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Ma è compito della Chiesa cattolica fare il tifo per la democrazia?

In occasione della Giornata Mondiale del Migrante e del Profugo — e pazienza se i veri profughi, nel gran mare dei migranti, sono qualcosa come il 5% del totale; non stiamo lì a sottilizzare, cosa volete che sia il 95% di falsi profughi, e poi è una questione di umanità e di civiltà — il vescovo monsignor Nunzio Galantino, segretario della Conferenza Episcopale Italiana, ha testualmente affermato:

Sì a sbloccare una legge che allarga la cittadinanza ai minori che hanno concluso il primo ciclo scolastico, così da allargare la partecipazione, cuore della democrazia, e favorire i processi d’inclusione e integrazione.

Ora, lasciamo perdere se rientri nei diritti, o nei doveri, di un uomo di Chiesa, anzi, di un pezzo grosso della Chiesa cattolica, quello di entrare a gamba tesa in un iter di legge parlamentare, prendendo posizione con tanta forza e convinzione per l’approvazione di una legge che prevede la concessione della cittadinanza italiana a qualsiasi bambino straniero non appena abbia terminato il primo ciclo scolastico, ossia a 9 o 10 anni di età; ed evitiamo anche di entrare nel merito della questione, cioè se una tale legge, una volta approvata e divenuta operativa, sarebbe equa e giusta, e se sarebbe saggia, in una situazione come quella della società italiana: cioè con un tasso di nascite dell’1% , contro il 3% o 4% degli immigrati recenti. Mettiamo anche fra parentesi, in questa sede, il piccolo dettaglio che codesti immigrati sono, al 90%, di religione islamica, e non hanno la benché minima intenzione di "integrarsi" nel senso auspicato con tanta convinzione da monsignor Galantino, e neppure di essere "inclusi"; e che mai e poi mai, in particolare, sarebbero disposti a prendere anche solo vagamente in considerazione la possibilità che qualcuno di loro, magari alla seconda, terza o quarta generazione, possa, chi sa mai, convertirsi al cattolicesimo e lasciare la propria fede di origine, per il semplice fatto che ciò è del tutto inammissibile nelle loro usanze e nelle loro norme religiose. Lasciamo stare tutto ciò e limitiamoci a porre una domanda di carattere più generale, e, se si preferisce, teorica, se non proprio accademica: è giusto che monsignor Galatino, parlando a nome dei vescovi italiani, affermi che la società italiana deve puntare ad allargare la partecipazione, perché questa è il cuore della democrazia?

Porre la questione in questi termini, infatti, equivale a dare per scontato che la democrazia sia l’unica forma di governo concepibile, e che ad essa, in un modo o nell’altro, tutte le società umane, tutti gli stati e le istituzioni, debbano arrivare (una curiosa coincidenza con la politica estera dei due Bush, padre e figlio, per esportare la democrazia dove non c’è). Se la partecipazione è il cuore della democrazia, il che è tutto da vedere, ciò significa che non avrai altro Dio all’infuori della democrazia. Ebbene, è corretto impostare in questi termini il rapporto fa la Chiesa cattolica, e, più in generale, fra il cristiano, che è anche un cittadino di questo mondo, e la politica? È giusto sottintendere che il cristiano non può che essere un democratico e non può che auspicare un allargamento sempre maggiore della democrazia, adoperandosi anche attivamente in tal senso? Questa è una di quelle cose che la neochiesa post-conciliare ha dato per scontate, ma scontate non lo sono affatto; e non si è presa neppure il disturbo di argomentare, di spiegare ai fedeli, e anche agli altri, ai non cattolici, perché mai le cose dovrebbero stare in tal modo. In effetti, le ha date per scontare per una ragione molto semplice: cioè che, grazie alla tanto decantata "svolta antropologica" di cui fu ispiratore Karl Rahner (e, in misura minore, Jacques Maritain, poi pentitosi amaramente, come risulta dal suo scritto Il contadino della Garonna), la Chiesa, a partire dagli anni ’60, ha introiettato in gran parte lo spirito del mondo, la prospettiva del mondo, la psicologia del mondo: facendo, sulla via della propria secolarizzazione, più di quanto abbiano mai potuto fare, agendo dall’esterno, i suoi nemici dichiarati, da Voltaire fino ai giorni nostri.

