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L’Italia, dal 1943, non è più uno Stato sovrano, ed è stata fatta fuori dal rango delle grandi potenze; ma, quel che è peggio, è stato spezzato il sentimento di fierezza che ogni popolo, per essere tale, deve albergare in sé; ogni legittimo orgoglio, che fa di una nazione un tutto unico, coeso e solidale; ogni autonomia e libertà di manovra, che è la ragion d’essere di uno Stato, rispetto ai propri cittadini e rispetto agli altri popoli, nazioni e Stati.
Dal 1943, il popolo italiano ha abdicato ai propri sforzi per divenire realmente tale e per sostanziare effettivamente il processo risorgimentale, e non restare un volgo disperso che nome non ha; e lo Stato italiano, ossia la Repubblica di Pulcinella nata il 2 giugno 1946, è solo in apparenza la continuazione dello Stato italiano, sovrano e indipendente, nato il 17 marzo del 1861 e giunto al culmine della sua parabola ascendente con l’adesione, alla pari con la Germania e del Giappone, al Patto Tripartito il 27 settembre 1940. Con l’8 settembre del 1943, lo Stato italiano è morto: quello che è venuto dopo, non è che un cadavere imbalsamato. D’altra parte, in questo momento storico, non solo l’Italia, ma tutta l’Europa si trovano in una condizione d’impotenza e di perdita di sovranità, non solo e non tanto per lì’adesione ad una Unione europea che poco o nulla riflette le vere aspirazioni, le vere necessità e i veri interessi dei popoli che la compongono, ma soprattutto per un fenomeno di portata mondiale, orchestrato dai grandi poteri finanziari internazionali, che non solo hanno di fatto esautorato la politica delle sue normali funzioni, e trasformato i capi di Stato e di governo, perfino delle maggiori potenze, in semplici comprimari, se non addirittura burattini da essi manovrati, ma hanno gettato la rete del debito su quasi tutte le nazioni, creando una povertà di sistema che serve ad alimentare in misura ormai esponenziale la loro ricchezza e, quindi, il loro potere sull’intera umanità. Sfuggono parzialmente a questa rete, per ora, la Russia, la Cina e l’Iran, ed è questa la ragione per cui questi Stati sono al centro di potenziali escalation della tensione internazionale, anche con minaccia di guerra nucleare, in quanto la strategia della globalizzazione finanziaria non ammette che sopravvivano zone "franche", sottratte all’egemonia del dollaro e ai finanzieri di Wall Street.
Ma, per tornare alla nostra Italia, vogliamo prenderci la libertà d’immaginare cosa potrebbe fare, nella presente condizione, se essa disponesse effettivamente della propria sovranità, di una forza militare adeguata alla necessità di farla rispettare, e, soprattutto, di una volontà politica per lottare e non soccombere al destino che i magnati come George Soros le hanno chiaramente riservato: quello di essere sommersa da una invasione inarrestabile di africani ed asiatici di religione musulmana, e di veder sparire la propria identità mediante un progressivo meticciato, come del resto auspicato anche da illustri, si fa per dire, esponenti della Chiesa cattolica – come monsignor Perego -, la quale è anch’essa in prima fila, accanto ai poteri della grande finanza (singolare convergenza d’interessi), nel predicare il dovere dell’accoglienza indiscriminata e illimitata di chiunque bussi, o batta, alle nostre porte, in veste di profugo, o di finto profugo, o di "migrante economico", cioè, in altre parole, d’invasore. Invasore, infatti, è colui che si presenta in misura massiccia alle frontiere di uno Stato e pretende di entrarvi, e di essere ospitato, insediandosi stabilmente, insieme ai propri familiari, eventualmente mediante un successivo ricongiungimento con il coniuge, con i figli e con i genitori: egli è un invasore se non esiste, per lo Stato cui si rivolge, la possibilità effettiva di dire "no", cioè di decidere liberamente come comportarsi e se accogliere, o no, i richiedenti, e quanti accoglierne, e in base a quali criteri, e a quali condizioni, e con quali prospettive di soggiorno, cioè per quanto tempo, e con quali garanzie che l’ospitalità temporanea non diverrà una sistemazione stabile e definitiva. Infatti, se si va a vedere il testo della Convenzione di Ginevra, si scopre che anche i profughi "veri", che sono solo una piccola minoranza del totale dei migranti/invasori, hanno il diritto di essere ospitati, sì, ma non nel Paese che vogliono loro, bensì nel Paese più vicino ove possano trasferirsi per sfuggire a una minaccia grave e immediata.
