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La Chiesa dovrebbe buttar fuori a pedate questi preti di sinistra che sputano su di lei

Pio XII? Un "imperatore", un "faraone", un narcisista, un uomo afflitto da manie di grandezza, che incoraggiò il culto della sua personalità. Nemmeno una parola sui molti aspetti ammirevoli del suo pontificato, sulla sua dedizione, sulla sua assoluta integrità; soltanto secchiate d’insulti contro gli aspetti di un papa che certi preti di sinistra proprio non possono digerire: il conservatorismo, o quello che essi giudicano tale; la scomunica ai comunisti e ai socialisti (anche se non esplicitamente ricordata: ma si vede lontano un chilometro che quello è il problema…); l’aver ostacolato tendenze e atteggiamenti che sarebbero poi "esplosi" con il Concilio Vaticano II, che, come è noto, è l’unico vero concilio nella storia della Chiesa che interessi ai cattolici progressisti, e che, per essi, si identifica con la Chiesa tout-court

Ci sono preti che non esitano a sparare giudizi temerari su uomini e cose, anche su dei papi, naturalmente su quei papi che non riflettono la loro idea, progressista e modernista, di quel che dovrebbe essere il papato; che non si fanno il benché minimo scrupolo di alterare la verità storica e, quel che è peggio, di turbare la coscienza dei fedeli, tanto sono presi dalla smania del protagonismo, del farsi vedere aperti e dialoganti con il mondo, di raccogliere consensi sbraitando che i laici sono stati troppo a lungo "sottomessi" al clero: insomma, tutti presi dal loro io, dal loro narcisismo, a dispetto del narcisismo che rimproverano agli altri; ma è sempre più facile riprendere il prossimo per la sua pagliuzza, che non se stessi, per la trave che si ha nell’occhio e che impedisce di veder le cose in modo equanime. Preti sempre alla ribalta, sempre alla tribuna, sempre al microfono, a gridare ai quattro venti il vangelo secondo me, non ad insegnare fedelmente e umilmente il Vangelo secondo Gesù Cristo.

Inutile dire che sono gli stessi preti che masticavano fiele durante il pontificato di Giovanni Paolo II, reo di avere condannato la teologia della liberazione; e soprattutto durante quello di Benedetto XVI; che non hanno risparmiato un’occasione per criticare ferocemente la mentalità "ristretta", "conservatrice", "autoritaria" di papa Ratzinger, e che hanno gridato quasi allo scandalo quando, con il motu proprio Summorum pontificum, ha reintrodotto la Messa in latino, o quando ha osato togliere la scomunica ai quattro vescovi lefebvriani (alla faccia della carità). Preti così, che si autodefiniscono di strada (anche se vanno sempre in televisione), di battaglia, al fianco degli ultimi; preti che hanno fatto proprie le categorie del marxismo e della lotta di classe, che odiano i ricchi (Gesù non li odiava affatto, semmai li compativa), che pensano che il "povero" abbia sempre e comunque ragione: anche se il "povero" è un immigrato spesato e mantenuto in albergo dallo Stato, senza far niente di niente, in cambio dell’ospitalità che riceve, mentre i poveri italiani sono quelli che hanno lavorato una vita, ma che non ce la fanno a vivere con seicento euro di pensione, e per i quali lo Stato non fa un bel nulla, anzi, lascia che vengano tagliati loro i fili della luce, e chiuso il contatore del riscaldamento, visto che non riescono a pagare l’affitto e le bollette.

Un esempio di questo nuovo tipo di prete è dato Paolo Farinella, che non si firma "don" (sarebbe troppo clericale, come dice Bergoglio), ma semplicemente "prete", nemmeno sacerdote: ma solo "prete", come nel film con Jean-Paul Belmondo (tratto da un romanzo di Beatrix Beck): Leon Morin, prete: fa più prete del popolo, che sta dalla parte dei poveri, come padre Tuck nella banda di Robin Hood. Costui firma una rubrica fissa sulla rivista missionaria Missioni della Consolata; e, nel numero di dicembre del 2016, dice fra l’altro:

[All’inizio degli anni Cinquanta] al governo vi erano uomini cattolici indiscussi, come Alcide De Gasperi. E Roma ebbe un nuovo "imperatore", Pio XII, che si offrì come unica autorità morale e politica che di fatto condizionò il parlamento italiano, il governo, l’economia e il paese, attraverso il cosiddetto "partito cattolico" della Democrazia Cristiana, erede del più laico e sano "Partito Popolare" di don Luigi Sturzo. Sul piano religioso, Pio XII fu un faraone che, dall’alto della sua sedia gestatoria imperiale, dominava non una Chiesa, ma una cristianità rigorosamente separata in clero e laicato, quest’ultimo sottomesso al primo. Con l’escamotage della formazione delle coscienze, il clero sottomise i laici che erano sempre e solo "chiesa obbediente e ossequiente". Pio XII non fu scevro da una componente psicologica narcisistica, sfociata nel culto della personalità che lo portò a isolarsi e a diventare diffidente tanto da assommare in sé anche le funzioni subalterne, fino al punto di non nominare neppure il Segretario di Stato, ruolo delicato e importante che riservò per sé, limitandosi ad avere due "sostituti" nella persona di Domenico Tardini e Giovanni Battista Montini, il primo segretario di stato di Giovanni XXIII e il secondo futuro Paolo VI.

