
Un caso di coscienza
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24 Gennaio 2017Il sacerdote, ai nostri giorni, sembra avviato a diventare una figura sempre più ambigua, sempre più contraddittoria. Fino a qualche decennio fa, aveva alle spalle una Chiesa ancora relativamente forte, era soldato di un esercito relativamente numeroso, bene addestrato ed equipaggiato, e si sentiva sostenuto e spalleggiato da una buona parte della società. Un ragazzo o una ragazza che sentivano la vocazione religiosa, non solo raramente venivano ostacolati dalle loro famiglie, o disapprovati dagli amici, ma, al contrario, erano incoraggiati e ammirati per la loro scelta. In seminario, il giovane aspirante sacerdote riceveva una buona formazione culturale e spirituale, e si vedeva attorniato da autorevoli figure d’insegnanti; aveva un direttore spirituale cui rivolgersi e con il quale chiarire dubbi di fede o di tipo vocazionale. Allo stesso modo, una giovane aspirante alla vita religiosa trovava, fra le mura del convento, un ambiente adatto a chiarire sempre meglio la propria vocazione, e aveva nelle altre suore degli esempi e dei modelli cui ispirarsi e nei quali trovare forza e serenità. In parrocchia, poi, il sacerdote non si sentiva mai solo, ma circondato dai suoi parrocchiani, per i quali era una guida, un punto di riferimento, una voce apprezzata e rispettata, anche al di fuori dello stretto ambito del suo ministero. Per molte parrocchie, specialmente nei piccoli paesi, quella del parroco era la sola voce autorevole, o una delle pochissime, insieme a quella del maestro, qualche volta del sindaco, e sovente del medico condotto.
In tali condizioni, il sacerdote, e così pure il religioso, presso i quali andavano a confessarsi le anime, oltre che ad ascoltare la santa Messa, potevano anche permettersi di andare decisamente controcorrente, rispetto ai modelli sociali e culturali proposti dalla civiltà dei consumi. Vi erano paesi nei quali l’autorevolezza del parroco era così forte, da contendere a lungo fra la parrocchia e le prime discoteche, le serate dei giovani di entrambi i sessi. Cerano poi i cinema parrocchiali, presso i quali bambini e ragazzi potevano vedere film divertenti, cartoni animati o film di avventura, con Maciste o Tarzan nel ruolo dei protagonisti; mentre nei cinema "profani" cominciavano a dilagare il sesso e la violenza, aprendo una breccia nella diga che non si è mai più richiusa, anzi, si è allargata sempre più, fino a scaricare sugli spettatori quantità impressionanti di pornografia e sadismo. E non c’erano i computer, non c’erano gli smartphone, né i giochi elettronici: anche per questo la voce del prete (come quella del maestro o della maestra) godeva di un prestigio notevolissimo. Così, dal pulpito, o dall’aula del catechismo, il prete insegnava ai giovani a non seguire pedissequamente le mode del consumismo, a non sopravvalutare l’importanza delle cose materiali, ad essere semplici e sobri; insegnava alle ragazze, o lo insegnavano le signorine catechiste, il dovere della modestia, del pudore, e la bellezza della castità; spiegavano loro quanto sia bello, per una donna, offrire tutta se stessa, fresca e intatta, al futuro sposo, e crescere con lui una famiglia sana, onesta e laboriosa, animata dal timor di Dio.
Ma oggi, quale prete o quale catechista potrebbe parlare così, senza suscitare un coro di risatine, di sorrisetti, di battute ironiche? Le vocazioni religiose sono in caduta libera, e così tutto l’insieme della vita cristiana; le coppie che si sposano sono ormai una sparuta minoranza, gran parte dei giovani vanno a convivere e, semmai, si sposano in un secondo momento; molto numerose sono anche le nuove famiglie, formate da uomini e donne separati o divorziati, che mettono al mondo altri figli e che, più o meno pacificamente, più o meno a colpi di citazioni davanti all’avvocato, si dividono i figli di primo letto e le spese per il loro mantenimento; né mancano le "famiglie" formate da omosessuali, anche con bambini, avuti con la fecondazione eterologa, o con la pratica dell’utero in affitto, o "semplicemente" adottati. Frattanto, il richiamo del consumismo si è fatto imperioso, capillare, implacabile; quasi tutti vi soggiacciono: eludere una moda, rinunciare a qualche gingillo tecnologico, a qualche capo firmato, è diventato quasi impensabile.