È importante capire che non siamo in presenza di movimenti spontanei di popolazioni, ma di una manovra pianificata e finanziata da oscuri poteri miranti a sostituire le popolazioni europee con quelle africane e asiatiche, e la religione cristiana con quella islamica: basterebbe il buon senso per rendersi conto che, se fosse vero che queste orde umane fuggono dalla morte per fame, come sempre ci viene ripetuto dai media politicamente corretti, non potrebbero pagare 3.000 dollari a persona per il viaggio, perché, in Africa, chi possiede 3.000 dollari è un nababbo; oppure che c’è chi le paga per loro, e ha bisogno, al tempo stesso, che arrivino in condizioni disperate (un normale biglietto aereo costerebbe poche centinaia di euro, e senza dover correre alcun rischio), a bordo d’imbarcazioni semiaffondate, in modo da rendere moralmente difficile, se non impossibile, il loro respingimento. Quando si presentano questi gommoni carichi di uomini, donne e bambini, sporchi, affamati, assetati e infreddoliti, stremati dalle privazioni e dall’insonnia, nella fretta di prestar loro soccorso ci si dimentica del fatto che, se davvero stavano fuggendo da qualche conflitto nelle profondità dell’Africa, non c’era alcun bisogno che attraversassero il Sahara e poi il Mare Mediterraneo; ci si dimentica che essi non hanno il diritto di scegliere il Paese che li ospiterà, né d’insediarvisi per sempre; e non ci si sta troppo a domandare perché dei poveri profughi abbiano così spesso tanta cura di nascondere la loro identità, perché si presentino senza documenti e, non di rado, perfino con i polpastrelli delle dita abrasi, per non farsi rilevare le impronte digitali. Se sono poveri profughi in cerca di salvezza, perché rifiutano di declinare le loro generalità, o ne forniscono di false? Che cos’hanno da nascondere? E se sono così decisi nel pretendere di essere non solo soccorsi, ma anche ospitati definitivamente, come mai si permettono, a loro volta, di essere così spietati con i loro compagni di avventura di religione cristiana, al punto da maltrattarli per tutta la traversata, da gettarli in mare e da seguitare a maltrattarli anche nei campi di prima accoglienza? E se hanno patito così tanto la fame, come mai si permettono di gettare in terra il cibo che viene loro offerto, dicendo che sono stufi di mangiare sempre pastasciutta? È questo il comportamento di persone che hanno realmente bisogno d’aiuto, che hanno lasciato i loro Pesi per delle ragioni valide, anzi drammatiche, e si presentano a chiedere accoglienza nelle debite forme e nel pieno rispetto delle leggi altrui? Se così fosse, come mai tanti di loro, mentre ancora sono in attesa di sapere se la loro domanda di visto permanente verrà accolta, oppure no, non si peritano di commettere ogni sorta di reati, di furti, di rapine, di spaccio di droga, di prostituzione, di omicidi? Come mai i minori non accompagnati hanno già commesso decine di omicidi e centinaia di furti e di rapine, mentre una recentissima legge, votata dal Parlamento italiano, ha stabilito che essi hanno comunque diritto ad essere accolti, senza ulteriori formalità, per il solo fatto di avere meno di 18 anni? E non parliamo dei non pochi terroristi che si mescolano al popolo dei cosiddetti "disperati"; nonché di quelli che ancora non lo sono, ma lo diventano, non appena il loro bel sogno di trovare l’America va in frantumi, ad esempio durante un periodo di detenzione nelle carceri nostrane, dove vengono avvicinati e "radicalizzati" dai propagandisti dell’Isis.
