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Si può essere contro la modernità?
1 Febbraio 2017I due schieramenti sono ormai sufficientemente ben delineati. Del resto, lo si era intuito già da tempo, addirittura prima che Trump vincesse, in maniera netta, contro tutte le previsioni — e a questo punto bisogna domandarsi a chi sia in mano il meccanismo delle cosiddette "previsioni" — le elezioni per la presidenza degli Stati Uniti d’America. Si scontrano due principi, due visini del mondo, due sistemi di valori: e, sorpresa!, Trump non rappresenta quel che poteva sembrare, e nemmeno i suoi implacabili avversari e detrattori sono quel che apparivano. Ora, almeno, le cose son diventate abbastanza chiare, beninteso per chi le vuol vedere e possiede quel tanto di onestà intellettuale per giudicarle per ciò che sono, e non in base a dei riflessi condizionati e a delle formule ideologiche astratte, che possono piacere o non piacere, ma che hanno il limite di essere sempre un po’ al di qua, o al di là, delle situazioni concrete, cioè della vita vera.
Trump si presentava come l’araldo di un nazionalismo e di un liberismo esasperati, al limite della xenofobia e del capitalismo più selvaggio. Il partito globale che gli si oppone, e che lo vede come il diavolo incarnato, si presentava e si presenta tuttora come il depositario di due valori essenziali della cultura moderna: la dignità umana e la libertà. A capo di questo partito internazionale c’è, senza alcun dubbio, non un uomo politico, o un filosofo dell’economia, ma l’attuale inquilino dei palazzi vaticani: papa Francesco. E, infatti, nel suo messaggio al neoeletto presidente americano, il pontefice gli ha testualmente ricordato:
In un tempo nel quale la famiglia umana è assalita da gravi crisi umanitarie che richiedono risposte politiche lungimiranti e unite prego che le sue decisioni vengano guidate dai ricchi valori spirituali e etici che hanno formato la storia del popolo americano e l’impegno della sua nazione per l’avanzamento della dignità umana e della libertà in tutto il mondo».
Così il duecentosessantaseiesimo vescovo di Roma al quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti d’America. Dignità e libertà, come valori da "far avanzare", cioè da diffondere, in tutto il mondo: questa la missione storica che, secondo Francesco, è stata assegnata agli Stati Uniti d’America. Un compito che deriva, genericamente, dai "valori spirituali ed etici": tutto qui. Neanche una parola sui valori cristiani, come ormai è tipico di questo papa, che non parla mai da papa, ma da leader laico; e benché Trump, da parte sua, abbia fatto riferimento esplicito ad essi, fin da prima della campagna elettorale. Ci si può anche chiedere se dignità e libertà siano i valori più importanti di tutti, e se davvero li si possa concepire staccati, o autonomi, rispetto al cristianesimo. Chi ha insegnato alle società umane questi valori? Senza dubbio, lo storico onesto deve riconoscere che li ha insegnati il cristianesimo, non l’illuminismo (che, semmai, li ha stravolti). Il presidente Trump lo sa, lo dice e lo tiene a mente; il papa, invece, no. Parla come un uomo del 1789, come un rivoluzionario francese o un filantropo illuminista: vede la libertà e la dignità come valori assoluti, e, quel che più conta, come valori laici, che parlano una lingua internazionale, condivisibile da tutti gli uomini di buona volontà, di qualunque e fede e di qualsiasi credo. Ma è proprio così?
Vediamo. Nella cultura islamica, dignità e libertà non sono precisamente valori assoluti, e tanto meno universali. Di per sé, la cultura islamica non li possiede: prima di essi, molto prima di essi, viene la sottomissione a Dio e alla parola trasmessa dal suo profeta, Maometto. Sul terreno pratico, le cose sono ancora più chiare. Dalla proibizione di guidare la macchina per le donne, alle mutilazioni genitali femminili, al taglio della mano destra per il ladro, alla lapidazione per l’adultera, al disprezzo e al rifiuto radicale dell’omosessuale (un aspetto sui cui i progressisti nostrani sorvolano sempre, chi sa perché), non si direbbe che la dignità umana e la libertà umana siano la preoccupazione numero uno delle culture islamiche. Sappiamo benissimo che qualcuno obietterà che né l’infibulazione e il taglio del clitoride, né tante altre usanze praticate nelle culture islamiche, sono, di per sé, islamiche: ma il discorso non cambia. Che tali norme siano o non siano scritte nel Corano, sta di fatto che sono praticate ed imposte da islamici, i quali, così facendo, sono convinti di realizzare pienamente la loro condizione di credenti. E questo è un problema dell’islam; non tocca ai suoi critici di fare la distinzione fra il Corano e le sue eventuali applicazioni improprie e sbagliate, ma tocca agli islamici risolvere le loro contraddizioni. D’altra pare, di quale libertà stiamo parlando? Nell’islam non è consentito convertirsi ad un’altra religione; chi lo fa, lo fa a suo rischio e pericolo. E non c’è altro da dire.