In questo contesto secolarizzato, laicista e irreligioso, vivere la vocazione cristiana è diventato difficile, molto difficile. Non deve stupire che le suore, i religiosi e i sacerdoti dei nostri giorni vivano delle tensioni interiori che ai loro predecessori sono state, il più delle volte, risparmiate. Stretti fra una società che non accetta più i valori e i modelli del Vangelo, e una Chiesa che pare in balia, essa stessa, di una deriva modernista, nonché largamente infiltrata da elementi massonici che cospirano per incrinare la sua ortodossia e la sua compattezza, essi devono lottare ogni giorno contro l’indifferenza, l’ostilità, lo scetticismo, il disprezzo del mondo, e, sempre più spesso, contro un nemico più sottile e ancor più pernicioso: la lenta, quasi impercettibile introiezione di idee e comportamenti che non sono più cattolici, anche se possono sembrarlo, ma che, in realtà, sorgono da una volontà di adulterare, falsare, inquinare, la vera e sana dottrina cattolica, per sostituirla gradualmente, come dice il Terzo Segreto di Fatima, con una Chiesa senza Cristo, con una religione senza lo Spirito Santo, con un perdono senza pentimento e con un aldilà senza inferno, fatto solo di paradiso per tutti, buoni e cattivi. E Pio XII ebbe a dire: Verrà un giorno in cui il mondo civilizzato negherà il proprio Dio, quando a Chiesa dubiterà come dubitò Pietro. Sarà allora tentata di credere che l’uomo è diventato Dio… Nelle nostre chiese, i cristiani cercheranno invano la lampada rossa dive Dio li aspetta. Come Maria Maddalena, in lacrime dinanzi alla tomba vuota, si chiederanno invano: "Dove Lo hanno portato?".
Ebbene: non stupisce troppo se, in questa situazione complessiva, un numero crescente di ministri di Dio abbia peso la fede, o che la stia perdendo. La loro fede è sottoposta a una prova tremenda, a un logorio continuo, quotidiano; una prova e un logorio che provengono sia dall’esterno che dall’interno della Chiesa stessa. Un numero non piccolo di cardinali, arcivescovi e vescovi sono attivi nel diffondere idee erronee e contrarie al Vangelo e al Magistero, ma, in compenso, molto popolari nella società moderna; idee che procurano loro l’approvazione e l’applauso di molti, ma che contribuiscono alla confusione morale, allo sbandamento, al senso di abbandono in cui vivono, sempre più spesso, moltissimi fedeli. Vi è un numero enorme di fedeli che si sentono orfani, abbandonati, perfino traditi. Odono questi falsi pastori dire cose incompatibili con la dottrina che è stata sempre insegnata dalla Chiesa, e restano sconcertati, feriti, amareggiati. Parliamo di uomini e donne non più giovani, che hanno conosciuto la Chiesa di prima del Concilio e che hanno ricevuto la loro formazione religiosa sul Catechismo di san Pio X, e hanno conosciuto la profondità, la spiritualità e la bellezza della Messa tridentina. I giovani, che non sanno queste cose, che non hanno ricevuto queste basi, non si accorgono, più di tanto, di quel che sta accadendo; alcuni, i più intelligenti, intuiscono che qualcosa non va come dovrebbe, ma stentano a individuare le cause di ciò, e dubitano perfino di essersi ingannati, di essersi lasciati suggestionare da impressioni soggettive. In questo cima di confusione, di relativismo, di apostasia strisciante, ma generalizzata, è sempre più forte la tentazione, per i cristiani, e anche per i sacerdoti e i religiosi, di ritagliarsi ciascuno una Chiesa secondo i propri gusti, di crearsi un proprio Vangelo personale, con un Gesù che dice e fa soltanto quelle cose che riescono gradite, e, soprattutto, che non è veramente Dio, ma un uomo, un saggio e generoso uomo, fin che si vuole, ma comunque non un Dio che redime, perché non c’è niente da redimere. Gli uomini vanno benissimo così come sono, e non c’è alcun bisogno che qualcuno pretenda di cambiarli, oppure che additi loro dei paradisi inesistenti e dei modelli di vita utopistici e inattuali, distogliendoli dalle cose di quaggiù e dalla ricerca dei piaceri e delle occasioni favorevoli.
Sempre più spesso, allora, accade che dei religiosi o dei sacerdoti perdano la fede, ma senza rendersene pienamente conto; per ogni "pezzo" della loro vera fede che se ne va, subentra un altro "pezzo", fornito loro dalle idee oggi tanto di moda, dal neomodernismo cattolico, dal progressismo, da un insieme di pseudo valori, di tendenze gnostiche o panteiste, di suggestioni intellettuali delle matrici più diverse, oltre che di pure e semplici tentazioni, indotte dalla lussuria, dalla superbia, dalla cupidigia continuamente esaltate e reclamizzate dai mass media, dalla pubblicità, dagli stili di vita consumisti ed edonisti, dalla spericolate e semi eretiche teorie di certi teologi che vanno per la maggiore, e che, tutti pervasi da umana vanità, desiderano solo stupire, sorprendere, meravigliare il grosso pubblico, incuranti dello scandalo che danno e del pericolo per la salute delle anime.