Ci spieghiamo. La Chiesa è la prosecuzione dell’opera di Gesù Cristo per l’evangelizzazione del mondo; dunque, di per sé, non ha alcun colore politico, e, soprattutto, non deve averlo. Si ricordino le parole di Cristo, quando i suoi nemici, con perfida malizia, cercarono di coinvolgerlo in una presa di posizione politica riguarda al grande problema nazionale dei Giudei del suo tempo, la presenza romana: Date a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio. Non mescolate i due piani: pagate le tasse a Cesare, ma non confondete la politica con la fede in Dio, non mescolate il nazionalismo con il Vangelo. E non si creda che una tale separazione fosse più "facile" allora, di quanto non lo sia oggi: al contrario; tanto è vero che i Giudei aspettavano un Messia che fosse, nel medesimo tempo, restauratore religioso e guida politico-militare del popolo ebreo, e la posizione di Gesù era quanto di più impopolare, di più difficile da sostenere in quel clima di nazionalismo politico-religioso letteralmente incandescente. È molto probabile che, durante il suo processo davanti a Pilato, quando il procuratore romano propose alla folla di liberare un prigioniero a sua scelta, e la folla chiese la liberazione di Barabba, "un assassino", invece che di Gesù, un profeta disarmato, ciò sia dipeso dal fatto che Barabba era un militante della fazione zelota, ossia una specie di guerrigliero nazionalista anti-romano; la stessa fazione che, pochi anni dopo, avrebbe trascinato Gerusalemme e l’intera Giudea in una grande rivolta contro i Romani, che si sarebbe conclusa in un immenso bagno di sangue, nella distruzione del Tempio e nella fine di ogni residua speranza del giudaismo di restaurare il regno di Davide e Salomone.

Era necessario ricordare queste semplici verità per spiegare meglio cosa intendiamo, dicendo che la Chiesa non dovrebbe parteggiare per alcun sistema politico, economico o sociale, neppure se ciò dovesse apparire ovvio, come oggi, a quel che sembra, ai vari Galantino pare ovvio che la Chiesa e i cattolici debbano schierarsi come un sol uomo attorno alla democrazia. La Chiesa di Cristo è la prefigurazione del Regno di Dio; e il Regno di Dio non è di questo mondo. Inoltre, la parola "regno" dovrebbe far sorgere qualche domandina perfino nei cervelli più arroganti e presuntuosi, come lo sono quelli di tanti cattolici progressisti e modernisti, i quali, di questi ultimi tempi specialmente, si sentono padroni di dire e fare (o disfare) qualsiasi cosa, come se la Chiesa e la fede cattolica fossero cosa loro, e potessero disporne a piacimento. Dunque, ai tempi di Gesù, e poi per più di un millennio, l’instaurazione del Vangelo è stata concepita come l’avvento di un "regno", peraltro con la precisazione, fatta da Gesù stesso, che tale regno "non è di questo mondo". Ma allora, bisogna dedurne che, ai nostri giorni, la Bibbia andrebbe rivista ed emendata, i Vangeli e le Lettere di san Paolo andrebbero modificati, e alla espressione "regno di Dio" bisognerebbe sostituire quella di "Repubblica di Dio"? Non si dovrebbe più parlare di Gesù Cristo come del "re dell’universo", ma di Gesù Cristo come del "presidente della repubblica"? I cristeros messicani, che combatterono e si fecero martirizzare, perfino i ragazzini di quattordici anni, gridando Viva Cristo Rey!, dalle truppe del sanguinario presidente anticristiano e massone Plutarco Elias Calles, sono morti per un malinteso, combattendo dalla parte sbagliata? La regalità di Gesù Cristo è politicamente scorretta? E la solennità liturgica di Cristo Re, istituita da Pio XI l’11 dicembre 1925, è stata un colossale errore, un malaugurato abbaglio?

