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Gli Alpini e la neochiesa modernista: uno dei tanti episodi di autodistruzione dell’identità

Era l’8 settembre 1977 quando Paolo VI, pochi mesi prima della fine, confidava amaramente al filosofo Jean Guitton: Quello che mi preoccupa è che, all’interno del cattolicesimo, sembra predominare talvolta un pensiero che non è cattolico…

Sono passati quasi quarant’anni, e la "sensazione" di Paolo VI è divenuta una realtà talmente palese, talmente lampante, che non si saprebbe da che parte cominciare per descrivere il caos teologico, pastorale, liturgico, che in questi quattro decenni, cinque abbondanti dalla fine del Concilio, sta letteralmente dilagando all’interno della Chiesa e della cultura cattolica. Paolo VI, senza dubbio, aveva presenti i risultati dei due referendum degli anni ’70, quello sul divorzio e quello sull’aborto, e come si erano comportati, in quelle occasioni, milioni di cattolici: ma chi sa cosa direbbe oggi, quando vi sono vescovi che auspicano i matrimoni omosessuali, altri che si dicono pronti a far sparire le tradizioni cattoliche per favorire il "dialogo" con l’islam e le altre religioni, altri ancora che non vogliono saperne di avere un esorcista nelle loro diocesi, perché non credono all’esistenza del diavolo, e, a dir la verità, lasciano intendere, da mille gesti e allusioni, di credere poco anche alla divinità di Cristo, alla vita eterna dopo la morte, al giudizio, all’inferno e al paradiso. Senza contare che non parlano quasi mai della grazia e del peccato, e praticamente mai dei dogmi, a cominciare da quello della Incarnazione del Verbo; ma, in compenso, parlano molto dei temi sociali, dei diritti, della libertà, della giustizia, e inoltre prescrivono una solidarietà e un’accoglienza a senso unico, verso milioni di stranieri non cristiani che si spacciano per profughi in fuga da situazioni disperate, mentre non lo sono affatto.

In compenso, vescovi e sacerdoti di tendenza progressista e modernista, tenaci e pazienti costruttori di una neochiesa, o meglio di una contro-chiesa, gnostico-massonica, che ingannano i fedeli e che trascinano le anime con sé nell’errore e nella perdizione, non perdono occasione per confondere, mortificare, umiliare le pecorelle del gregge loro affidato; non perdono occasione per rimproverarle, per accusarle d’"integralismo", e perfino di "clericalismo"; e questo proprio mentre si sfiatano a magnificare la bontà, la tolleranza, la probità degli "altri": dei giudei, che da "perfidi" sono diventati i "nostro fratelli maggiori"; degli islamici, "che considerano Gesù un grande profeta e venerano la Madonna"; dei buddisti, che hanno un’altissima concezione spirituale dell’uomo. Dei protestanti, poi, essi docono che hanno fatto benissimo a romperla con Roma, perché Roma era marcia, e guai se Lutero e Calvino non fossero insorti, hanno riportato il cristianesimo sul binario giusto: con buona pace di tutto quel che la Chiesa, prima e dopo il Concilio di Trento, ha sempre detto e insegnato, il che è semplicemente inconciliabile con tutto ciò che hanno detto e insegnato Lutero, Calvino e gli altri capi del protestantesimo. Per non parlare del grottesco e brutale Enrico VIII, che si separò da Roma esclusivamente per mettere la mani sui beni della Chiesa e perché aveva la fregola di sposare il suo nuovo amore, Anna Bolena, ripudiando la sua legittima e buona consorte, Caterina d’Aragona. Pace all’anima di san Tommaso Moro, dunque, e di tutti i cattolici che sono stati impiccati, squartati, imprigionati, espropriati, cacciati in esilio da Enrico VIII e dagli altri principi e sovrani protestanti, per non abiurare la loro fede: si vede che si erano sbagliati e che sono morti per niente. Questo, almeno, è ciò che si evince ascoltando le prediche di molti preti cattolici, durante la santa Messa, alcune delle quali abbiamo udito con i nostri orecchi; e, del resto, di che meravigliarsi, visto che il papa Francesco non ha saputo far di meglio, per commemorare i cinquecento anni dalla rivolta di Lutero contro il papa e contro la Chiesa cattolica, che recarsi in Svezia a concelebrare la Messa con i pastori luterani?

