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Dobbiamo ripartire dalle mamme

La crisi che stiamo attraversando è una crisi globale; ma è anche, anzi, è essenzialmente, una crisi del nostro modello di civiltà: la civiltà occidentale moderna.

Abbiamo affermato più volte che la civiltà moderna è, in realtà, una contro-civiltà: per la prima volta nella storia, assistiamo ad una civiltà che è nata in odio alle proprie radici e in lotta contro la propria tradizione, e che, inevitabilmente, ha finito per sviluppare i germi di una malattia pericolosissima: il disamore e il disprezzo di sé, il disgusto della vita, il fastidio nei confronti di tutti i valori positivi: la bontà, la generosità, la purezza, l’onestà, l’altruismo (quello vero, non il buonismo ideologico). È chiaro che, con un tale corredo nel proprio DNA, non esiste civiltà che non sia destinata a spegnersi, a suicidarsi deliberatamente. Dunque, se vogliamo sottrarci a questo più che probabile destino, dobbiamo riscuoterci e mobilitare tutte le forze positive, tutte le energie interiori che sono al servizio della vita, e respingere lontano tutte le pulsioni di morte che esercitano, da troppo tempo, un fascino sinistro sulla nostra anima e sulla nostra immaginazione. Siamo letteralmente stregati dalle forze oscure del male: la civiltà moderna è la civiltà del diavolo, e questa affermazione, per quanto possa avere il sapore di un anatema scagliato da qualche monaco fanatico del Medioevo, è a ben guardare, perfettamente giustificata sul piano logico e fattuale: infatti, una civiltà si può definire demoniaca quando alberghi in sé un profondo desiderio di auto-distruzione, così come è demoniaco il fatto che essa coltivi una viscerale avversione per tutto ciò che è luce, pulizia, aria fresca, e che sia attratta, invece, da tutto ciò che è sospetto, malevolenza, invidia, calunnia e gratuita malignità. Moltissime persone, oggi, e specialmente persone ritenute colte, manifestano un fastidio istintivo, quasi un riflesso condizionato, quando sentono parlare del bene, perfino se si tratta di una semplice fiaba per bambini, nella quale il principe coraggioso lotta eroicamente per liberare la principessa dalle grinfie di uno stregone malvagio: ciò è la spia di un male estremamente profondo, e, anche se la cosa, a tutta prima, potrebbe sembrare eccessiva, in effetti quel tipo di reazione presenta un’intima analogia con quella che manifestano le vittime della possessione demoniaca, le quali scattano come furie quando si nominano Gesù o la Madonna, o si tira fuori un crocifisso, o le si asperge con l’acqua benedetta (e, cosa particolarmente significativa, anche quando preghiere, crocifissi ed acqua santa vengono introdotti in loro presenza, tenendoli però nascosti alla loro vista).

Dobbiamo ripartire dall’educazione morale del fanciullo; pertanto, dobbiamo ripartire dalla educazione morale dei genitori, e specialmente della mamma. Non si ripeterà mai abbastanza, fuori da ogni retorica, quanto sia decisiva la figura materna per la crescita sana e armoniosa, anche in senso spirituale, del bambino; non ci si persuaderà mai abbastanza che una società ove le mamme non pensano a far bene le mamme, ma a cento altre cose, e che riservano all’ultimo posto le loro energie e la loro vocazione materne, non potrà che produrre bambini difficili, egoisti, immaturi, dalla personalità disarmonica, dall’equilibrio instabile: vale adire dei futuri disadattati. Questa non è un’accusa, è una constatazione. Sappiamo bene che vi sono molte ragioni per cui una mamma, oggi, fatica  a concentrare sull’educazione del figlio la parte migliore delle sue energie; pure, o si riparte da qui – naturalmente, con la collaborazione dell’uomo, e, se possibile, della società tutta – oppure non ci sono più speranze. Il futuro si costruisce a partire dalla culla. E Napoleone, che sarà stato anche un megalomane, ma era certamente un uomo intelligente, alla domanda: Quando incomincia l’educazione della donna alla maternità?, ebbe a rispondere, molto assennatamente: Incomincia vent’anni prima che nasca; vale a dire che incomincia dall’educazione di sua mamma.