È necessario aver chiaro questo quadro per decidere la giusta linea da tenere nei loro confronti. Anche ammesso che, per la maggior parte, essi siano solo l’inconsapevole strumento di una manovra che parte da lontano, e dai livelli più alti della finanza mondiale, dai Soros, dai Rockefeller, dai Rotschild, resta comunque il fatto che l’Italia ha tutto il diritto di difendersi da una simile invasione, da una simile aggressione. E non si dimentichi che parlare dei "migranti" (anche la parola è fasulla, è un neologismo inventato per giustificare l’invasione) come se fossero i soli stranieri che il nostro Paese dovrebbe accogliere, è falso e del tutto fuorviante. Primo, perché, se non si chiude il rubinetto, le migliaia di questo mese vanno sommate alle decine e centinaia di migliaia dei prossimi mesi: è da anni che si va avanti così, si parla di accogliere alcune migliaia di persone, ma il flusso continua ed appare inarrestabile, le migliaia si sono moltiplicate per dieci e per venti, e non s’intravede per nulla la fine. Secondo, perché l’Italia ha già accolto, e regolarizzato, e, in molti casi, concesso la cittadinanza, non a migliaia, ma a milioni di stranieri. Certo, essi sono, più o meno, nell’ambito della legalità: rispettano le regole, pagano le tasse (e ci mancherebbe altro), però sta di fatto che sono milioni, che sono africani o asiatici, di religione islamica, e, in molti casi, ben decisi a non integrarsi; per non parlare dei cinesi, i quali, per definizione, fanno caso a sé e non portano un euro, che sia uno, alla nostra economia, anzi, sottraggono quote di mercato ai nostri commercianti e artigiani, e fanno venire la materia prima e la manodopera dal loro Paese, col bel risultato che l’Italia non trae alcun vantaggio della loro presenza. Pagano le tasse? Certo: ma, sommando costi e benefici, il piatto piange, lo vede e lo capisce chiunque, anche se digiuno di economia: basta che vada a spasso per una qualsiasi delle nostre città e veda quanti negozi, bar e ristoranti di cittadini italiani hanno cessato la loro attività, per riprenderla sotto la gestione di immigrati cinesi.
Ebbene, stando così le cose, l’Italia dovrebbe reagire con la massima fermezza a questa invasione programmata. Dovrebbe sospendere ogni concessione di cittadinanza, ogni permesso di soggiorno; dovrebbe rimpatriate gli irregolari, con la massima energia; dovrebbe fare la voce grossa, in sede internazionale, sia con le Nazioni Unte, sia, soprattutto, con i Paesi di provenienza di tante, troppe persone che vengono qui per delinquere, impunemente e sfacciatamente.
Resta il problema dei barconi, dei "disperati" che traversano il Mediterraneo. Lo scandalo delle Organizzazioni "umanitarie" non governative che funzionano come taxi interessati a trasportare in Italia migliaia di africani andandoli a prendere fin davanti ai porti della Libia, finalmente ha sollevato il coperchio della pentola: per merito di un Procuratore della Repubblica coraggioso, che, subito, si è visto mettere sotto inchiesta dal governo. Lo stesso governo che riceve ufficialmente, ma semi-clandestinamente, George Soros, ma fa in modo che la notizia quasi non "passi" sui media, e specialmente sulla stampa. Che cosa si sono detti, Soros e Gentiloni? Soros ha pubblicamente dichiarato di voler continuare a finanziare le Organizzazioni non governative che, a suo dire, "salvano vite umane" nel Mediterraneo, e, che invece, a dire del Procuratore della Repubblica di Catania, Carmelo Zuccaro, lavorano, almeno alcune di esse, in piena connivenza e complicità con gli scafisti, attraverso i quali, forse, ricevono anche i finanziamento. Sta di fatto che, fino al 2013, tali Organizzazioni disponevano, nell’Italia meridionale di una sola nave per il "salvataggio" dei cosiddetti migrati; ora ne hanno tredici. Chi le ha pagate? Sia come sia, bisogna intervenire: bisogna chiudere il rubinetto della Libia, arrestare il flusso dei migranti/invasori, che, oltre alle tensioni sociali e alle ingenti spese economiche, sta spostando gli equilibri demografici del nostro Paese verso il punto di non ritorno a favore degli stranieri, rispetto ai cittadini italiani "veri". Il governo Gentiloni si vanta d’aver fatto una gran cosa firmando un patto di cooperazione con la Libia, per bloccare le partenze dai porti di quel Paese, cosa che ci è costata molti denari: peccato che lo abbia firmato con un governo fasullo, che non conta un accidente, perché la Libia nin esiste più, è nel caos della guerra civile.