Durante il corso del Giubileo [del 1950] ci furono tre eventi, attentamente studiati e programmati da Pio XII nel contesto della sua politica [politica? Avrebbe adoperato questa parola, parlando di papa Francesco?].

1. La beatificazione di Maria Goretti (24 giugno)…. […] 2. L’enciclica "Humani Generis" (12 agosto) con cui il papa condannò gli "errori" che, secondo lui, minacciavano le fondamenta della religione cattolica, come lassismo, relativismo teologico, alcune interpretazioni della Scrittura e anche la teoria dell’evoluzionismo. Senza mai nominarli condannò l’insegnamento di giganti della teologia come Chenu, Congar, De Lubac e tanti altri che nemmeno dodici anni dopo sarebbero stati gli artefici del concilio Vaticano II che sancirà il loro insegnamento e le loro ricerche non solo come "cattoliche", ma come essenziali nel cammino di fede dell’intera Chiesa. 3. La proclamazione del dogma dell’Assunzione di Maria al cielo (1 novembre)…

Ma caro don Farinella, se non le dispiace essere chiamato "don", che cosa le dà il diritto di affermare che il Partito di don Sturzo (chissà perché lei scrive "Partito Popolare" fra virgolette) era più sano e più laico della Democrazia Cristiana? Oppure, per lei, "più laico" equivale, automaticamente, a "più sano"? Lei è un cattivo storico, perché mette i suoi giudizi davanti ai fatti, invece di motivare e di spiegare perché fa certe affermazioni; inoltre, come prete, lei dimostra una forte dose di arroganza intellettuale, perché pontifica dall’alto in basso, come se lei fosse moralmente migliore di coloro che cadono sotto i suoi strali, pontefici compresi. E questo, cristianamente parlando, non va bene: è mancanza di carità Si rilegga san Paolo, Prima lettera ai Corinzi, siamo certi che la consce bene: Se parlassi le lingue degli uomini, e anche quelle degli Angeli, ma non avessi la carità, sarei un metallo che rimbomba, uno strumento che suona a vuoto… La carità è paziente e generosa, non è invidiosa, non si gonfia d’orgoglio… La carità tutto scusa, di tutti ha fiducia, tutto sopporta, mai perde la speranza. Non ha mai sentito parlare di correzione fraterna? Di riprendere il fratello che sbaglia, in modo tale da non umiliarlo pubblicamente? E allora perché lei, prete, si permette di riprendere in modo così insolente un pontefice, che, ad ogni modo, secondo il giudizio di gran parte degli storici, è stato un personaggio di gran valore, insomma un uomo al cui confronto lei è una piccola persona? Ah, intendiamo: lei non è sempre così severo nei suoi giudizi; se il papa in questione risulta di suo genio, allora la musica cambia. Certo non si permetterebbe mai di fare una critica così feroce, così spietata, così unilaterale, di papa Francesco; sarà forse perché lui e lei avete un sentire comune? Se, invece, si tratta di un papa "conservatore", alla Ratzinger, o, Dio non voglia, alla Sarto, lei si scalda, le bolle il sangue, le monta alla testa, non può tacere, si agita, deve gridare ai quattro venti la sua sacra indignazione, altrimenti scoppia, le farebbe male alla salute. Be’, questo è un problema suo, non nostro, e tanto meno dei suoi lettori e dei fedeli che, in un prete, si aspettano di trovare un obbediente servitore della Chiesa, non un trinciatore di giudizi, non un giustiziere solitario, e neppure un rivoluzionario che, non avendo barricate dove andare a battersi, cerca di trasformare il Vangelo di Gesù in una specie di Manifesto di marxiana memoria.

