta di tutta una serie di atteggiamento mentali, di proposizioni filosofiche, di metodi d’indagine, i quali, applicati alla Bibbia, alla Rivelazione, alla vita dell’anima, non possono non avere l’effetto di sgretolare la fede, insinuare dubbi, suscitare un desiderio tutto umano di capire, di sapere, anche quel che non può essere compreso con le sole forze umane, con la sola ragione umana, ingenerando una fiducia tutta umana, una superbia maligna nei confronti del Mistero. Non solo: vede che tanta presunzione intellettuale, tanta arroganza della ragione, non possono portare, paradossalmente, che a una ricaduta nel sentimentalismo, nella fede come puro stato d’animo, a un moto del cuore del tutto staccato dalla ragione: e quando mai la fede ha avuto paura della ragione? Il tomismo, la teologia che ha sempre occupato il posto d’onore nella cultura cattolica, non è forse una sapiente costrizione che armonizza le due dimensioni, quella della ragione e quella della fede? San Tommaso, sulle orme di Aristotele, non ha forse insegnato che la ragione naturale non è un inciampo alla ragione, ma un cammino della mente che accompagna l’anima verso le verità più alte, fin dove è umanamente possibile spingersi?
Pio X, però, è solo. Intorno a lui o non si vede il pericolo, o lo si sottovaluta, o non lo si considera per niente un pericolo, ma uno stimolo positivo, una ventata d’aria fresca, uno sprone a dei cambiamenti ritenuti, da alcuni, ineludibili e necessari. La posta in gioco è immensa, e non stupisce la tremenda solitudine del romano pontefice, in quell’ora suprema: si tratta di decidere se la Chiesa, e la visione dell’uomo e del reale che essa proclama, deve procedere per la sua strada, puntando verso l’assoluto, come ha sempre fatto; oppure se deve venire a una qualche forma di accomodamento con il mondo moderno, la società moderna e la cultura moderna: pur sapendo che la civiltà moderna nasce proprio da uno strappo voluto nei confronti del cristianesimo, da una ribellione contro il Vangelo e da un progetto solo ed esclusivamente umano, mirante a sradicare il sentimento religioso dal cuore degli uomini, per sostituirlo con una fiducia assoluta in se stessi, nelle possibilità della ragione, negli strumenti offerti dalla scienza e dalla tecnica, insomma nel progresso illimitato Questa è la vera posta in gioco: e non, come vorrebbero far credere i cripto-modernisti, un necessario aggiornamento della cultura religiosa nei confronti di quella profana.
Tutto è partito dagli studi biblici. Gli studiosi cattolici, tra gli ultimi anni del XIX secolo e i primi del XX, si sono accorti che i loro colleghi protestanti sono andati assai più avanti di loro nelle scienze filologiche applicate all’Antico e al Nuovo Testamento, e hanno maturato un vero e proprio complesso d’inferiorità. Perché devono rimanere indietro? Perché non possono fare come quelli, e mettersi a studiare la Bibbia con gli stessi, identici criteri che il filologo adopera per lo studio di qualsiasi atro testo profano, di Cicerone, di Tito Livio, di Platone? C’è perfino la segreta speranza che il Libro Sacro, una volta confermato dai progressi dell’esegesi moderna, possa rafforzare la fede, confermando le certezze proclamate dalla divina Rivelazione… Ecco perché i semi-modernisti, i modernisti occulti, non hanno mai perdonato a Pio X la sua brusca frenata, il suo richiamo all’ordine, i suoi severi provvedimenti per imporre una sorveglianza su quel che s’insegna, e che si studia, nei seminari cattolici; e perché lo hanno accusato di essersi "inventato" un’eresia che non esisteva, mettendo insieme cose fra loro assai diverse, e, in genere, del tutto innocue, scaturenti da un legittimo, anzi, encomiabile desiderio di aggiornamento, di ammodernamento culturale. E lo stesso discorso vale per le scienze naturali, per la biologia, per la teoria dell’evoluzione proposta da Charles Darwin (e che darà, infatti, i suoi frutti avvelenati, qualche decennio più tardi, con le strampalate ed eretiche teorie di un gesuita, Pierre Teilhard de Chardin, in tema di "evoluzione cosmica" e di sviluppo del Creato in direzione del Punto Omega, un non meglio precisato"Cristo cosmico" che non sembra proprio essere la seconda Persona della Santissima Trinità, di cui parla la dottrina cattolica.
