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15 Gennaio 2017«Lasciatemi in pace» è la bandiera vittimistica del pastore che rifiuta le sue responsabilità

Certo che l’ha combinata proprio grossa, don Andrea Contin, quarantottenne prete padovano, parroco della chiesa di San Lazzaro; delle sue orge a luci rosse, della sua girandola di amanti-prostitute, della sua canonica trasformata in attrezzatissima palestra-bordello per giochi erotici da sesso estremo, hanno parlato i mass media di tutta Italia. Possiamo solo immaginare come si saranno sentiti i suoi parrocchiani, beninteso quelli che non sapevamo o che non intuivano: perché la stampa ha riportato che delle segnalazioni sugli strani movimenti del parroco erano partite per la Curia della città del Santo, ma il vescovo, don Claudio Cipolla, che si vanta di esse un ex "prete di strada" e che, debitamente progressista e modernista, è stato voluto a capo della diocesi patavina da papa Francesco in persona, non aveva preso alcun provvedimento, almeno che si sappia.
Dopo essersi rifugiato in un casa di soggiorno slovena, don Contin ha trovato il coraggio di rientrare in Italia e attualmente si trova in un convento di Trento, presso dei religiosi specializzati nel recupero dei sacerdoti in cristi di fede; frattanto, però, ha affidato il suo pensiero ad un legale, con il quale si difenderà dalle gravissime accuse che gli sono state mosse da una parrocchiana, e che l’ispezione delle forze dell’ordine presso la sua canonica avrebbe decisamente avvalorato: Sono un uomo distrutto; voglio essere lasciato in pace, desidero rimanere solo. Tutto qui. Voglio essere lasciato in pace: non una parola di scuse, o almeno di rammarico, né per i suoi parrocchiani, né per le persone che ha personalmente avvilito e offeso, né per il suo vescovo, né per la sua Chiesa, che gli aveva affidato il gregge dei fedeli, in nome e per conto di Gesù Cristo.
Capito? Vuole essere lasciato in pace, lui. Evidentemente, ritiene di esserne in diritto. Che brutta abitudine, quella dei magistrati e delle forze dell’ordine, di venire a mettere il naso nelle porcherie private delle persone. La gente! Che s’impicci degli affari suoi: possibile che un parroco non possa avere dei rapporti sessuali con una quindicina delle sue parrocchiane, scelte deliberatamente fra le vedove e le malmaritate, per offrir loro conforto e consolazione? Quanto al sesso estremo, perché scandalizzarsi? Picchiarle, legarle, son cose che si fanno tra gente di mondo, cerchiamo di non essere ipocriti: si fanno, perché alle donne piace. Ed ecco spiegate le fruste, le catene, le cinghie e tutto l’armamentario sadomasochista di cui era piena zeppa la canonica, peggio di un sexy shop di quelli più rampanti. E che male c’è ad "imprestare" queste vedove allegre, queste spose infelici e frustrate, a qualche altro parrocchiano, e, già che ci siamo, a ricevere un po’ di denaro per il disturbo? Quanto ai viaggetti erotici, duemila euro spesi in ventiquattr’ore, per andare a Roma in compagnia di una donna, be’, lo sanno tutti che la vita è cara: lo sanno quei lavoratori che 2.000 euro al mese non arrivano a vederli in busta paga, pur avendo una famiglia da mantenere, e i figli da mandare all’università; non parliamo poi dei pensionati da 500 euro al mese.
Ma l’importante è non giudicare. Chi sono io per giudicare?, ha detto papa Francesco, parlando degli omosessuali. Già, appunto: chi sono i parrocchiani di San Lazzaro, per giudicare il loro porno-parroco? Via, siamo uomini, la carne è debole: bisogna capire. Infatti, il vescovo Cipolla, quello che non aveva fatto niente di niente fino a quando si sono mosse le forze dell’ordine, pur essendo stato informato che qualcosa, in quella parrocchia, non quadrava, si è affrettato a spedire un suo delegato per celebrare la Messa di Natale 2016, e spiegare ai parrocchiani frastornati ed umiliati che "non bisogna aver fretta di giudicare, il parroco ha il diritto di difendersi e di essere ascoltato". Certo, il garantismo innanzitutto. Forse era un tipo un po’ espansivo, un po’ esuberante, quel simpaticone di don Contin: ma fra preti ed ex preti di strada ci si comprende al volo, e alle formalità non si bada.