Ci si lamenta che molte, troppe persone, oggi, nella nostra società, si dimostrano superficiali, inaffidabili, prepotenti, disoneste, ciniche, amorali; ebbene, bisogna risalire indietro, all’infanzia, e vedere se queste persone, quand’erano bambini di due, quattro, sei anni, hanno ricevuto in casa, in famiglia, da parte del papà, ma specialmente della mamma, con la quale hanno trascorso più tempo e condiviso una maggiore intimità, anche a livello fisico, almeno le basi minime di una educazione morale, o se sono cresciute abbandonate a se stesse, e sia pure – magari – ricoperte di regali, di gingilli tecnologici, di telefonini multifunzionali, nonché di vestitini firmati. Le mamme, oggi, insegnano, prima di tutto con l’esempio concreto, i valori della sincerità, dell’onestà, della lealtà, della disponibilità, della pazienza, dello spirito di sacrificio? Oppure esse, per prime, mostrano di porre al sommo dei loro pensieri e delle loro preoccupazioni l’estetista, la parrucchiera, la palestra, lo shopping, il vuoto consumismo e il divertimento edonistico? Sono cresciuti, questi bambini, in un clima di affettività, di responsabilità, di serietà, di lavoro, di rispetto degli impegni presi, oppure sono cresciuti nel disordine, o fra i due estremi del permissivismo e dell’autoritarismo? E, soprattutto, sono stati educati all’autonomia, cioè in vista del saper vivere da sé, del saper giudicare da sé quel che va fatto e quel che non va fatto; oppure sono stati manipolati, plagiati, asserviti da madri egocentriche e ansiose, frustrate e nevrotiche, insicure e velleitarie, che hanno tirato su non dei figli, ma dei manichini, del tutto incapaci di prendere decisioni, fare delle scelte e assumersi delle precise responsabilità?

Questo è il punto. La società produce individui che sono stati formati nelle famiglie; e, nelle famiglie, quelli che contano veramente sono i primi anni di vita: quelli nei quali l’influenza predominante che si esercita sui bambini è l’influenza materna. Le mamma, oggi – che, come tutti sappiamo, sono sempre di meno – sanno fare le mamme? Hanno un’idea di quel che ciò comporta? Oppure sanno solo lamentarsi perché il marito è sempre fuori, perché i genitori e i suoceri non collaborano, oppure, al contrario, s’intromettono troppo, e perché il mondo intero non capisce le loro difficoltà, la loro solitudine, il loro bisogno di essere sostenute, incoraggiate, aiutate? Perché; anche se queste lamentale sono, non di rado, fondate su legittime ragioni di scontento, ciò non toglie che una mamma deve saper fare la mamma anche andando controvento: non può aspettarsi di ricevere più di quello che è disposta a dare; e volere un figlio, concepirlo e metterlo al mondo, comporta una assunzione di consapevolezza che  quello sarà il suo impegno prioritario, rispetto al quale tutti gli altri dovranno passare in secondo piano. Certo: Bisogna anche lavorare per vivere, e moltissime donne devono lavorare, perché uno stipendio, in casa, non basta più; per non parlare delle molte (troppe) donne single, che un uomo non ce l’hanno, o perché l’hanno lasciato, o perché sono state lasciate, o perché proprio non lo vogliono: volevano un figlio, quello sì, ma non un uomo, presenza fastidiosa e invadente, che è meglio evitare, per quanto possibile, come del resto ha sempre insegnato la (pessima) cultura femminista. Il lavoro, dunque, impedisce a molte mamme di dedicare ai figli tutto il tempo e le energie che vorrebbero e che dovrebbero: verissimo. Tuttavia, non si dimentichi che, per crescere bene un figlio, non è importante la quantità, ma la qualità del tempo e delle energie che gli si dedicano: il bambino non apprezza una mamma che sta tutto il giorno appiccicata a lui; bensì una mamma che, quando sta con lui, sa farlo nella maniera più serena, paziente, disponibile e intelligente di cui ella è capace.

La cosa più importane di cui il bambino ha bisogno, dopo, naturalmente, l’affetto, è la dedizione: deve apprendere che le cose vanno fatte, tutte, le grandi e le piccole, ma vanno fatte bene, con amore, con passione, con generosità, con serietà; che non si devono accampare scuse, rimandare, tergiversare: che tutto ciò che va fatto, deve esser fatto, e fatto nel migliore dei modi, vale a dire con tutto l’impegno e con tutta l’immaginazione di cui si è capaci. In altre parole, la dedizione è propedeutica all’esercizio della volontà: e un bambino che non sviluppa la forza di volontà, diverrà un adulto votato alla rassegnazione e alla sconfitta, in ogni ambito della vita.

La terza cosa – dopo l’affetto e la dedizione – è il senso morale: che, in realtà, permea di sé ogni cosa, ogni pensiero, ogni azione, e dunque non può essere coltivato come se fosse una qualcosa di separato e distinto dal resto: il senso morale è come il lievito dell’esistenza, e non c’è angolino di essa, per quanto segreto e riposto, che possa sottrarsi al suo richiamo imperioso, o nascondersi alla sua luce splendente. Il senso morale è tutt’uno con il senso della giustizia: coltivare nel bambino il senso della giustizia significa abituarlo a guardare ogni cosa, e anche a guardare dentro se stesso, in maniera equilibrata ed equa, senza barare al gioco, senza confondere le carte: perché giustizia è dare a ciascuno quel che gli è dovuto.