Nella cultura giudaica, del pari, non troviamo né la dignità, né la libertà in cima alla scala dei valori. Come nell’islamismo, vi è una netta distinzione fra la morale da attuare e rispettare con i propri correligionari, e quella da riservare ai non credenti, ai goyim. Sappiamo bene che questo discorso non piace ai patiti del dialogo inter-religioso e agli ammiratori incondizionati dei nostri "fratelli maggiori" (una espressione a dir poco azzardata, a meno di precisare che sono i fratelli maggiori dai quali i cristiani sono stati rifiutati e perseguitati, perché erano loro di scandalo, e lo sono tuttora). Eppure, la verità di quest’affermazione apparirà ancora più palese se si considera che gli Ebrei sono sempre a favore dell’immigrazionismo, del pluralismo e del multiculturalismo, ma a casa degli altri; quanto a se stessi, si sposano fra di loro e non si confondono affatto con gli altri popoli e con le altre religioni, perché ciò sarebbe contrario ai loro principi fondamentali. Anche per loro, inoltre, la dignità e la libertà vengono parecchio dopo la fedeltà a Dio: basta leggere l’Antico Testamento per convincersene, così come basta osservare il comportamento pratico degli Ebrei, a cominciare da quello impersonato dalla leadership dello Stato d’Israele, per esempio dal modo di porsi nei confronti non già del problema palestinese (da essi creato), ma del popolo palestinese.
Nella cultura laicista e secolarizzata dell’Occidente odierno, i valori di cui papa Francesco pare essersi fatto banditore non trovano cittadinanza se non a parole. Aborto, eutanasia, edonismo sfrenato, utilitarismo cinico, ricerca esasperata del profitto vanificano ogni discorso reale sulla dignità e sulla libertà; in compenso, questo sì, sono valori che stanno sempre sulla bocca delle perone politicamente corrette, a cominciare dai leader europei, di destra non meno che di sinistra: gli Hollande, gli Zapatero, le Merkel, i Renzi, e via dicendo. Ma è solo un mare di chiacchiere: nei fatti, quel che conta è il dio denaro, e il sacro egoismo delle banche e del potere finanziario. In compenso, dignità e libertà sono declinate in senso assoluto, là dove alimentano la cultura dei diritti a senso unico, e, con ciò, diventano armi da brandire contro la maggioranza da parte delle minoranze; armi con le quali si paralizza la vita della società, si ostacola il merito, si punisce la vera libertà di pensiero. Come si può parlare di libertà, se ogni giorno i parlamenti europei votano nuove leggi liberticide, in nome dei diritti che, teoricamente, si vorrebbero difendere? Parlare in maniera difforme dal politically correct equivale ad esporsi a svariati reati punibili dal codice penale: dall’omofobia al negazionismo, dal razzismo alla circonvenzione d’incapace (nel caso delle cure mediche alternative alla medicina ufficiale). In questa società laicista e secolarizzata, l’importante è affermare i diritti delle minoranze, per quanto minuscole. L’università di Udine ha appena avuto la bella pensata di facilitare le cose agli studenti che vogliono cambiare sesso, garantendo la massima privacy nella gestione dei dati anagrafici. Bello, vero? Questa sì che è civiltà.
E infine vediamo la chiesa di papa Francesco e il mondo cattolico da lui rappresentato: cioè, per dir meglio, la neochiesa, o la contro-chiesa, modernista e progressista. Dignità e libertà dell’uomo? Bisogna vedere. O si parte dalla persona umana, oppure è meglio parlar d’altro. Il Vangelo stabilisce il primato della persona, non dell’uomo: l’uomo (e il cittadino) sono astrazioni di Rousseau e di Robespierre. Per il cristianesimo (quello vero, non quello taroccato e contraffatto dai modernisti) l’uomo è persona, perché Dio stesso è Persona, e l’uomo è stato creato a immagine di Lui. Il Padre è persona, Gesù Cristo è persona, lo Spirito Santo è persona. L’uomo è persona e la sua dignità e la sua libertà sono una conseguenza di questo fatto, non una pre-condizione. Se l’uomo non è persona, non ha né dignità, né libertà. Ora, l’uomo massificato, abbrutito, livellato, anonimo e politicamente corretto, non è persona: è numero, per non dire bestiame. Parlare della dignità ed esaltare la libertà di un tale soggetto è blasfemo, e, oltretutto, si rivela funzionale ai meccanismi della sua degradazione e della sua spersonalizzazione. Inoltre, per il cristianesimo (quello vero) tutti gli uomini sono chiamati ad essere persone, perché sono tutti figli di Dio; nell’islamismo e nel giudaismo, invece, solo i veri credenti lo sono.