Certo che quei poveri parrocchiani sono proprio sfortunati. Perché, prima di don Contin, c’era stato, in quella stessa chiesa, un altro parroco alquanto sui generis, che aveva messo a rumore la città, il Veneto e l’Italia: don Rock, lo chiamavano, con simpatia, i giovani, per la sua spigliatezza e il suo travolgente stile pastorale alla beat generation, più Jack Kerouac che il curato di campagna di Georges Bernanos. Don Rock, al secolo don Paolo Spoladore (che si è pure guadagnato una voce biografica su Wikipedia) è stato un po’ di tutto, oltre che parroco: compositore, cantante, scrittore e fondatore di una piccola casa editrice, destinata, guarda caso, alla pubblicazione delle sue opere; nonché guaritore, o sedicente tale. Nei primi anni del 2000 era così famoso per le sue attività presbiteriali-taumaturgico-musicali, che migliaia di persone accorrevano, anche da lontano, per assistere alle sue memorabili esibizioni, alle sue canzoni e alle sue guarigioni; insomma, la santa Messa era diventata il pretesto per un inverosimile spettacolo da baracconi. Tutto questo bel castello è miseramente franato nel 2010, allorché il vescovo di allora, Antonio Mattiazzo, ha annunciato la sua sospensione a divinis e ha dichiarato ufficialmente che tutte le attività dell’ex parroco, tanto musicali, quanto editoriali, non avevano alcun avallo da parte dell’autorità ecclesiastica. Lo scandalo nasceva dalle voci, sempre più insistenti, di una paternità di don Paolo, dichiarata da una sua parrocchiana; voci che si sono trasformate in certezza quando, nel 2011, il Tribunale dei minori di Venezia ha accertato che quella paternità è effettivamente di don Rock, imponendogli il versamento di una quota mensile per il mantenimento del bambino. Nel 2015 la Chiesa ha concluso l’iter di riduzione di Spoladore allo stato laicale, in pratica cacciandolo via per sempre. Queste disavventure giudiziarie ed ecclesiali non hanno peraltro rallentato il ritmo, decisamente intenso, della produzione discografica e letteraria dell’ex prete di san Lazzaro, che ha tentato di ritagliarsi un nuovo spazio come guru spirituale "indipendente", facendosi pagare i suoi corsi a peso d’oro. Il quotidiano Il mattino di Padova parla di corsi super-blindati da cento iscritti alla volta, per un business complessivo che dovrebbe aggirarsi sui 770 mila euro. Niente male per il tuttologo spretato, nell’Italia in piena recessione economica di questi anni.
E adesso, dopo don Spoladore, don Contin, ossessionato dal sesso, anzi, dal sesso violento, e forse, peggio ancora — se possibile – reo di favoreggiamento della prostituzione. Lungi da noi voler anticipare il processo giudiziario con un processo mediatico; ma non è colpa nostra se un prete, cui è stata affidata la responsabilità di una parrocchia, oltretutto in una grande città che vanta una antica e gloriosa tradizione cattolica, è, in una certa misura, un personaggio pubblico; e, soprattutto, se ha una notevole responsabilità morale, accanto a quella civile: perché, se un assessore, o un impiegato delle poste, commettono reati amministrativi, o anche penali, danneggiano, sì, l’istituzione cui appartengono, ma non provocano una lacerazione morale così traumatica come quella di un prete moralmente indegno (e il guaio è che pare si sia trattato anche di lacerazioni fisiche, stando al racconto boccaccesco di quella famosa parrocchiana, ex amante del parroco, da cui tutto è partito; racconto che, ahimè, sembra suffragato dalle testimonianze di numerose altre parrocchiane di questo harem sui generis). Ci preme, piuttosto, fare due osservazioni di carattere generale su questa tristissima vicenda, la quale se, da un lato, si presta alle facili battute in salsa piccante, dall’altro produce un senso infinito di malinconia, specie fra chi abbia un minimo di sensibilità religiosa e di consapevolezza del delicatissimo momento che la Chiesa tutta sta vivendo. Non sono in gioco, infatti, solamente la sua credibilità e la sua serietà verso l’esterno, ma anche, e forse più, la stima che essa ha di sé, nei confronti di se stessa. I danni morali, in questo ambito, sono ancora più gravi di quelli che possono apparire da un punto di osservazione esterno: sono la carne e il sangue stessi della Chiesa ad essere straziati e profanati: vale a dire, per il credente, la carne e il sangue stessi di Gesù Cristo, vero ed unico capo della Chiesa da Lui fondata, e fondata al prezzo del suo sacrificio d’amore supremo sul legno della santa Croce. In altre parole, è come se le porcherie di questi preti indegni rinnovassero la Passione del Signore; con l’aggravante che a mettere in croce il nostro Signore Gesù Cristo furono i suoi nemici aperti e dichiarati, mentre ora, a rinnovare le sue sofferenze, sono i membri della sua stessa Chiesa, coloro che si dicono cristiani.