La quarta cosa è la fantasia: il bambino la possiede già naturalmente; la mamma e gli altri adulti devono solo permettergli di esplicarla; cosa che non avviene se, fin da piccolissimo, gli viene messo in mano un telefonino multiuso, o un gioco elettronico. Un bambino che non sviluppa ed esprime la propria fantasia è un futuro adulto infelice, limitato, arido e passivo, quindi facilmente manipolabile, in tutti i sensi, compreso quello affettivo. 

La quinta cosa è il senso del bello, perché la bellezza non solo allieta l’esistenza, ma è, essa stessa, un valore, per mezzo del quale si apprezzano e si sviluppano anche altri valori; è la capacità di cercare, sviluppare e valorizzare la parte migliore di tutto ciò che cade sotto il nostro sguardo, di tutto ciò che a noi è stato affidato e anche di tutto ciò che noi stessi possiamo creare e donare agli altri, per la loro serenità e per la loro elevazione.  

La sesta cosa è la cultura, perché la cultura sviluppa la mente, e la mente sviluppa ciò che è più nobilmente specifico della natura umana. L’interesse e l’amore per la cultura, in una famiglia, si sviluppano soprattutto mediante la lettura, naturalmente mediante le buone letture, perché di cattive letture – romanzi nei quali si esaltano la violenza e la pornografia – non c’è davvero bisogno, se non per rendere il mondo ancor più cattivo quel che esso attualmente è. La mamma che legge le fiabe ai suoi bambini, stimola l’amore alla lettura; e la biblioteca di casa, dove c’è posto magari per pochi libri, ma buoni, cioè la cui lettura elevi ed edifichi, oltre ad intrattenere piacevolmente – niente stupidaggini alla Harry Potter, per piacere: quella non è letteratura, è immondizia – diventa un minuscolo tempio domestico, ove il bambino riceve un’impressione indelebile, che lo accompagnerà per tutto il resto della sua vita. 

E adesso parliamo della formazione religiosa. Un tempo era la regola; oggi, l’eccezione che conferma la regola. Le famiglie si sono adeguate al clima dominante complessivo; le mamma, alla tendenza delle famiglie. Il laicismo, il secolarismo e l’irreligiosità, tipici della civiltà moderna, hanno praticamente abolito l’educazione religiosa dal nostro orizzonte educativo (ammesso che ne abbiamo ancora uno, cosa assai dubbia): ma l’educazione religiosa non è un optional, non è qualcosa di cui si possa fare tranquillamente a meno. Checché ne dica la cultura oggi dominante e politicamente corretta, un bambino che viene cresciuto nell’indifferenza religiosa viene privato di un aspetto essenziale della sua stessa crescita: perché l’essere umano è naturalmente religioso, e negargli l’esplicazione di questo aspetto equivale a mutilarlo proprio come persona, e quindi esercitare su di lui una violenza. Violenza non è, come vorrebbero far credere i laicisti, farlo battezzare quando è troppo piccolo per poter decidere da sé; violenza, al contrario, è negare alla sua personalità l’alimento di cui essa ha bisogno per vivere. E non solo il bambino deve essere educato al senso religioso; egli deve anche essere affidato alle Potenze celesti, affidato alle loro cure e alla loro sollecitudine, e posto sotto la loro custodia e protezione. Questo è quanto gli adulti, e particolarmente la mamma, possono e devono fare per lui: poi, crescendo, egli farà da solo, e assumerà pienamente la responsabilità delle proprie scelte. Ma, se gli sarà stata negata ogni educazione religiosa, non potrà scegliere: perché Dio, per lui, a quel punto, sarà solo un nome vuoto, un’espressione priva di significato concreto.

Tutti questi aspetti sono importanti nella formazione del bambino; e oggi lo sono più che mai, e solo la mamma li può assicurare, perché la scuola non solo ha rinunciato alla sua missione educante, ma sta incominciando a definirsi, sempre più, come un’agenzia di contro-educazione, nella quale il bambino verrà sottoposto a un crudele lavaggio del cervello e gli verrà insegnato che il vero è falso, e il falso, vero; che il brutto è bello, e viceversa; che il giusto è ingiusto, e viceversa: tutti i valori saranno capovolti, e stiamo già assistendo all’inizio di questa strategia. Dobbiamo prepararci. Il compito affidato alle mamme, pertanto,  sarà immenso e insostituibile: ancora più grande e ancora più prezioso di quello che è sempre stato, in passato. Pertanto, anche la collaborazione dei padri dovrà crescere in proporzione. Le mamme non possono far tutto da sole. Gli uomini devono fare anch’essi la loro parte: i bambini hanno bisogno anche del padre, specialmente quando sono più grandicelli, cioè specialmente a partire dall’età scolastica

Coraggio, dunque; la posta in gioco è decisiva: la sopravvivenza di tutto ciò che amiamo e che riteniamo utile e necessario per la vita dei nostri figli, allorché dovranno sbrigarsela da soli.

Fonte dell'immagine in evidenza: Photo by Mike Chai from Pexels

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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