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Ciò che i cattolici progressisti non capiscono è che la fede non è una via comoda

Il cristianesimo è anche una filosofia globale della libertà, e la libertà non è mai una via comoda: questo è ciò che i cattolici progressisti e neomodernisti non hanno mai capito, non vogliono e, in un certo senso, non possono capire, dati i loro presupposti erronei. In che cosa consiste il loro progressismo? Nel tentativo di conciliare la fede in Cristo con la fede nel Progresso — due cose, evidentemente, un po’ diverse fra loro. E in che cosa consiste il loro neomodernismo? Nel tentativo di "rinnovare" la fede per mezzo delle cosiddette conquiste del pensiero moderno, a cominciare dal metodo scientifico. Ed eccoli lì, tutti presi e indaffarati nello sforzo ciclopico di togliere un sassolino qua, di rimuovere una spina là, per eliminare tutto ciò che, sul sentiero della fede cristiana, può dare ombra alle loro altre due fedi "parallele", quella nel Progresso e quella nella Modernità. Peccato soltanto che, alla fine di questa strana operazione, del cristianesimo non resterà più nulla, assolutamente nulla: ma loro non lo sanno. Loro, al contrario, penseranno di aver compiuto una nobile e necessaria impresa: togliere ed eliminare dal cristianesimo ogni elemento "irrazionale", ogni cosa che non sia scientificamente dimostrabile, ogni credenza che non si possa conciliare con la fede assoluta in un Progresso puramente umano, laico e immanente. Credono che, alla fine, si troveranno fra le mani un cristianesimo rinnovato e, ovviamente, assai migliore dell’antico, depurato da retaggi oscurantisti e da mitologie un poco buffe, certo insostenibili e indifendibili ai nostri giorni; invece si troveranno a stringere il nulla, zero virgola zero. Davanti al loro zelo iconoclasta, al loro furore modernista, al loro entusiasmo progressista, non si saprebbe se ridere o piangere: somigliano a dei bambini che han deciso di fare a pezzo il loro giocattolo per vedere cosa ci sia dentro; troppo tardi capiranno, se pure lo capiranno mai, di avere ucciso la fede e di aver distrutto la Chiesa.

Quel che vogliono fare, in fiondo, è di rendere facile la fede in Cristo. I miracoli di Cristo sono un problema per il metodo scientifico? E allora via i miracoli. La morale cristiana è un problema per gli appetiti dell’uomo? Niente paura: la morale cristiana si può "aggiornare", adeguare, adattare alle esigenze del mondo attuale. E così via. Quel che non piace, quel che risulta ostico sul piano intellettuale o sul piano morale, lo s’interpreta in senso allegorico, figurato. Via, non si deve pigliare la Bibbia alla lettera: lo sappiamo almeno dai tempi di Galilei; e non vogliamo mica processare un altro Galilei, vero? Anzi, a scanso di situazioni spiacevoli, i cattolici modernisti e progressisti si arruolano sotto le bandiere della scienza, anche quando si tratta solo di teorie scientifiche non del tutto confermate dai fatti. L’evoluzionismo, per esempio: ci sono, bensì, dei biologi non evoluzionisti; e i famosi "anelli mancanti" fra le diverse specie, checché se ne dica, non sono saltati fuori, o non in misura soddisfacente: però, per far vedere che i cristiani moderni sono ragionevoli e non degli oscurantisti, nemici della Scienza e del Progresso, ecco che essi hanno adottato in blocco l’evoluzionismo, preferibilmente nella versione più "ortodossa", quella darwiniana. E poco importa che sia anche la meno suffragata dai fatti, la più discussa, la più criticata nello stesso ambiente scientifico: questa volta i cattolici progressisti e modernisti hanno deciso che, per non farsi più sorprendere alla retroguardia, andranno sempre e comunque all’avanguardia: che saranno sempre un passo avanti, e mai un passo indietro, rispetto alla marcia trionfale della Scienza. Stesso discorso per la sfera morale, anche se con una pizzico più evidente d’ipocrisia. La Chiesa dichiara che il matrimonio è indissolubile e che la vita appartiene solo a Dio? E i cattolici progressisti votano "sì" tanto al referendum sul divorzio, che a quello sull’aborto: ci sarà pure la libertà di coscienza, in fin dei conti. Ma questa è già storia vecchia, acqua passata. Adesso è lo stesso magistero che si muove, sotto gli auspici e la spinta (ir)resistibile di papa Francesco: con la Amoris laetitia, la ferita è stata sanata e i cattolici divorziati e rispostati possono mettersi a posto con Dio e con gli uomini; quanto all’aborto, anche quello non è poi un problema insuperabile, per fortuna c’è la misericordia di Dio e una bella confessione, senza neppur bisogno di scomodare il vescovo, pulisce la coscienza meglio di uno smacchiatore di prim’ordine.