Una delle tante perle di questo "nuovo corso" della Chiesa cattolica, o piuttosto di questa neochiesa o contro-chiesa modernista che s’infiltrata in essa e la sta parassitando, spacciandosi per essa, ma, in realtà, portando avanti una strategia che non è affatto cattolica, semmai anticattolica, è stata offerta dalla vicenda degli alpini della diocesi di Vittorio Veneto, i quali, come ogni anno, si accingevano a partecipare alla santa Messa presso la chiesetta del Passo di San Boldo, al confine tra le province di Treviso e Belluno, il 15 agosto del 2015, solenne ricorrenza dell’Assunzione in cielo di Maria. Il prete che doveva officiarla avanzò una richiesta ai rappresentanti dell’Associazione nazionale Alpini: quella di modificare il testo della loro tradizionale "preghiera", che risale, pare, agli anni ’30 del Novecento e che, dopo aver subito alcune piccole modifiche dopo la Seconda guerra mondiale, è sempre stata recitata alla fine della santa Messa, da molti decenni, senza che mai nessuno si sognasse di trovarci qualcosa di poco caritatevole e, meno ancora, di poco conforme al Vangelo. Eccolo qui, affinché il lettore possa farsene un’idea:

Su le nude rocce, sui perenni ghiacciai, su ogni balza delle Alpi ove la Provvidenza ci ha posto a baluardo fedele delle nostre contrade, noi, purificati dal Dovere pericolosamente compiuto, eleviamo l’animo a Te, o Signore, che proteggi le nostre Mamme, le nostre spose, i nostri figli e fratelli lontani, e ci aiuti ad essere degni delle glorie dei nostri avi.

Dio Onnipotente che governi tutti gli elementi, salva noi, armati come siamo di Fede e di Amore.

Salvaci dal gelo implacabile, dai vortici della tormenta, dall’impeto della valanga: fa’ che il nostri piede posi sicuro su le creste vertiginose, su le diritte pareti, oltre i crepacci insidiosi, rendi forti le nostre armi contro chiunque minacci la nostra Patria, la nostra Bandiera, la nostra millenaria civiltà Cristiana.

E tu, Madre di Dio, candida più della neve, tu che hai conosciuto e raccolto ogni sofferenza e sacrificio di tutti gli Alpini caduti, tu che raccogli ogni anelito e ogni speranza di tutti gli Alpini vivi ed in armi, tu benedici e sorridi ai nostri Battaglioni e ai nostri Gruppi. Così sia.

Come si vede, si tratta di un testo terribilmente militarista e guerrafondaio, che trasuda odio da ogni strofa e da ogni verso: un testo odioso, intollerabile, specie di questi tempi della neochiesa modernista e progressista, della contro-chiesa gnostico-massonica, che non vuol sentir neanche nominare la patria, e tanto meno la benedizione della armi, e che della millenaria civiltà cristiana non sa che cosa farsene, dato che il suo obiettivo finale, neanche tanto dissimulato, è l’instaurazione di una religione post-cristiana, relativista, sincretista, dove ci sarà posto per tutti, dai buddisti agli atei, cristiani compresi: soci a pari condizioni, tutti insieme appassionatamente non in nome di Cristo e del Vangelo, cose ormai vecchie e superate, leggende buone per i bambini ingenui di una volta, ma in nome dell’Uomo, dei suoi Diritti, della sua Felicità, e, naturalmente, della Fratellanza, della solidarietà, della Fraternità. Insomma, tutti uniti ad auto-celebrare l’Uomo quale nuovo dio in terra, a qualunque popolo appartenga e da qualunque cultura provenga — meglio se apolide e privo di radici, meglio se apostata dalla propria cultura e odiatore della propria civiltà.

Sta di fatto che quella preghiera, il giorno dell’Assunta, gli Alpini non dovevano recitarla. Il vescovo di Vittorio Veneto, monsignor Corrado Pizziolo, e quello di Treviso, Gianfranco Agostino Gardin, nel mese di luglio avevano dichiarato che, per i cristiani e per tutti gli uomini di buona volontà, quello dell’accoglienza nei confronti dei cosiddetti profughi "è un dovere cristiano": facendo infuriare i leghisti e innescando una polemica che si è subito spostata, impropriamente, sul piano politico, con Matteo Salvini e Luca Zaia nel ruolo d’improbabili campioni della civiltà cristiana, e il Partito democratico in quello, ancora più improbabile, di sostenitori dei vescovi in questione. Tale l’antefatto, che spiega come il clima fosse già piuttosto arroventato quando gli Alpini, nella chiesetta al Passo di San Boldo, riuniti, come ogni anno, per partecipare alla santa Messa, si son visti rifiutare il testo integrale della loro preghiera e proporre, al suo posto, una versione emendata e corretta, nella quale sparisce ogni riferimento allea benedizione delle armi e alla difesa della millenaria civiltà cristiana. Per non urtare gli animi sensibili dei musulmani, evidentemente, oltre che quelli, ancora — se possibile – più sensibili, dei laicisti a oltranza, e più ancora, dei cattolici modernisti e progressisti, per i quali il Vangelo è diventato il nuovo Manifesto post-marxiano e il cristianesimo è diventato una clava da brandire per colpire in testa tutti i nemici di classe, i razzisti, gli omofobi, gli anti-immigrazionisti, i reazionari, gli xenofobi, i populisti e tutti gli spregevoli eredi del vecchio nemico degli ultimi sessant’anni, il "fascismo", vale a dire tutti quelli che non hanno mai condiviso le loro beate speranze nella instaurazione del Mondo Nuovo sotto le bandiere dell’umanitarismo e del buonismo a senso unico.

