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Boldrini, Galantino e & C. pretendono che mangiamo questa minestra, e diciamo che è ottima

A Vicenza, una signora di 72 anni, pensionata, è stata condannata dal tribunale, dopo tre anni di iter processuale, al pagamento di una multa di 20.000 euro, ai quali se ne aggiungono altri 8.000 che ha già versato a titolo di risarcimento al querelante, per aver insultato un ragazzino in un supermercato, il figlio di un italiano e una africana, con delle frasi di tipo razzista. La stampa locale ne ha parlato con enfasi, felicitandosi per la giusta severità della sentenza ed esprimendo l’auspicio che ciò serva da monito a tutti quelli che nutrono sentimenti razzisti nei confronti degli immigrati. Si tratta, peraltro, della stessa stampa locale che, nel riferire gli episodi, pressoché quotidiani, di illegalità, prepotenza e violenza commessi dagli immigrati, dentro e fuori i centri di accoglienza (dentro, anzi, non ne parla proprio: eppure sappiamo come vengono trattati i migranti di religione cristiana, dai loro compagni musulmani), cerca, per quanto possibile, di tacere perfino la nazionalità dei delinquenti, se sono africani, magrebini o asiatici; oppure ricorre all’ipocrisia di dire che tali persone sono residenti nel comune X o Y, ma senza specificare che non sono italiani, anzi, lasciandolo credere. Se, però, si tratta di italiani che hanno commesso dei reati, magari provenienti da un’altra regione, l’informazione viene data, eccome, proprio da quei giornali e da quelle reti televisive: una cinquantenne meridionale è stata tenuta prigioniera in casa sua dal giovane amico di Noventa di Piave: bisogna bene che tutti sappiano che razza di gente viene dal Nordest, razzista e violenta, e che cosa è capace di fare. Qualora, invece, un africano trova per strada un portafoglio, e lo porta dai Carabinieri, tutta la stampa, questa volta nazionale, ne parla a più non posso: il messaggio è chiaro, gli stranieri sono brava gente, i cattivi, se ci sono, sono i nostri connazionali. Lo ha detto anche il papa. Che significa che i terroristi islamici ammazzano qualche migliaio di cristiani e ne mettono in fuga qualche altro milione? Che significa se fanno stragi nelle nostre città e se entrano nelle chiese a sgozzare i sacerdoti, nel bel mezzo della Messa? Anche i cattolici sono tanto, tanto cattivi: al punto che — lo sanno tutti – uccidono le loro mogli e le loro suocere… Un ragionamento che non fa una grinza, come si vede, né sul piano logico, né su quello storico e fattuale, e che alimenta il clima di autentico lavaggio del cervello cui il popolo italiano è da tempo sottoposto: quel che conta non è la realtà, ma come essa viene raccontata. Ed ecco che tutti i mass media la raccontano in maniera favorevole all’immigrazionismo, all’omosessualismo, al femminismo, all’abortismo, al sionismo, ripetendo gli stessi stereotipi, mille, diecimila, centomila volte, fino a quando il lavaggio del cervello non sia stato pienamente realizzato, e l’operazione d’indottrinamento non sia stata portata a termine. Repetita iuvant.