Tutto dipende, evidentemente, da quel che si pensa che il Vangelo sia. Per i cattolici modernisti e progressisti, è un appello alla misericordia di Dio, e un semaforo verde perché l’uomo faccia quel che vuole, quel che gli sembra giusto, in un clima di pieno soggettivismo e relativismo. Se una persona, in coscienza, sente di dover fare in un certo modo, allora fa bene a seguire la sua strada, ha detto, press’a poco, papa Francesco nella sua prima, tristemente celebre, conversazione-intervista col gran papa dello gnosticismo massonico italiano, Eugenio Scalfari: e mai era vista la dottrina cristiana trascinata così in basso per bocca d’un vicario di Cristo, nei suoi duemila anni di storia. Se si pensa, invece, che il Vangelo sia un invito alla conversione e chieda agli uomini d’intraprendere la via della croce, del sacrificio di sé, dell’eroismo quotidiano per amore di Dio e del prossimo, allora le cose stanno in maniera completamente diversa: la via della fede diventa la più impervia che si possa immaginare, e appare tutta l’inanità e la follia di volerla rendere facile. Quanto al mondo moderno, appare chiaro che non si può essere amici di Dio e anche del mondo, che bisogna fare una scelta: Se hanno ascoltato me, ascolteranno anche voi; se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi. E il mondo vi odia, perché voi non siete del mondo; sappiate che prima di voi il mondo ha odiato me. Sono parole di Gesù Cristo, riportate fedelmente dal Vangelo. Ci vuole davvero tutta la disinvoltura e tutta l’impudenza dei cattolici progressisti e modernisti per far finta che queste parole non siano state pronunciate, e per tirare il Vangelo a dire l’opposto di quel che Gesù ha detto, ossia che il cristiano deve farsi amico del mondo e convivere fiduciosamente con esso.

A questo proposito osservava acutamente papa Benedetto XVI (da: Svolta per l’Europa?, pp. 87-89; cit. in Joseph Ratzinger, Collaboratori della verità. Un pensiero al giorno, a cura di suor Irene Grassl, titolo originale: Mitarbeiter der Wahrheit: Gedanken für jeden Tag, Würzburg, Verlag Johan Wilhelm Naumann, 1990; traduzione dal tedesco di Annarita Torti, Libreria Editrice Vaticana, 205, e Cinisello Balsamo, Milano, Edizioni San Paolo, 2006, pp. 316-317):

L’integrazione fra conoscenza, volontà e sentimento avviene nella persona. La fede cristiana ha per sua stessa natura una struttura personale. È la risposta di una persona alla chiamata di un’altra. È l’incontro di due libertà.

Se l’essenza della fede cristiana, così come viene descritta nella Bibbia, non è l’irrazionalismo, ma il più deciso riconoscimento della ragione come fondamento e destino di tutte le cose, possiamo aggiungere che la fede cristiana racchiude per sua natura una filosofia globale della libertà.

Ciò si ripercuote anche sulle forme concrete di religiosità. A una filosofia a-personale corrisponde una religiosità a-personale. Non si può negare che esistano tendenze di questo genere anche tra i cristiani. Il coraggio della fede nel Dio personale che ci ascolta finisce per esaurirsi. La pietà si riduce a un lasciarsi sommergere nella corrente dell’essere, a un liberarsi degli oneri della libertà, degli oneri della dignità personale, a un rituffarsi nell’abisso del nulla.

La preghiera cristiana, invece, è la risposta di una libertà a un’altra libertà, incontro d’amore. Ancora una volta: la tendenza a una religiosità a-personale cela in sé un frammento di verità. Essa aspira al superamento della differenza che ci separa dall’altro e dagli altri. Ma la ritirata dall’essere, il darsi per sconfitti che ciò significa, non salva. Quando l’incontro di due libertà diventa amore, proprio allora avviene il superamento della differenza. Non la negazione della persona, ma il suo geto più alto, l’amore, crea quell’unità cui noi, creature del Dio uno e trino, aneliamo fin dal profondo della nostra esistenza.

Possiamo dunque concludere: la fede non è una via comoda. Chi la presenta così fallirà. Essa pone l’uomo davanti al’aspirazione più elevata, perché sa quanto l’uomo vale. Ma proprio perché fa ciò, è bella e adeguata alla nostra natura. Se il nostro sguardo sa coglierla in tutta la sua grandezza e profondità, allora la fede porta in sé le risposte che la nostra epoca attende.