Quando un sacerdote pere la fede, ma ne conserva le apparenze; quando la perde, ma non se ne rende conto sino in fondo, o non lo vuole ammettere, neanche con se stesso, per orgoglio, per vanità, per incoscienza; quando la perde, ma crede di averla ritrovata, magari su un piano più "alto", più "adulto", più "maturo", come appunto insegnano, e da tempo, certi cattivi teologi, sia cattolici che protestanti, succede una cosa tremenda: quel prete rimane al suo posto, nella sua parrocchia, a contatto con i suoi parrocchiani: ma non parla, non agisce, non si comporta più da prete, bensì da eretico e da apostata, che seminano una semente velenosa. Ed eccolo parlare dal pulpito, insegnare durante il catechismo, in maniera non conforme alla dottrina cattolica; eccolo sgridare le donne per certe pratiche devozionali, mortificarle, sgridarle, intimando loro di non portare più fiori all’altare della Madonna, perché "fanno sporco"; di prendere l’Ostia consacrata con le mani, perché lui, in bocca, non gliela vuol più dare; eccolo insegnare che tutta una serie di cose non sono più peccato, perché la Chiesa, in passato, si è sbagliata, e ha insegnato che troppe cose sono peccato; eccolo affermare, con saccenteria, che bisogna smetterla con i pellegrinaggi, con il culto dei santi, con i "bei discorsi" sull’Aldilà, ma piuttosto rimboccarsi le maniche e creare un mondo migliore già qui, adesso, e che esso è nelle nostre mani, come lo è la nostra vita, che dipende da noi soli. Che lo sappiano o no, costoro stanno seminando germi d’incredulità, d’immanentismo, di modernismo: proprio quel modernismo che centodieci anni fa venne solennemente condannato da san Pio X con l’enciclica Pascendi, nella quale venne definito come la sintesi di tutte le eresie.
Per questi pastori senza più la fede, e che non hanno nemmeno la capacità di rendersene conto, e di domandare aiuto a Dio; che forse non sanno letteralmente a chi rivolgersi, abbandonati, pur essi, dai loro superiori, da vescovi modernisti e progressisti in tutt’altre faccende affaccendati, e più che mai desiderosi di piacere al mondo, e di ricevere le lodi e i complimenti dei non cristiani e degli anticristiani, quelli dichiarati e quelli subdoli: per tutti costoro dobbiamo pregare, pregare, pregare, perché lo Spirito Santo, il Consolatore, scenda a confortarli, consigliarli, rianimarli, vivificarli, e impedisca che la loro apostasia imputridisca, e faccia imputridire la fede dei loro parrocchiani; che sparga il contagio dappertutto, dilagando in maniera incontenibile. Hanno bisogno delle preghiere di ciascuno, proprio perché non credono di averne bisogno: accecati dall’orgoglio, indisponibili a riconoscere di essere in crisi, preferiscono ammantare la loro mancanza di fede con parole menzognere, con formule ingannevoli, così come hanno insegnato loro a fare i cattivi teologi e i vescovi incoscienti e irresponsabili. Così, essi si lusingano di essere "più avanti" degli altri sulla via di una fede sempre più moderna, sempre più emancipata; e non si rendono conto che quella non è più la fede cattolica, ma un’altra cosa: una religione tutta umana, costruita interamene dall’uomo, al fine di spodestare Dio e glorificare se stesso. Hanno bisogno delle nostre preghiere per rientrare in se stessi, per guardarsi dentro con onestà e per chiedere il perdono e l’aiuto di Dio, prima che diano altro scandalo, prima che facciano dell’altro male. Sono come delle mine vaganti, la cui folle deriva deve essere arrestata, perché, scoppiando, possono causare rovine irreparabili. Hanno bisogno che si preghi per loro, perché, da se stessi, probabilmente non sanno più farlo. Se sapessero farlo, non parlerebbero come parlano e non agirebbero come agiscono: non seminerebbero la confusione tra i fedeli, né sarebbero di scandalo. Una persona che sia in crisi di fede, ma che non smetta di amare e di cercare Dio, non sarà mai di scandalo; anche perché, qualora si accorgesse che potrebbe esserlo, diventerebbe prudente, riservata, e cercherebbe di risolvere i suoi dubbi senza scaricarli su quanti vedono in lui una guida. Sarebbe come se una guida alpina, sul più bello della arrampicata, dicesse agli altri, ai suoi compagni di cordata, di non avere idea di come procedere oltre, e d’ignorare anche il modo per tornare indietro. Un vero sacerdote non può agire a quel modo: se lo fa, vuol dire che è già traviato. Tuttavia, non c’è miracolo che la preghiera non possa fare: se non la sua, quella degli altri. La preghiera crea una rete virtuosa che abbraccia il mondo intero, che annulla perfino la distanza tra i vivi e i defunti. Tale è la comunione dei santi; e la Chiesa, non lo si dimentichi, non è solo quella visibile, ossia la Chiesa militante, ma anche quella invisibile: quella purgante e quella trionfante, che comprende tutte le anime buone passate nell’altra dimensione. Esse pregano per noi, come noi preghiamo per loro. Molto può fare la preghiera, come insegna Gesù: perfino smuovere le montagne. Perché allora non potrebbe aiutare anche i pastori smarriti a ritrovare il giusto cammino?
Fonte dell'immagine in evidenza: RAI