Che fare, dunque?
Se avessimo avuto, e avessimo ora, dei governi seri, coraggiosi, solleciti dell’interesse nazionale, e non proni a quelli di potenze e interessi stranieri, avremmo gestito l’affare Libia in altro modo, sin dall’inizio, cioè sin dal 2009. Certo, non avremmo potuto opporci allo sciagurato attacco contro Gheddafi, voluto da Francia, Stati Uniti e Gran Bretagna. Avremmo potuto perlomeno non fornire la disponibilità delle nostre basi aeree, innanzitutto; poi, una volta rivelatasi la prevedibile follia di quella impresa, con la disgregazione dello Stato libico in una faida permanente fra le diverse tribù, avremmo dovuto assumerci la responsabilità di un intervento militare nostro, più che per porre un protettorato temporaneo, per bloccare le partenze dei migranti, e, nello stesso tempo, proteggere i pozzi di petrolio per noi così importanti, impedendo alle milizie dell’Isis d’installarsi di fronte alle nostre coste. Certo, ci sarebbero stati dei costi: sarebbero morti dei soldati, senza dubbio; e le mamme avrebbero pianto e protestato. Ora, è noto che la politica estera dell’Italia la dirigono le mamme, non i governi; o meglio, la dirigono le mamme per mezzo dei governi. Ma in Afghanistan sono già morti decine di nostri soldati, senza che nessuno abbia capito cosa ci siano andate a fare le nostre Forze Armate; mentre un intervento in Libia, davanti alle coste della Sicilia, e con lo scopo principale di sbarrare la strada all’invasione, sarebbe stato pienamente giustificato dal nostro interessi nazionale. In Afghanistan, i nostri soldati sono morti come ascari al servizio degli Stati Uniti; in Libia, sarebbero morti per difendere il nostro Paese da una minaccia immediata e diretta. Allo stesso tempo, avremmo affermato la nostra centralità nell’area mediterranea, contro l’arroganza dei vari Sarkozy. Ma per fare tutto questo, ci vorrebbe un governo con le palle. Perfino Giolitti seppe fare una cosa del genere, con l’Italietta liberale del 1911; noi , divenuti la quinta potenza economica del mondo (almeno fino alla crisi del 2007) non siamo capaci neanche di questo: di compiere un atto da Stato indipendente e sovrano, geloso delle sue necessitò vitali, a un passo dalla porta di casa nostra, per tener lontani terroristi e criminali.
Ora siamo alle prese coi barconi, e nulla sembra capace di fermarli. Paesi come la Polonia, non certo ricchi, pagano migliaia di euro purché l’Italia si tenga la sua quota di africani, e anche la loro: essi non temono di dire che l’interesse della loro Patria vene prima di tutto il resto, compreso il falso umanitarismo. Ma noi non siamo capaci di una simile fierezza, anche perché indeboliti da una chiesa "cattolica", in realtà modernista, che ordina il dovere dell’accoglienza e criminalizza chi la pensa in altro modo.
Qualche mese fa, il giornalista Maurizio Blondet si chiese quando sarebbe venuto l’ordine di sparare sui barconi. Noi non arriviamo a tanto, ma è certo che dei segnali di fermezza e decisione avrebbero scoraggiato le partenze, vi avrebbero posto un freno. Per questo è stato decisivo il modo in cui, due decenni fa, quando il fenomeno della migrazione/invasione era all’inizio, i nostri governi lo hanno affrontato. In particolare, il senso di colpa collettivo, fomentato dai buonisti di casa nostra, quando affondò una nave albanese partita sotto gli auspici della criminalità locale, e l’assurdo processo al comandante italiano che, facendo il suo dovere, aveva tentato di contrastare lo sbarco, hanno segnato, in un certo senso, il nostro destino (cfr. il nostro articolo: Dovremmo ripartire da quel 28 marzo 1997 e restituire l’onore a Fabrizio Laudadio, pubblicato su Il Corriere delle Regioni il 20/11/2016 e ripubblicato sul sito di Arianna Editrice il 30/12/2016). L’opinione pubblica non reggerebbe alla tensione morale e al senso di colpa diffuso a comando dalla cultura dominante, buonista, immigrazioni sta, post-marxista e catto-comunista: il papa, il presidente della Repubblica, la signora Boldrini si straccerebbero le vesti e scomunicherebbero i "criminali" che osassero reagire così come deve reagire un Paese di fronte a un’invasione, cioè difendendosi con ogni mezzo, e, se necessario, anche con i mezzi estremi.