Tornando alla signora vicentina, noi non sappiamo dove troverà i circa 30.000 euro che quella denuncia per razzismo le è costata; le pignoreranno la casa, forse: di regola, una pensionata ultrasettantenne non ha decine di migliaia di euro da spendere; ma quello, evidentemente, è un problema suo. Poteva riflettere prima di aprir bocca. In verità, non sappiamo esattamente cosa sia successo: grazie alla stampa asservita che ci ritroviamo, sappiamo solo che, giunta alla cassa di un supermercato, si è messa ad inveire contro il bambino, il quale è rimasto così traumatizzato che suo padre, più tardi, l’ha rintracciata e poi denunciata. Non lo sappiamo esattamente, perché quei giornali pretendono che noi crediamo che una anziana pensionata, a freddo, senza provocazione alcuna, così, tanto per dare aria alla bocca, si sia messa a sbraitare contro un bambino di 10 anni, semplicemente perché di colore. Se è andata davvero così, allora vuol dire che quella signora, più che di una condanna penale, ha bisogno di una cura psichiatrica contro la depressione o qualche altro disturbo comportamentale. Ad ogni modo, tutta l’Italia progressista e antirazzista, cioè immigrazionista, ha motivo di rallegrarsi, perché giustizia è stata fatta. La signora Boldrini, la signora Kienge, monsignor Nunzio Galantino, hanno avuto la soddisfazione di vedere quanto sappia essere severa, ma giusta, la legge italiana, contro chi non la pensa come loro. C’è però una cosa che non sanno, e cioè come si vive nelle città italiane, nei paesi e nei quartieri italiani, letteralmente invasi da un numero inarrestabile di sedicenti profughi. Non lo sanno, anche perché la loro vita è fatta di altre cose, e poi perché, materialmente, si svolge altrove, in ambienti assai diversi. Non sanno che ormai non c’è quartiere, né bottega, né appartamento, che non siano stati rapinati, o che non vivano nell’incubo di una rapina; ci sono tabaccherie, bar ed esercizi commerciali che, di rapine, ne hanno subite sei o sette. E i responsabili sono in gran parte immigrati stranieri. Come immigrati stranieri sono gran parte degli spacciatori di droga, che vendono la loro merce alla luce del sole, per le strade o ai giardinetti pubblici; che sugli autobus, sulle corriere o sui treni non pagano il biglietto, e prendono a botte o a coltellate l’autista o il controllore che abbiano l’ardire di domandarglielo, o d’invitarli a scendere; che rubano biciclette, motorini, perfino vasi di fiori in cimitero, o pezzi di metallo dalle linee ferroviarie, qualsiasi cosa rimanga per un momento incustodita, come le borse e gli asciugamani sulla spiaggia; che costringono le famiglie a chiudesi in casa la sera, a fare la spesa con paura, ad andare all’ufficio postale guardandosi alle spalle, perché ovunque seguiti e insidiati da aspiranti rapinatori. E le malattie che erano scomparse da tempo, e ora stanno ritornando – la meningite, la scabbia, i pidocchi – da dove vengono? Come sono arrivate? E gli arruolatori dell’ISIS, i ragazzi come il tunisino che ha compiuto la strage di Berlino, da dove venivano, da dove vengono? E le classi scolastiche tenute in ostaggio da qualche ragazzino bullo, violento, che terrorizza i suoi compagni e perfino i professori, li minaccia di morte, viene a scuola col coltello: il più delle volte, da dove provengono questi soggetti socialmente pericolosi? Ed è giusto che venticinque ragazzi siano privati del diritto allo studio, in nome del buonismo e dell’accoglienza verso un piccolo delinquente?

Ora, si vorrebbe far passare l’idea che parlare di queste cose, porre queste domande, sia razzismo. Per non essere razzisti, per non favorire il razzismo, bisognerebbe auto-censurarsi, tacere. In compenso, però, ci si chiede di indignarci, di scandalizzarci ogni qual volta un cittadino esasperato, o un gruppi di cittadini esasperati, la cui vita è diventata insicura, triste, ansiosa, a causa della invadenza e del pessimo comportamento di persone straniere, esplode e si ribella; allora è giusto e doveroso sbattere il mostro in prima pagina, additare l’incivile al massimo disprezzo: aggiungere alla condanna penale anche la condanna morale dell’opinione pubblica. Non stiamo affatto dicendo che quella pensionata di Vicenza, se davvero ha detto quelle cose, e se le ha dette a freddo, non provocata, ha fatto bene: niente affatto. Però, come non vedere quanto sa essere severa la legge, in un caso del genere, contro una indifesa signora ultrasettantenne, e quanto invece è debole quando i delinquenti sono africani immigrati? A Padova, uno spacciatore nigeriano che si oppose all’arresto e prese a coltellate due Carabinieri, ferendoli, venne poi subito scarcerato dal solito giudice buonista e comprensivo, che non lo ritenne socialmente pericoloso. Allora domandiamo: se è pericolosa una pensionata di 72 anni che pronuncia frasi razziste, non lo è un pezzo d’uomo armato di coltello, che spaccia droga tutto il giorno e che non esita nemmeno a tentar di accoltellare due tutori dell’ordine? Come vivranno i suoi vicini di casa, italiani che pagano le tasse e che rispettano la legge, che osservano il regolamento di condominio? Come vivranno dei pensionati i quali, dopo una vita di lavoro, speravano di trascorrere i loro ultimi anni in santa pace, e si trovano a convivere nella stessa casa, nello steso quartiere di gente simile, arrivata non si sa da dove e accolta per non si sa quale spirito umanitario e solidaristico? Basta scendere in strada, andare alla stazione dei treni, anche in una grande città, come Milano, per vedere che i cittadini onesti, gli italiani onesti, vivono sotto assedio, nell’insicurezza e nella paura, fra prostitute, spacciatori, rapinatori, soggetti violenti. Sono circondati, tenuti d’occhio, da chi è pronto ad approfittarsi della minima distrazione. 

