
Psicologia delle tenebre
17 Febbraio 2017
Lo scenario del controllo totale: un codice a barre sottocutaneo, applicato a ciascun individuo
18 Febbraio 2017Durante l’Ultima Cena, nel solenne discorso d’addio, Gesù ha detto ai gli apostoli (Giovanni, 15, 18-21): Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia. Ricordatevi della parola che vi ho detto: Un servo non è più grande del suo padrone. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la mia parola, osserveranno anche la vostra. Ma tutto questo vi faranno a causa del mio nome, perché non conoscono colui che mi ha mandato. Il cristiano, dunque, è uno che vive nel mondo, ma che non appartiene al mondo (Kosmos): vive nel mondo, ma come uno straniero, come un viandante, come un pellegrino: il suo sguardo è rivolto avanti, contempla il regno di Dio che non è di questo mondo, ma dell’altro. Questo, i cristiani lo hanno sempre saputo e la Chiesa lo ha sempre insegnato. Nessun cristiano, e, a maggior ragione, nessun sacerdote, ha mai pensato di appartenere a questo mondo, né si è mai sentito cittadino di quaggiù, se non per una parte: la pare terrena, cioè la parte caduca, la parte effimera. Per questo i cristiani non hanno mai avuto paura della morte in se stessa, ma, semmai, paura della morte eterna: della morte dell’anima, ossia la dannazione.
Poi è arrivato il Concilio Vaticano II. Dopo quasi duemila anni di storia, la Chiesa ha deciso di virare la barra del timone di centottanta gradi: e il mondo, da un giorno all’altro, è diventato l’interlocutore amico e necessario, è diventato il punto di riferimento imprescindibile; per cui i cristiani hanno incominciato ad essere, o ad immaginarsi di essere, uomini del mondo e cittadini della modernità. A partire da quel momento, molti cristiani e molti sacerdoti hanno rovesciato la loro prospettiva: hanno desiderato di piacere al mondo, anche a costo di dispiacere a Dio. Gesù, infatti, aveva ammonito i suoi discepoli, e proprio in quella stessa occasione, che un servo non può essere superiore al padrone: di conseguenza, chi segue Cristo non può sperare di ricevere dal mondo un trattamento diverso, e migliore, da quello che è stato riservato a Lui; e tanto meno lo deve desiderare. I cristiani che desiderano di vivere in pace col mondo, di andare d’amore e d’accordo col mondo, non sono più dei veri cristiani: nell’intimo del loro cuore hanno abdicato al Vangelo e hanno scelto l’apostasia. Per il mondo, ad esempio, l’interruzione volontaria della gravidanza è un diritto garantito dalla legge, e i medici e gli infermieri sono chiamati ad assecondarlo (per ora esiste ancora l‘escamotage dell’obiezione di coscienza, ma c’è aria di stretta legislativa): ebbene, il cristiano non può, e non potrà mai, considerare normale una cosa del genere; non potrà mai accettarla; non potrà mai praticarla; non potrà mai rassegnarsi ad essa. Si potrebbero fare molti altri esempi: il mondo moderno è caratterizzato da scelte e da strutture di peccato, che collidono frontalmente con l’etica del Vangelo; e il cristiano, memore delle parole di Gesù, che un servo non può obbedire a due padroni, deve scegliere da che parte stare. O si sta con il mondo, o si sta con Dio. Se si sceglie di stare con il mondo, si vivrà una vita tranquilla, si potrà fare una carriera sicura e si riceveranno riconoscimenti e vantaggi; se si sceglie di stare con Dio, bisogna prepararsi alle incomprensioni, alle critiche, e poi, via, via che il contrasto diverrà più esplicito, anche delle vere e proprie persecuzioni. Ma di che cosa ci si dovrebbe meravigliare? Basta aprire il giornale o accendere la televisione: centinaia di migliaia di cristiani, milioni di cristiani, oggi, nel mondo, sono in pericolo di vita per amore di Cristo, per la loro fedeltà al Vangelo. Perché i cristiani dell’Occidente dovrebbero dare per scontato che l’essere cristiani non comporti alcun rischio, né il minimo inconveniente? Se sono arrivati a pensare questo, vuol dire che si sono dimenticati che cos’è il Vangelo. Il Vangelo è esigente; Gesù Cristo è un padrone esigente. Si vada a rileggere la parabola dei talenti: Dio è simile a un padrone severo, che miete dove non ha seminato e che raccoglie dove non ha sparso. Certo, Egli è anche un Padre misericordioso; ma la sua misericordia non va disgiunta dalla sua giustizia. Giustizia e misericordia sono una cosa sola: la giustizia è una faccia della misericordia. Non sarebbe misericordioso non essere giusto: le due cose formano una unità inscindibile.