La prima osservazione è che il clima di disordine teologico e pastorale oggi imperante in Italia, e malamente mascherato dietro i sorrisi e i buonismi del "nuovo corso bergogliano", deve avere, necessariamente, un qualche effetto negativo sul tessuto morale del clero, o di una parte del clero, con le disastrose conseguenze che si possono facilmente immaginare anche nelle coscienze dei fedeli, e specialmente dei più giovani: proprio quelli che più facilmente sono attratti, sedotti e ingannati dallo stile spigliato e disinvolto, "moderno" ed informale, dei vari don Spoladore e don Contin. In altre parole, se sarebbe ingeneroso, e anche meschinamente malevolo, istituire in maniera semplicistica e automatica una relazione fra le due cose, pure, sarebbe ingenuo, o peggio, ipocrita, negare in via di principio che una qualche relazione vi sia: perché non è possibile seminare vento senza raccogliere tempesta.
I teologi e i vescovi modernisti e progressisti che non parlano mai del male e del peccato, del giudizio e dell’inferno; che non parlano mai della giustizia di Dio, oltre che della sua misericordia, come se questa annullasse e neutralizzasse quella, e come se Dio non avesse altro scopo che scusare e giustificare qualunque peccato, anche il più turpe, prima ancora che vi sia l’ombra di un pentimento, e perfino di un rimorso, da parte del peccatore: tutti costoro sono moralmente corresponsabili delle degenerazioni pratiche che possono verificarsi tra i fedeli, e nello stesso clero, a causa della sostanziale ambiguità, della parzialità, della mancanza di ortodossia delle tesi da loro sostenute e delle affermazioni da loro reiterate. Se i teologi avessero continuato a fare, invece della tanto decantata "svolta antropologia", conciliare e post-conciliare, quello che, con intelligenza e umiltà, i loro predecessori hanno sempre fatto, e cioè aiutare la fede con il sostegno della ragione, invece di adoperare la ragione per mettere in crisi la fede dei cristiani, forse certe aberrazioni nei comportamenti individuali sarebbero ora meno frequenti, o, se non altro, meno sfacciate. E se certi vescovi della contro-chiesa modernista avessero dedicato meno tempo a compiacere i gusti e gl’indirizzi del "mondo", minimizzando il senso del peccato e la responsabilità morale dell’uomo, banalizzando il problema del male, negando l’esistenza del giudizio e dell’inferno, e dileggiando la credenza nel diavolo, e la pratica dell’esorcismo; se costoro, invece di cavalcare le peggiori temerarietà dottrinali, al limite dell’eresia, e anche oltre, avessero posto maggior cura nella formazione e nella sorveglianza del clero, e maggior pazienza e umiltà nella istruzione cristiana dei fedeli, a cominciare dalle più giovani generazioni, forse non sarebbero poi così frequenti fenomeni come don Rock o come il parroco a luci rosse, di cui tutta Italia parla, e di cui la Chiesa cattolica ha ben motivo di arrossire e vergognarsi.
Se una morale si può ricavare da questa brutta vicenda, è che bisogna smetterla di seminare vento, di incoraggiare e accarezzare le tendenze proprie della secolarizzante, i cui venti soffiano ormai da molto tempo non solo nella società profana, ma anche all’interno della Chiesa cattolica. È da molto tempo, infatti, che il maggior pericolo per la Chiesa non viene dal di fuori di essa, ma dal di dentro: viene da quella cattiva teologia, mondanizzata e relativista, che tende ad annacquare la serietà (e la severità) del Vangelo, con formule vaghe, che sono cattoliche solo in apparenza, ma in realtà sono la negazione della Parola di Cristo, e mirano a scardinare la Chiesa dalle sue stesse basi, seminando ovunque un clima d’ipercritica e di libera interpretazione delle Scritture, nonché di disprezzo e rifiuto nei confronti della sacra Tradizione: che è, non lo si dimentichi mai, l’altra colonna su cui poggia la roccia della Rivelazione. Se codesti teologi, cardinali e vescovi modernisti vogliono interpretare liberamente le Scritture, bene, che lascino la Chiesa cattolica e si facciamo protestanti: che problema c’è? Se il cattolicesimo non va loro più bene, se si sono stancati di esso, se ritengono che Lutero e Calvino avessero ragione, allora che se ne vadano ed entrino a far parte di una delle decine di chiese e di sette protestanti, ce ne sono tantissime, vi è solo l’imbarazzo della scelta. Se, viceversa, vogliono restare nella Chiesa cattolica, allora la smettano di seminare dottrine ambigue e semi-eretiche; la smettano di tentare la buona fede dei credenti; e cessino, una buona volta, di dare scandalo stravolgendo la lettera e lo spirito della Parola di Dio, per introdurre e scusare uno spirito di tolleranza e permissivismo che non è cristiano, non è cattolico, non è evangelico. Quando mai Gesù ha incoraggiato anche solo minimamente il permissivismo e il relativismo? Quanto al relativismo, ha detto che non cadrà neanche uno iota dalla Legge, iota unum; e quanto al permissivismo, ha detto: Se il tuo occhio ti è motivo di scandalo, cavatelo; e se il tuo piede ti è motivo di scandalo, taglialo. Più chiaro di così. Se c’è chi non vuol capire, avrà i suoi secondi fini…
Fonte dell'immagine in evidenza: RAI