Lei e quelli come lei rendono un pessimo servizio alla Chiesa. Forse non ve ne rendete conto, ma state infiggendo delle ferite gravissime a quella Chiesa di Cristo (non vostra) che avete giurato di servire; siete montati in superbia, vi credete infallibili, chiusi e autoreferenziali nel vostro progressismo, nel vostro modernismo; pretendete di aver sempre ragione e di essere in diritto di "spingere" la navicella di san Pietro là dove voi vorreste che andasse: a sinistra. Ma la state tradendo, né più, né meno. Non siete servi buoni e fedeli, come quelli lodati da Gesù nel Vangelo; siete servi infedeli e presuntuosi, che vorreste sostituire la vostra verità, il vostro vangelo, all’unico Vangelo vero e vivo, quello di Nostro Signore Gesù Cristo. Ma la cosa più brutta, più amorale, è che lei si serva della stampa cattolica, che lei si serva del suo abito di prete per dir male della Chiesa e dei papi: di quei papi e di quel Magistero della Chiesa che non collima con le sue idee progressiste e moderniste. Perché non se ne esce, allora, e non fonda la sua chiesa, insieme a tanti altri che la pensano come lei? Perché vuol restare dentro la Chiesa, riservandosi di condannarla o di approvarla a seconda che il suo infallibile e insindacabile giudizio, ammantato di falsa e ipocrita umiltà, le suggerisca, di volta in volta? Infine, se papa Francesco ha detto la frase solenne (e abusata): Chi sono io per giudicare?, ci permetta di domandarle: Chi è lei per giudicare un papa come Pio XII? Quali titoli possiede – intellettuali, spirituali, morali o culturali, o di qualunque altro genere — per esprimersi in maniera così irriverente, così canzonatoria nei confronti di quel papa? Che cosa le fa credere di essere migliore, come uomo di Dio, di quanto lo sia stato lui?

Quanto ai suoi giudizi storci, sono dettati dalla sua ideologia progressista e antistorica, perché pretende di giudicare un papa degli anni Quaranta e Cinquanta del Novecento con la mentalità di oggi; e non tiene conto che, nel Magistero e nella figura del romano pontefice, c’è, c’è sempre stata, e sempre deve esserci, una dimensione perenne, non soggetta agli umori e agli sbalzi dei tempi e delle mode: perché il papa e il sacro Magistero custodiscono una Verità eterna, che non si aggiorna, non si cambia, non modifica a piacere, come si farebbe in una qualsiasi repubblica assembleare. Culto della personalità, in Pio XII? In un uomo così schivo, così riservato, fino alla timidezza? Imperatore, un papa che aborriva da ogni forma di ostentazione? Semmai, queste cose valgono per papa Francesco: il quale, dietro tutti i suoi sorrisi (tiratissimi) e le sue belle parole (si fa per dire), non esita a trattare chi dissente da lui come l’ultimo dei reprobi, a disprezzarlo, a umiliarlo, a commissariarlo, a esonerarlo, a diffamarlo, a insultarlo dal pulpito di santa Marta, un giorno sì e un giorno no… Proprio come fa lei, caro don: ecco, siete fatti della stessa pasta, non solo sul piano teologico e pastorale, ma proprio come tipo di sensibilità e di umanità. E poi, non vede che si contraddice da se stesso? Prima afferma che Pio XII regnò come un "imperatore", anzi, addirittura come un "faraone" (ma lei si ascolta, quando adopera certe parole?; e non sente nulla di sconveniente, in esse?), e poi ammette che si scelse proprio i collaboratori che sarebbero emersi nella stagione a lei tanto cara, quella del Vaticano II: Tardini e Montini. Strano imperatore, dunque: dopotutto, non si sceglieva troppo male i suoi uomini di fiducia, visto che piacciono anche a lei.

Poi se la prende con l’enciclica Humani Generis e la liquida al livello di opinione di Pio XII. No, caro lei: una enciclica è una enciclica: cioè una verità dogmatica del Magistero. Lei non può fare così: non ha il diritto di screditare un documento del Magistero, solo perché non le piace. Lei ritiene che fu un "errore" condannare la teologia dei Chenu, dei Congar, dei De Lubac (anche se ammette che Pio XII non li nominò espressamente), e giudica che essi furono dei "giganti"? Queste sono le sue opinioni; ma la Chiesa, per secoli e secoli, ha ritenuto che il gigante, semmai, fosse san Tommaso d’Aquino; i Congar e i De Lubac, vedremo fra qualche anno chi li ricorderà ancora, e cosa dirà di loro. Quanto al fatto che, neanche dodici anni dopo, il Concilio diede loro ragione, questo è un altro discorso: ci mostri dove sta scritto che la teologia di quei signori è "essenziale", come lei dice, nel cammino di fede di un cristiano, e noi le crederemo. Se no, si tenga per sé le sue opinioni; oppure abbia l’onestà di presentarle come tali. La cosa più grave è che un cattolico, sfogliando una rivista cattolica, trovi simili tirate da parte di sacerdoti che ostentano di parlare in nome della verità. Ma noi conosciamo una sola Verità: Gesù Cristo, Figlio di Dio e Redentore…

Fonte dell'immagine in evidenza: RAI

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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