Quello a cui stiamo assistendo, da alcuni anni, anzi, da alcuni decenni, e che ultimamente si è diffuso con la velocità di un cancro andato in metastasi, è un progressivo adattamento della Chiesa al mondo, una assuefazione dei cristiani alla mentalità del mondo. Il clero non fa e non dice più le cose che piacciono a Dio, ma quelle che piacciono agli uomini. Il peccato non è più chiamato peccato; anzi, si è giunti a un punto tale d’impudenza e di aberrazione, che il peccato viene chiamato virtù, il male viene chiamato bene, e il bene viene chiamato male. Un poco alla volta, nell’arco di due sole generazioni, è stato consumato un vero e proprio tradimento nei confronti della Parola di Dio. La Parola di Dio è stata modificata, adattata, snaturata; si è giunti al punto da capovolgerne il significato. Fino a qualche tempo fa, per esempio, la Chiesa rifiutava le esequie cristiane ai suicidi. Poi, per pietà e per rispetto dei familiari del defunto, si è chiuso un occhio sul fatto che il suicidio, se attuato in piena consapevolezza, è un peccato mortale: non per nulla Dante pone i suicidi all’Inferno, senza se e senza ma. Certo, forse la Chiesa era troppo severa; però il suo scopo era chiaro: ricordare agli uomini che la vita non appartiene a loro, ma a Dio. Nessuno è padrone della vita; nessuno può toglierla, né agli altri, e neppure a se stesso. Dio ce l’ha data, Lui ne è il padrone. Adesso, secondo una certa interpretazione del magistero, perfino l’aborto non è più un peccato così grave da richiedere una speciale assoluzione del vescovo: basta la confessione ordinaria con un qualsiasi sacerdote, come per un furto di caramelle. Non parliamo della morale sessuale. Ciascuno fa quel che vuole, compresi i cristiani, e il clero tace o approva. Della castità, della purezza, non si parla più; sono pochi i sacerdoti che, nelle loro omelie, citano san Paolo e ricordano ai fedeli che il corpo è il tempio di Dio e che, pertanto, non deve essere profanato, ma trattato con sommo rispetto. Si è arrivati al punto che anche il peccato contro natura – che, per il catechismo di san Pio X, è uno dei quattro peccati che gridano vendetta davanti a Dio – non è più tale, non è più un peccato; e che uomini di Chiesa, ministri di Dio, lo dicono ad alta voce, e approvano perfino il cambio di sesso. Ve ne sono altri che sposano delle coppie omosessuali, mentre teologi progressisti e vescovi modernisti configurano una cristianità futura dove tali cose diverranno assolutamente normali, nonché una Chiesa che riconoscerà il cosiddetto matrimonio omosessuale, e lo benedirà, esattamente come il matrimonio fra l’uomo e la donna. Di nuovo: siamo in presenza di un clero che non vuol piacere a Dio, che non obbedisce a Dio, che non prende a suo modello perenne il Vangelo, ma che vuol piacere agli uomini, e vuol sentirsi a suo agio nel mondo, secondo lo spirito del mondo. Monsignor Galantino, per esempio — che non è un personaggio di seconda o terza fila, ma il segretario generale della Conferenza Episcopale italiana, e dunque un numero uno della Chiesa cattolica, ha affermato, in una omelia, che Dio ha risparmiato gli abitanti di Sodoma, inventandosi una Bibbia secondo i suoi gusti. Ecco: lui pure ha voluto piacere agli uomini – e si sa quanto siano potenti, oggi, le lobby omosessuali, e come vogliano imporre nelle scuole di tutto il mondo l’ideologia gender -, anche a costo di dispiacere a Dio. Ma a Dio, costoro, ci credono ancora? Non è una domanda impertinente; è una domanda che sgorga spontaneamente davanti a certi comportamenti, a certe frasi, da parte di chi, la fede in Dio, la dovrebbe custodire anche negli altri. Il cristiano, in questo mondo, non si sente più un viandante (homo viator), un pellegrino, proteso verso la meta dei cieli nuovi e delle terre nuove, che gli si aprirà davanti quando avrà lasciato questo corpo di carne e sangue, che invecchia, si ammala e muore; è diventato un cittadino del mondo a pieno titolo, integralmente, ed è così attaccato al mondo, e così soddisfatto di essere nel mondo, che ai cieli nuovi e alle terre nuove non pensa affatto, ma si dà un gran daffare per realizzare il suo privato paradiso, qui e ora, sulla terra, secondo le logiche del mondo, concedendosi ogni piacere, ogni desiderio, ogni istinto, e fuggendo come la peste ogni sacrificio e ogni dovere che non siano proprio strettamente indispensabili, come se tutto ciò fosse compatibile con l’essere cristiano. Quanto al valore della sofferenza, vissuta cristianamente e cristianamente offerta a Dio in riparazione del male, nemmeno l’ombra: a far simili discorsi, si notano lo stupore, quasi l’incredulità, sui volti di costoro.