Pio X, dunque, vede con un colpo d’occhi tutto questo, con il suo sano buon senso contadino, con la sua esperienza di parroco di campagna: vede quel che i vari Buonaiuti non vedono o non vogliono vedere, mentre pensano di lui, precisamente, che egli è solo un rozzo parroco di campagna, invidioso dell’altrui intelligenza (fin lì si spingono le velenose affermazioni delle Lettere di un prete modernista, scritte quasi certamente da Buonaiuti, anche se egli non se ne volle mai assumere la paternità). Per essi, Pio X era un residuo del passato, un ostacolo sulla via del progresso; tutti imbevuti del clima del positivismo trionfante, dello stupore ammirato per i progressi della scienza e della tecnica, sembrava loro che la cultura cattolica dovesse recuperare un imperdonabile "ritardo": è la stessa tesi che ha sempre sostenuto, non mutandola di una virgola, anzi, parlando d’un ritardo di due secoli, il cardinale Carlo Maria Martini, non a caso lui pure, come Buonaiuti, assai vicino agli ambienti della massoneria, interessati a infiltrare la Chiesa e a diffondere al suo interno le teorie moderniste, in vista di un "superamento" del cattolicesimo e della creazione di una nuova religione gnostica, sincretista, razionalista, sostanzialmente immanentista. Per far fronte al pericolo, fra le altre cose, Pio X si circonda di collaboratori fidati, impone ai sacerdoti un giuramento anti-modernista, stigmatizza la nuova eresia con un’apposita enciclica, la Pascendi, e minaccia la scomunica agli eretici; manda nei seminari dei predicatori di sicura fede cattolica, per mettere in guardia i giovani studenti, ma anche, indirettamente, i loro troppo tolleranti professori, contro il pericolo che incombe sulla Chiesa e sulla purezza e la solidità della loro stessa fede. È in questo contesto che bisogna collocare l’episodio riferito da Angelo Roncalli.
Orbene: uno di questi predicatori giunge al Seminario di Bergamo e tiene le sue vibranti lezioni, pienamente investito della serietà del compito che gli è stato affidato, e conscio della gravità della minaccia. La diocesi di Bergamo non è sulla Luna: anche in essa sono giunte alcune ventate dell’eresia modernista; anche lì cominciano a circolare le idee e gli scritti di Tyrrell, di Loisy, di Laberthonnière. Esiste un dossier, a Roma, che parla di queste infiltrazioni, e che riguarda lo stesso vescovo, Radini-Tedeschi, e alcuni giovani seminaristi e sacerdoti. Uno di questi è proprio Angelo Roncalli, che, a Roma, presso il Pontificio Seminario Romano, aveva studiato proprio con Buonaiuti, del quale era divenuto molto amico. Più tardi, incaricato dell’insegnamento di Storia della Chiesa presso il Seminario di Bergamo, Roncalli si fece inviare da lui le dispense delle sue lezioni: e, a questo punto, il quadro diventa decisamente più chiaro. Roncalli, amico del principale esponente del modernismo italiano (il quale sarà scomunicato solennemente, più volte), che tiene le sue lezioni con materiale proveniente da questi, e che si muove all’ombra di un vescovo a sua volta sospettato di simpatie moderniste, si vede arrivare il predicatore proveniente da Roma (un padre gesuita?; i gesuiti, allora, a differenza di oggi, erano i campioni più intransigenti dell’ortodossia), lo ascolta, e l’unica cosa che ricorda di lui è… la foga eccessiva con cui parla, sua "emotività", il suo linguaggio che evoca le folgori del Monte Sinai e non la dolcezza mostrata da Gesù sul lago di Tiberiade. E qui scivola nella poesia dolciastra, alla Renan, anzi, alla Zeffirelli: chi lo dice che Gesù era sempre e solo "dolce"? E cosa c’entra il lago, che c’entra la montagna? Se proprio vogliamo parlare della montagna, allora