A queste assurdità, e ad altre ancor peggiori, si arriva se si pretende che i cattolici si mettano a correr dietro alle mode del momento sul terreno politico, come su qualsiasi altro terremo della vita associata. A qualcuno potrà sembrare strano definire la democrazia una "moda del momento"; tuttavia si rifletta che, nell’evoluzione della storia, le ideologie e i sistemi politici cambiano, evolvono, si succedono continuamente, con ritmo più o meno veloce. Fino a una trentina d’anni fa, pareva che il Sol dell’Avvenire dovesse splendere gloriosamente sull’universo mondo, e che l’umanità intera avrebbe potuto godere dei benefici impareggiabili del comunismo. E, infatti, non furono certo pochi i cattolici, come del resto un certo numero di preti, che caddero anch’essi in tale abbaglio e che si sbilanciarono fino ad auspicare, o a promuovere attivamente, improbabili convergenze ed alleanza con il marxismo (nonostante la scomunica di Pio XII): valga per tutti il patetico caso dei cosiddetti Cristiani per il Socialismo. E almeno avessero fatto un minimo d’autocritica, loro e i loro discepoli ed eredi; macché: più arroganti che mai, rivendicano con assurda fierezza di essere, e di essere sempre stati, i più veraci interpreti del massaggio di Gesù Cristo agli uomini. E allora, per logica, se andassimo indietro nel tempo, che cosa ci dovremmo aspettare: che i cattolici del Medioevo si dichiarassero guelfi o ghibellini; che quelli del XVII secolo si dichiarassero per la monarchia assoluta, quelli del XVIII per l’assolutismo illuminato, e quelli del XIX si dividessero equamente fra la monarchia parlamentare di stampo liberale, e la democrazia? Lasciamo perdere quel che avrebbero dovuto fare, in base a questa logica, tutta mondana, nel XX secolo: cioè schierarsi per il fascismo, il nazismo, il comunismo.

La tentazione, lo sappiamo, c’è, ed è forte. A parte le eresie dei secoli passati – la pataria, i seguaci di fra Dolcino -, i cattolici moderni si sono sentiti sempre più catturati nell’orbita della politica, e spinti, anche per difendersi, a pensare la loro religione in termini politici: il che è, comunque, un errore. Un errore resta un errore, anche se commesso con buone intenzioni. La democrazia non è l’ultima e definitiva ideologia dell’universo mondo; altre ne verranno, questo è certo. Inoltre, la democrazia odierna — quella di cui parla Nunzio Galantino — sappiamo bene che cosa è diventata: una specie di totalitarismo plutocratico dei poteri forti, della finanza, della massoneria, degli Stati Uniti e dell’Unione europea, che si esercita sui cittadini senza alcun riguardo per i loro sentimenti e i loro valori; che li consulta sulle cose secondarie, e passa sopra le loro teste nelle cose essenziali; che ha un suo progetto mondialista ed è ben deciso a portarlo avanti e a realizzarlo, a qualunque costo, piaccia o non piaccia ai popoli dell’America e dell’Europa. Nel caso dell’Europa, si tratta di favorire l’invasione islamica e di islamizzare il nostro continente, attraverso una graduale sostituzione di popolazione; nel caso degli Stati Uniti e del Canada, si tratta di realizzare un analogo programma, servendosi dei latino-americani, degli asiatici e dei negri, in modo da ridurre la popolazione bianca a una minoranza destinata a scomparire. Tuonare contro i "muri" ed invocare sempre e solo "ponti", da parte della neochiesa progressista e modernista, equivale a premere sull’acceleratore di questi processi, invitando le popolazioni cristiane, di qua e di là dall’Atlantico, a favorire esse stesse il suicidio della loro civiltà e della loro stessa identità etnica, linguistica, spirituale. Non è chiarissimo perché lo facciano, ma è chiaro che lo fanno.