Ci sono Paesi che lo fanno. Nessuno ne parla, ma l’Australia, da decenni, segue questa linea nei confronti dei non pochi clandestini asiatici che cercano di sbarcare sulle sue coste. Se i governi australiani non agissero così, quel Paese immenso, ma quasi spopolato (situazione diametralmente opposta alla nostra, ma non meno svantaggiosa), sarebbe già stato sommerso da milioni di cinesi, d’indonesiani, di vietnamiti, di filippini, d’indiani. Nessuno ne parla, nemmeno all’interno: la stampa tace, ma tutti sanno quel che accade ai clandestini, se vengono sorpresi in mare, o sulle coste: vengono chiusi in campi di raccolta nel deserto, da cui non usciranno più. Buttano via la chiave, semplicemente, senza clamori e senza giornalisti. Vi è un tacito patto fra il governo e i cittadini, e fra i diversi partiti politici, cui aderiscono anche i mezzo d’informazione. Ciò accade in una democrazia di tipo occidentale. Da noi, un simile modo di procedere sarebbe impensabile. Non perché siamo troppo buoni, ma perché non abbiamo le palle, e, soprattutto, perché non abbiamo a cuore l’interesse nazionale. C’è troppa gente che ha molto, o tutto, da guadagnare, dal protrarsi di questa invasione subdola e capillare: dagli albergatori di quart’ordine, che vedono riqualificate le loro catapecchie e promosse a centri di accoglienza per i "profughi", coi denari del governo, ossia nostri, fino ai proprietari terrieri che impiegano la manodopera in nero nelle campagne del Sud, e ai politici, anche di livello nazionale, che prendono i voti di tali soggetti: non crediamo sia necessario fare nomi, perché l’evidenza parla da sola.
Abbiamo provato a dire quel che andrebbe fatto, ma non nutriamo illusioni. Dire anche solo una decima parte di quel che abbiamo detto, esponendola come programma politico da parte di un partito qualsiasi, equivarrebbe al suicidio. Tutto il mondo del politicamente corretto lancerebbe l’anatema; probabilmente scatterebbero anche le denunce per incitamento all’odio razziale. Mentre l’odio razziale non c’entra proprio nulla: a meno di pensare che i governi dell’Ungheria, della Slovacchia, della Polonia, e anche della Russia di Vladimir Putin, o magari quello statunitense di Donald Trump, fomentino deliberatamente l’odio razziale. A tutti quei buonisti, noi vorremmo dire: per favore, non dite sciocchezze; qui è in ballo il futuro del nostro Paese e del nostro popolo, altro che storie. Eppure, siamo talmente sprofondati nell’ipocrisia della cultura buonista, relativista e immigrazionista, nella cultura dei diritti a tutto campo per i "diversi" e per le "minoranze", ma non per i "normali", a cominciare dai cittadini rispettosi della legge, e per la maggioranza dei cittadini italiani, colpevoli di essere bianchi e, magari (orrore degli orrori) anche dei veri cattolici, e non già dei modernisti alla Paglia e alla Galantino, che, da noi, qualunque serio tentativo di porre un argine all’invasione verrebbe vanificato in quarantott’ore. Da noi, Renzi e i cardinali massoni, il papa e il presidente della Repubblica, la signora Bonino e i teologi progressisti, Berlusconi e Saviano, Erri de Luca ed Enzo Bianchi, si troverebbero perfettamente allineati, tutti insieme appassionatamente, nell’esecrare, maledire, annientare l’infame che osasse avanzare questa semplice e naturalissima proposta: proteggere i confini della Patria e usare la Marina militare le Forze Armate non per favorire l’invasione, ma per provare ad arrestarla.
E allora, non ci resta che sperare in un miracolo. Ma, forse, non ce lo meritiamo…
Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Christian Lue su Unsplash