Nella prospettiva di Benedetto XVI, dunque, nel cristianesimo si realizza la sintesi di conoscenza, volontà e sentimento, e cadono le barriere che imprigionano gli uomini nella loro finitezza, proprio come cadono — ma su un piano solo terreno — nell’atto d’amore fra un uomo e una donna. Il cristianesimo, infatti, si basa su un Dio personale che si rivolge a un uomo-persona: niente a che vedere con le filosofie e con le teologie gnostiche, neoplatoniche, panteiste, razionaliste, antiche e moderne; niente a che vedere con gl’innumerevoli culti e sette New Age, o con i rigurgiti neopagani; e meno di tutto con i tentativi di addomesticare il cristianesimo, di normalizzarlo, di snaturarlo, agendo dall’interno di esso. Benedetto XVI mostra di avere piena consapevolezza del fatto che tali tentativi esistono, e vi sono delle forze a ciò interessate: le stesse forze che vorrebbero spostare il rapporto fra Dio e l’uomo su di un piano impersonale, così trasformando il cristianesimo in una filosofia. Una delle tante. Il modernismo e il progressismo vanno appunto in questa direzione, e ciò per un duplice ordine di ragioni. Il primo è che, ai loro occhi, il carattere personale della Rivelazione cristiana è motivo di scandalo: perché mai Dio dovrebbe incarnarsi, perché mai dovrebbe presentarsi a tu per tu davanti a ciascun singolo uomo, perché mai dovrebbe rinnovare il suo sacrificio d’amore, incessantemente, nel mistero dell’Eucarestia, seguitando a farsi tutto a tutti, sino all’estremo sacrificio, ogni volta che il sacerdote celebra la santa Messa? Tutto questo appare puerile e, nello stesso tempo, irragionevole, dal punto di vista dei dotti modernisti e dei progressisti, imbottiti di sano realismo. L’altro ordine di ragioni ha a che fare con il cosiddetto ecumenismo e con il cosiddetto dialogo interreligioso: se Dio è persona, e se la Persona che si è incarnata in mezzo a noi è Gesù Cristo, ciò offende i seguaci delle altre religioni e, fra i cristiani, offende coloro i quali negano il sacrifico della Messa, negano o mettono in forse l’Incarnazione, perché la vedono come un atto troppo selettivo per essere realmente divino. Come potrebbe, Dio, far preferenze? Perché dovrebbe escludere gli altri? Ancora una volta, alla base di questi atteggiamento vi è il rifiuto del Vangelo: perché, in esso, Gesù dice con estrema chiarezza ai discepoli: Andate e annunciate il Vangelo: chi sarà battezzato e crederà, sarà salvo; ma chi non crederà, sarà condannato.

E qui viene al pettine il nodo fondamentale di tutta la questione. Le filosofie moderne, come il modernismo e il progressismo, esaltano l’uomo, ma, in fondo, hanno un’idea ben meschina di lui: non lo ritengono degno di una offerta d’amore personale da parte di Dio. E le due cose, in fondo, si legano e si compenetrano: dietro questa apparente umiltà, vi è un’immensa superbia: l’uomo non vuole che Dio si prenda cura di lui, individualmente e personalmente, perché ciò limiterebbe la sua "libertà". Ma la vera libertà dell’uomo non è quella di fare ciò che vuole, bensì di fare ciò che è giusto. Giusto per chi?, chiederanno subito, alzando le sopracciglia e già pregustando il trionfo, i modernisti e i progressisti. Giusto davanti a Dio; ma giusto anche per l’uomo: tanto per il singolo individuo, quanto per i suoi simili. La giustizia o è universale, o non è giustizia, ma una sua caricatura. Un’azione giusta è tale perché è giusta davanti a Dio, perché è giusta per il singolo uomo che la compie, ed è giusta per le altre persone che si muovono entro la sfera di quell’azione, diretta o indiretta che sia (e si pensi che, talvolta, gli effetti indiretti di un’azione si manifestano dopo generazioni e secoli, per capire quale tremenda responsabilità sia insita nel concetto della libertà morale). La libertà, insomma, per i modernisti e i progressisti, se non è assoluta, non è libertà; però, nello stesso tempo, ne sono spaventati, perché ne intuiscono, più che vederle, le tremende implicazioni: ed ecco che preferiscono fare appello alla "misericordia" di Dio per togliersi quel fardello dalle spalle, ogni qualvolta non sanno farne il giusto uso. Per il cattolicesimo, quello vero e non quello taroccato della "svolta antropologica" e del falso ecumenismo, l’amore di Dio-persona per l’uomo-persona, è una cosa estremamente seria, o meglio, essenziale: se si toglie quello, si toglie il Vangelo. Il lieto annunzio è tutto qui. Ma la relazione che s’instaura fra le due persone, quella Infinita e quella finita, non è affatto facile: come non lo è in nessuna relazione d’amore. Ed ecco la tentazione di alleviare o, magari, togliere le difficoltà. Ciò che progressisti e modernisti non capiscono è che, in tal modo, si toglie anche la profondità dell’amore reciproco fra Dio e l’uomo…

Fonte dell'immagine in evidenza: RAI

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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