In passato, membri del clero cattolico hanno ritenuto di farsi coinvolgere in prima persona nelle lotte per l’indipendenza delle colonie spagnole (pilotate dalla massoneria in funzione anticattolica) contro la madrepatria: da qui ha avuto origine il virus della teologia della liberazione, incubato per un secolo e mezzo e poi esploso nella seconda metà del ‘900. In Africa, molti missionari si son lasciati infettare da un virus analogo durante le lotte per l’indipendenza delle colonie portoghesi. In quei casi, si sarebbe dovuto concludere che la Chiesa, dopo aver abbracciato, di fatto, e per secoli, il punto di vista del colonialismo, era passata all’anticolonialismo? Del resto, senza andar tanto lontano, si pensi alla guerra civile italiana del 1943-45, allorché un certo numero di preti decise di schierarsi con i partigiani; altri, coi fascisti. Pessime scelte entrambe, a nostro avviso (anche se ci riesce umanamente più facile capire quella di quei sacerdoti che scelsero di stare con l’autorità legittima e contro il nemico esterno, che, invadendo il suolo della Patria, bombardava spietatamente le nostre città): in una guerra civile, non è certo compito del clero quello di contribuire all’odio e allo spargimento di sangue. Stare dalla parte degli infoibatori o da quella dei fucilatori, fu una ben magra soddisfazione: anche se è chiaro che i preti, come esseri umani, sono soggetti alla pressione psicologica del momento storico in cui vivono. Quando i Vandali assediarono la città romana di Hippo Regius, sant’Agostino incitò i suoi concittadini alla resistenza: e fece bene (anche se poi egli morì, e la città cadde). Ma una cosa è schierarsi e prendere le armi per difendersi da un grave e imminente pericolo; un’altra, e ben diversa, è prendere le armi per passione ideologica, e uccidere i propri fratelli per ragioni politiche, ma adducendo la scusa del Vangelo. Nossignori, Gesù ha ammonito con estrema chiarezza a non mescolare le cose di Dio e quelle di Cesare. Chi imbraccia il mitra in nome del Vangelo, lo fa abusivamente: e questo è stato il senso dell’avventura di don Camilo Torres in Colombia, il prete che per amore dei poveri si unì ai guerriglieri.

Nella sua millenaria saggezza, la Chiesa ha sempre saputo di non doversi identificare con alcun sistema politico: perché le cose di questo mondo passano, mentre il Vangelo rimane, eterno. Ora, però, sempre più spesso capita di sentire qualificati esponenti della Chiesa che si pronunciano ufficialmente in senso contrario a questa tradizione; che hanno deciso si tifare per la democrazia, e si schierarsi con convinzione in suo sostegno. Ciò significa, implicitamente, che la Chiesa è pronta a scendere in guerra contro le ideologie e contro i sistemi politici che non sono democratici: senza peraltro distinguere se portatori di qualche cosa di più, sul piano dell’umanità e dell’etica, o di qualche cosa di meno, della democrazia stessa.

Monsignor Galantino, dunque, è uno dei numerosi esempi di questo distacco dalla tradizione e di questa clamorosa perdita di saggezza. Quale credibilità avrebbe oggi la Chiesa, se, negli anni ’70 e ’80 del Novecento, fosse andata dietro alle chimere filocomuniste di don Giulio Girardi? Che figura avrebbe fatto, schierandosi per quella ideologia, allorché il Muro di Berlino cadde ingloriosamente, e cadde sulla testa dei sostenitori di quella ideologia? Potrebbe oggi far sentire la sua voce nel mondo, senza essere sommersa dai fischi e dalle risate?

Eppure, si comprende anche troppo ben perché Galantino, e molti altri simili a lui, battono con tanta insistenza sul tasto della democrazia: perché stanno veicolando l’idea democratica anche all’interno della Chiesa stessa. Vogliono trasformare la Chiesa cattolica in una repubblica assembleare, in una repubblica dei consigli. Solo così riusciranno a raggiungere l’obiettivo che si sono posti: stravolgere il sacro Magistero in senso modernista (cioè eretico e anticattolico), sovvertire la Rivelazione, abolire la Tradizione, interpretare liberamente le Scritture (come fanno i protestanti: ed ecco le ragioni profonde di tanto ecumenismo!), mondanizzare definitivamente la Chiesa. Ci sono già dei segnali, estremamente allarmanti, di quale sarà la meta finale dei "novatori": l’attacco frontale alla santa Messa, la trasformazione dell’Eucarestia in un semplice rito commemorativo, l’estromissione definitiva di Gesù Cristo, Dio e Figlio di Dio, dalla Chiesa che lui stesso ha fondato con il suo sangue benedetto, per sostituire alla sua scomoda presenza la chiesa degli uomini: una contro-chiesa funzionale ai tenebrosi disegni anticristiani di questi tempi di annebbiamento e di smarrimento, di questi tempi della grande apostasia, preludio, forse, alla venuta dell’Anticristo e alla prova finale cui saranno sottoposti i veri cristiani. Satana ha chiesto di vagliarvi come il grano, disse Gesù a san Pietro: ma io ho pregato per voi

Ora, se Lui stesso prega per noi, di che cosa dovremmo aver paura?

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Christian Lue su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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