ricordiamo che il Discorso della Montagna, che è il cuore del Vangelo, non è tutto sorrisi e carezze per chi lo ascolta, tutt’altro: è anche duro, severo, terribilmente ammonitore. Comunque: non è strano che Roncalli ricordi solo questo, di quelle lezioni? Traspaiono con evidenza il suo fastidio, la sua insofferenza: egli fa fare a quel sacerdote la figura del Torquemada in sedicesimo, se non pure del Don Chisciotte, che si scaglia con impeto, e lancia in resta,contro i mulini a vento. Come dire che modernisti, in quel di Bergamo, anzi, in tutta la Chiesa cattolica, non ce n’erano, o ce n’erano talmente pochi, e talmente innocui, da non giustificare assolutamente quel linguaggio, quello stile, quei toni apocalittici. Lui, Roncalli, amico di Buonaiuti, devoto al vescovo Radini-Tedeschi: un po’ strano, vero? Non si è dimenticato, per caso, di rievocare la cosa più importante, ossia quel che realmente pensava lui del modernismo? E non è forse vero che non ha avuto il coraggio di dire chiaro e tondo che disapprovava quella maniera di condannare il modernismo, perché lui, in alcune tesi del modernismo, si riconosceva, o, quanto meno, le guardava con molta benevolenza e simpatia? Ecco, questo sarebbe stato un discorso onesto; non quel dire e non dire, sornione, un po’ farisaico.
Ma che cosa sosteneva, in sostanza, l’eresia modernista? Era davvero così grave, per la vita della Chiesa, come giudicava Pio X? I modernisti sostenevano che la Rivelazione non viene realmente da Dio, ma è un prodotto della coscienza umana: e già questo basterebbe per far capire quanto esiziale fosse una simile dottrina per la religione cristiana e per la Chiesa. Poi sostenevano che la fede non è una verità oggettiva, ma un portato dell’animo individuale del credente; che i dogmi sono una elaborazione personale e, pertanto, sono soggetti al divenire storico; che i Sacramenti non sono stati istituiti da Cristo, ma nascono da un bisogno interiore dell’uomo; che la Chiesa non detiene alcun Magistero, né alcuna verità esclusiva ed assoluta; che la Bibbia è un libro storico e poetico, non una rivelazione di Dio agli uomini, dunque non è divinamente ispirato; che i miracoli non esistono come fatti soprannaturali, ma esprimono, in senso simbolico e figurato, l’umano bisogno di trascendenza; che noi non sappiamo chi sia stato veramente Gesù Cristo, ma conosciamo piuttosto, attraverso gli scritti del Nuovo Testamento, il Cristo della fede, che è soprattutto una elaborazione posteriore dell’apostolo Paolo; infine, che Cristo non è morto sulla croce per redimere i peccati degli uomini, perché, non essendo realmente il Figlio di Dio, non lo avrebbe nemmeno potuto. Basterebbe uno solo di questi punti per capire che, accettando le idee moderniste, si è completamente fuori del cristianesimo; e che ci si può dire modernisti fin che si vuole, ma non ci si può dire, allo steso tempo, cristiani, perché sarebbe una contraddizione in termini. O si è modernisti, o si è cristiani; esattamente come o si è Testimoni di Geova, o si è cristiani (neanche i Testimoni di Geova credono alla divinità di Gesù Cristo, né alla sopravvivenza dell’anima dopo la morte).
Perciò, concludendo, e per tornare al punto, si può ben comprendere quanto il commento di Angelo Roncalli sulle lezioni antimoderniste di quel predicatore sia viziato da un’incredibile leggerezza, aggravata da quel tono pacioso, persino vagamente canzonatorio, con cui è descritto lo zelo di quel sacerdote. Per chi avesse capito quale pericolo mortale rappresentasse il modernismo per la fede, quel tono era del tutto fuori di luogo. A meno che nascesse da inconfessabili simpatie moderniste…
Fonte dell'immagine in evidenza: RAI