E perché i cristiani di oggi non dovrebbero pensare tali cose, se le sentono insegnare e predicare dal pulpito, se vedono cardinali che le affermano, e teologi che le scrivono; se il papa in persona, e non una volta sola, ma spesso, continuamente, si comporta come un uomo di questo mondo, che dice: Chi sono io per giudicare? Così, essendo ormai generalizzata, l’apostasia dal Vangelo non viene più riconosciuta, né percepita come tale: lo sarebbe, se vi fosse una parte consistente della Chiesa che non si adegua, che non si arrende, che non si sottomette a questo nuovo indirizzo; ma, purtroppo, questo non avviene, o avviene in misura minima. I sacerdoti che hanno conservato la fede cattolica, e che parlano e agiscono coerentemente con essa, sono pochi; forse ve ne sarebbero di più, ma non osano mostrarsi, non osano parlare in maniera troppo aperta. Hanno paura, o temono di sbagliarsi loro: ritengono forse che sia impossibile che il papa stia sbagliando, che i vescovi stiano sbagliando, che il magistero stia sbagliando. Non era mai accaduto prima: finora, le eresie erano state viste e riconosciute per tempo, denunciate, combattute. Ma adesso? nessuno parla più dell’eresia; ma è proprio vero che di eresie non ce ne sono più? Nessuno vigila contro di esse, nessuno le combatte: ma perché non ci sono, o perché tutta la Chiesa ne è ormai gravemente, diffusamente infettata?
Ma non a questo si sono limitati i membri del clero modernisti; non è bastato loro stravolgere la Parola di Dio nel senso di giungere a un pieno e beato accomodamento con il mondo. No: hanno voluto anche far dire al Vangelo delle cose che non ci sono; hanno anche preteso dai cristiani che considerassero come parte del loro "dovere" assumere certi atteggiamenti verso il mondo che sono, invece, materia di scelta personale, e che Dio non si è mai sognato di prescrivere. Gesù ha insegnato che l’amore è il comandamento più grande: ma non ha preteso che ci sia una maniera sola di osservarlo; in particolare, non ha ordinato che i bisognosi siano accolti e accuditi illimitatamente e indiscriminatamente. L’obiettivo dell’amore è aiutare chi si trova in difficoltà; e, per farlo, esistono molte maniere. La più ovvia, la più logica, la più giusta, è quella di aiutare il povero a vivere nel proprio paese, nella propria famiglia: non trapiantare milioni di poveri da un luogo della terra ad un altro. L’accoglienza indiscriminata dei cosiddetti migranti e dei cosiddetti profughi, quasi tutti di fede islamica e quasi tutti ben decisi a non integrarsi, anzi, a sottomettere, un poco alla volta, con il loro potenziale demografico, le popolazioni cristiane dell’Occidente, non rientra fra i doveri del cristiano. Chi lo dice, chi lo grida, chi lo esige, mente sapendo di mentire. Ancora una volta: la misericordia non può essere disgiunta dalla giustizia; tanto meno può essere brandita, come un’arma, contro la giustizia dovuta ad altri fratelli. I nostri fratelli cristiani vivono sovente in condizioni di povertà e di abbandono non meno gravi di quelle in cui versano gli stranieri: forse che essi non meritano amore e accoglienza? Eppure, benché queste situazioni esistano da anni, e benché si parli di oltre dieci milioni di italiani poveri, non si è mai sentito da quei tali vescovi e preti progressisti che il vero cristiano deve prendersi in casa almeno uno di quei poveri, che deve farsi carico di tutte le sue necessità. Per gli stranieri, sì: anche se fra essi vi sono dei delinquenti, dei terroristi, dei portatori di malattie non dichiarate; come mai? Evidentemente, il clero della neochiesa progressista e modernista ha un disegno in testa: sostituire, nell’arco di due o tre generazioni, i popoli dell’Europa cristiana, dell’Occidente cristiano, coi popoli musulmani dell’Africa e dell’Asia. Perché lo facciano, lo sapranno loro; noi possiamo solo constatarlo.
Certo è che, in questo momento, la cultura dominante è tutta dalla loro; la politica ufficiale predica le stesse cose: dice ai cittadini di stringersi ancora un poco, di far posto, di aggiungere un piatto in tavola. Dunque, i sacerdoti e i vescovi che parlano sempre del dovere cristiano di accogliere tutti, dicono ciò che piace al mondo: è questo il loro criterio di giudizio. Tacciono sull’aborto, non parlano mai dei milioni di nascituri che vengono soppressi, con il denaro dei contribuenti, nei nostri ospedali, secondo la legge; però si scandalizzano e gridano: Vergogna! se un barcone, stracarico di migranti, fa naufragio. Pare che li abbiamo ammazzati noi! Ma dei nascituri che abbiamo eliminato, nulla: silenzio. Strani questi cristiani progressisti, che interpretano il Vangelo con tanta disinvoltura: si commuovono a comando, piangono da un occhio solo, mentre con l’altro, perfettamente asciutto, lasciano che il mondo faccia quel che gli va di fare, e lo approvano, senza alcun timore di Dio…
Fonte dell'immagine in evidenza: RAI