Ma queste cose non le sanno le Boldrini o i Galantino; o, se le sanno, preferiscono non saperle: smentirebbero i loro pregiudizi buonisti e umanitari, il loro razzismo all’incontrario. La razza da difendere, ormai — anche se costoro sono convinti del contrario – è l’italiana; e si tratta di difenderla in casa sua. Essa non pretende d’imporsi a casa d’altri; vorrebbe soltanto vivere in pace in casa propria. Oppure non si può dire che l’Italia è la casa degli Italiani? Forse anche questa è una forma di razzismo, di xenofobia, di chiusura, o, come dice papa Francesco, un "alzare muri" invece di gettare ponti? Già, forse, tra poco, non si potrà dire. L’Italia è l’unico Paese al mondo che usa le sue Forze Armate per favorire la propria auto-invasione. E se l’ingresso clandestino in Italia non è un reato, ma qualcosa che molti, troppi, incoraggiano e benedicono — a cominciare dalla Conferenza Episcopale Italiana e dal pontefice – allora perché mai la marea dei migranti/invasori dovrebbe diminuire? Se le nostre navi "da guerra" li vanno a prendere, invece di difendere i confini marittimi e la sovranità dello Stato italiano? Al contrario, tutto lascia pensare che continuerà a crescere sempre di più. Che faranno i prefetti, allora, per contro del governo? Useranno le forze dell’ordine per reprimere le proteste dei cittadini italiani? Sequestreranno, dopo gli alberghi, pure le abitazioni private dei cittadini italiani, sulle quali essi pagano fior di tasse, per ospitare i clandestini? Se non si chiude il rubinetto; se non si scoraggiano gli arrivi; se non si bloccano le partenze, pattugliando le coste della Libia non per favorire, ma per chiudere le rotte dei barconi clandestini, il fenomeno non finirà mai: e presto o tardi, un brutto giorno, scoppierà una guerra civile. Anche i popoli più miti e pazienti, quando sono messi con le spalle al muro, lottano per sopravvivere: nessuno si lascia sommergere senza reagire. E quel che è in atto va perfino oltre il classico concetto di "invasione": qui si tratta di qualcosa di ancora più radicale e irreversibile: di una vera e propria sostituzione di popolazione. Complice il divario enorme fra il tasso d’incremento demografico degli italiani e degli stranieri, nel giro di poche generazioni il popolo italiano non esisterà più, e, al suo posto, vi sarà una razza mista, principalmente di origine africana e magrebina, e, ovviamente, di religione islamica.

Comunque, il problema non sono soltanto gli sbarchi dei clandestini, posto che si voglia e si sappia porvi un argine, il che, se l’Italia fosse un Paese normale, e se la sua classe dirigente non fosse messa lì per ostacolare l’interesse nazionale, essendo al servizio d’interessi stranieri, sarebbe un’impresa tutt’altro che difficile; il vero problema è, da un lato, il crollo demografico delle famiglie italiane — per nulla sostenute dalle politiche dei vari governi, sia di centro-destra che di centro-sinistra — e, dall’altro, la presenza massiccia di immigrati regolari che già si sono stabiliti nel nostro Paese, nel corso degli ultimi venti o trenta anni, profittando dell’ingenuità e della buona fede del popolo italiano. Al quale era stato detto che bisognava essere accoglienti ed ospitali,che bisognava essere generosi con chi si trovava in condizioni di necessità; e, inoltre, che le società plurietniche e multiculturali sono la cosa più bella del mondo, oltre che la più semplice da realizzare. Qui non si tratta di essere razzisti, ma di decidere il futuro dell’Italia e del popolo italiano. L’ospitalità verso gli immigrati non può configgere con il bene supremo della nazione; e non si può trasformare un popolo, come quello italiano, in un agglomerato di cento etnie diverse, senza aver nemmeno chiesto agli interessati quel che ne pensano. In molte zone d’Italia la presenza della popolazione straniera è già del 15% e oltre. Ci si dirà che molti di questi stranieri sono, ormai, cittadini italiani, o si apprestano a diventarlo; e le leggi sulla cittadinanza auspicate dalla sinistra e dalla Chiesa di monsignor Galantino, vanno nella stessa direzione. Ma non basta esser nati in Italia o esservi giunti da qualche anno, per creare una vera cittadinanza. La quale non è un pezzo di carta, non è una condizione formale, ma qualcosa di assai più profondo; e non è neppure solo un fatti di colore della pelle. Se uno stranero si innamora dell’Italia, della sua cultura, della sua civiltà; se fa suoi i valori sui quali è fondata; se apprezza, stima ed ammira ciò che essa rappresenta, nel mondo, in fatto di cultura, pensiero, bellezza, allora costui è degno della cittadinanza. Ma se è venuto qui con la mentalità del cuculo, per gettare fuori dal nido i figli degli italiani — metaforicamente parlando — e mettervi, al loro posto, i suoi; se non ha né amore, né rispetto per la società che lo ospita, gli offre un lavoro, una casa, un futuro: ebbene, allora costui è indegno della cittadinanza, e dovrebbe tornarsene al suo Paese, o essere indotto a farlo. Ma i politici italiani non pensano a questo, bensì a rendere sempre più facili gli aborti e i divorzi, sempre più normali le coppie di fatto, sempre più frequenti quelle omosessuali, con relativa adozione di bambini, di solito stranieri anch’essi; e, intanto, a concedere la cittadinanza il più presto possibile, magari per il diritto di ius soli, cioè per il semplice fatto di esser nati in Italia. Come si può sopportare ancora simili politiche?

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Christian Lue su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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