L’episodio, in sé, non è stato particolarmente eclatante. Il celebrante, un giovane padre servita da poco giunto in diocesi, ha chiesto alcune modifiche al testo; gli alpini si sono rifiutati e, alla fine della Messa, sono usciti a recitare la "loro" preghiera davanti alla chiesa. Imbarazzo, contrarietà, disagio e polemiche. Il vescovo, dopo un breve silenzio, ha cercato di far quadrare il cerchio, sostenendo che nessuno aveva "proibito" la preghiera dell’Alpino, il che è vero, ma minimizzando la pretesa delle modifiche, ossia un fatto altrettanto vero. Alla fine c’è stata una sorta di armistizio fra la diocesi e l’A.N.A., ma in molti hanno notato che i rapporto fra le due istituzioni, un tempo ottimi, si sono un po’ guastati per via di tutta una serie di piccoli incidenti di questo genere. Il motivo di fondo è sempre lo stesso: sta vendo avanti un clero totalmente staccato dalle tradizioni, terzomondista, pacifista, che non arriva nemmeno a concepire i valori presenti nella preghiera dell’Alpino; un clero ispirato al "nuovo corso" bergogliano, allo "spirito" di Assisi (e del Concilio), tutto proteso al dialogo interreligioso e all’ecumenismo, che vuol rimuovere "muri" e gettare "ponti"; che non ha più niente a che fare con il clero presente, qui e altrove, appena una generazione fa, molto legato alla tradizione, molto radicato nel territorio, molto in sintonia col sentire comune della gente: quando ancora non c’erano decine e centinaia di migliaia d’immigrati straieri, specialmente di religione islamica, che stanno letteralmente stravolgendo il quadro culturale, spirituale, religioso di questa regione, come di altre, e che, in prospettiva, lo stravolgeranno anche sul piano etnico, linguistico, umano. In questa parte d’Italia, comunque, gli Alpini sono molto popolari, la gente li sente come dei fratelli maggiori, sempre disponibili a dare una mano in caso di bisogno: ed è un segnale allarmante che la Chiesa, anch’essa molto radicata nelle coscienze, almeno sino a poco tempo fa, stia facendo prevalere le logiche del "dialogo" con gl’immigrati, piuttosto che con i fedeli. Anche l’insistenza sul tema del "dovere cristiano dell’accoglienza" sta creando parecchio disagio fra la popolazione, la quale si domanda se l’unica maniera di aiutare le popolazioni povere del terzo Mondo sia proprio quella di farle venire in massa a casa sua, di dare loro una nuova patria in Europa, invece di sostenerle nei loro rispettivi Paesi, favorendone la crescita economica e sociale. Voler porre la questione in termini di ricatto: o li accogliete tutti, oppure non siete dei buoni cristiani, come del resto fa ogni giorno papa Francesco, è una scelta sbagliata e controproducente, che dà alla gente la sensazione di non essere più capita, né ascoltata, né condotta con saggezza e autorevolezza dalle sue tradizionali guide spirituali.

Questo episodio, in sé modesto, ricorda la successiva uscita del vescovo di Padova, monsignor Claudio Cipolla, che si è detto più che disponibile a "fare passi indietro" riguardo alle tradizioni cattoliche, piuttosto che mettere a repentaglio il dialogo con gli altri, la serenità e la pace. Il messaggio che arriva ai fedeli, fin troppo chiaro, è che, per essere cristiani del terzo millennio, bisogna staccarsi dalle proprie radici, e perfino da quel che la Chiesa ha finora insegnato, ossia che esiste una sola Verità, quella del Vangelo di Gesù, e non molte verità, ciascuna di pari valore, quelle delle diverse religioni esistenti al mondo, e che, pur di andare d’accordo con esse, bisogna sbarazzarsi delle proprie tradizioni. Le tradizioni sono le radici, e le radici fanno l’identità. Se si sopprimono le tradizioni, un po’ qui, un po’ là, nel giro d qualche anno non esisterà più una identità italiana e cristiana, ma ci sarà una tabula rasa su cui gli spietati meccanismi della globalizzazione potranno scrivere qualsiasi cosa e ottenere qualsiasi tipo di ibrido e d’innesto. Forse la Chiesa, che ragiona sempre sul lungo periodo, si prepara a fare quel che fece nella tarda antichità: lasciar andare l’Impero Romano al suo destino, e puntare tutto sulla scommessa di convertire ed integrare i "barbari" invasori. In tal caso, i cristiani saranno i doppiamente perdenti della globalizzazione…

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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