E adesso torniamo a Trump. Qual è la principale ragione del contendere, al principio del suo mandato presidenziale, fra lui e il papa, fra lui e i leader europei, fra lui e tutto l’establishment progressista e benpensante, di cui i ragazzotti che lo contestano e i giudici che cercano di ostacolare le sue decisioni sono la perfetta espressione? Il muro con il Messico e la proibizione di entrare negli Stati Uniti, per alcuni mesi, a coloro che provengono dai Paesi considerati focolai di terrorismo; poi, la preferenza accordata all’accoglienza dei cristiani, rispetto agli islamici. Inoltre, si è spinto ad affermare che gli Stati Uniti non devono fare, davanti al problema dei migranti, come l’Europa, che "è piombata nel caos" (e l’Italia, avrebbe potuto aggiungere, nel più profondo del caos: andare alla stazione ferroviaria di Milano e confrontarla con quella di Monaco di Baviera, per credere). E questo sarebbe nazionalismo, sarebbe xenofobia? È, semplicemente, l’affermazione di un principio che l’Europa ha rinnegato, il principio della sovranità. In base ad esso, prima vengono gli interessi del proprio Paese, poi tutto il resto. Non è un principio nazista, o semi-nazista, come il papa ha suggerito, perfidamente, accostando l’elezione di Trump all’andata al potere di Hitler, ma un principio elementare di buon senso e di responsabilità. Ogni Stato è come una nave, e ogni capo di Stato è come il suo comandante. Non c’è nulla di dittatoriale in questo, tanto più se il capo in questione è stato legalmente eletto. Al comandante della nave spetta la responsabilità di proteggere la sicurezza dei passeggeri e dell’equipaggio, nonché della nave stessa. Poniamo che si avvicini una imbarcazione sospetta: egli ha il diritto di non lasciarla avvicinare, di non far salire a bordo nessuno; anzi, ne ha il preciso dovere, qualora vi siano ragioni per pensare che esiste un pericolo (fra parentesi, questa è esattamente la situazione in cui si venne a trovare la petroliera italiana Enrica Lexie, e bene fecero i due marò a reagire con le armi; quanto all’India, ha poco da indignarsi: se sorvegliasse i suoi mari e scoraggiasse i suoi pescatori dal praticare la pirateria, non sarebbe accaduto niente). Qualcuno ci deve spiegare che cosa vi sia d’ingiusto, d’intollerabile, di offensivo per la dignità e la libertà, nel rifiutare l’ingresso nel proprio Paese a masse d’individui, fra i quali si celano sicuramente soggetti pericolosi. I servizi segreti europei hanno ammesso, da tempo, quel che si era sempre saputo: che i terroristi islamici vengono in Europa mescolandosi alla massa dei cosiddetti profughi. Basterebbe già questa ragione per porre un freno deciso all’ingresso di queste masse; senza contare che ve ne sono altre, dalla sicurezza sanitaria al legittimo desiderio di preservare i caratteri essenziali della propria società, a cominciare dalla sua composizione etnica. Non è scritto da nessuna parte che, in nome dell’accoglienza, uno Stato o un intero continente devono accettare di veder sparire i propri abitanti sotto una strabocchevole massa di stranieri.
Non è scritto nemmeno nel Vangelo. Noi non sappiamo dove il papa abbia trovato un simile concetto; certo è che, quando ordina e pretende l’accoglienza indiscriminata, sta forzando il Vangelo e sta manipolando il cattolicesimo. Cristo esorta ciascuno a farsi prossimo per il fratello bisognoso, ma non afferma che ciascuno ha il dovere di spalancare le porte di casa propria a chiunque. I modi della carità spettano alla coscienza individuale. E non c’è niente di poco cristiano nel preoccuparsi prima della sicurezza della propria famiglia, della propria società, del proprio popolo, e poi di tutto il resto.
Sì: l’elezione di Trump ha sparigliato tutte le carte: ora i nodi vengono al pettine. Appaiono evidenti la nullità e la pavidità dei politici europei, infuriati davanti a un capo di Stato che non fa come loro, che non espone il suo popolo al pericolo, al caos e alla prossima estinzione, ma rivendica con fierezza il diritto a difendersi e a vivere secondo i propri valori. Il valore fondamentale della civiltà cristiana è l’amore, non il buonismo, che ne è la diabolica contraffazione. Gesù dice (Mt 10, 16-17): Siate prudenti come serpenti e semplici come colombe. Guardatevi dagli uomini. E se lo dice Lui…
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