
Che cosa c’insegnano gli orrori di Saronno?
1 Dicembre 2016
È un inganno parlare sempre della misericordia di Dio e mai della Sua giustizia
2 Dicembre 2016Non crediamo siano in molti a ricordarsi di lui, Ildebrando Antonino Santangelo (1913-1992); anzi, ad averlo mai sentito nominare — almeno al di fuori della parrocchia ove fu zelante sacerdote e vero uomo di Dio, Adrano, in provincia di Catania. Benché scomparso da pochi anni, è come se la polvere dei secoli si fosse posata sul suo nome, sulle sue opere, sul suo ricordo. Ma non è una polvere naturale: non bastano pochi anni per spiegare l’accumularsi di uno strato così denso, così ovattato, da impedire perfino che si riconoscano le linee del volto su cui si è posata. No, non è una polvere posatasi per il naturale trascorrere del tempo: essa è stata voluta, è stata perfino "importata", e gettata a piene mani su di lui, sul suo ricordo, affinché se ne perdesse la memoria il più in fretta possibile. Ma che cosa ha fatto, dunque, di tanto grave, questo parroco solerte, amato dai suoi fedeli, instancabile nel suo zelo apostolico, e, a suo tempo, apprezzato anche dal suo arcivescovo, Luigi Bommarito? Quale macchia ha sporcato il suo onore, la sua credibilità, la sua autorevolezza, fino al punto di rendere impronunciabile il suo nome? Di quali orrendi peccati si sarà mai reso responsabile, magari dietro la facciata di una carità instancabile e di una pietà ammirevole? Nessun peccato, nessuno scandalo, nessuna pagina vergognosa nel suo ministero. In tempi di preti pedofili, di cardinali massoni, di amministratori apostolici disonesti e amici di banchieri malavitosi, la vita di don Santangelo rifulge immacolata, come quella di un autentico uomo di Dio, come dovrebbero essere in tanti, come dovrebbero essere tutti. E neppure vi sono state nelle sue prediche, nelle sue lezioni di catechismo, nelle numerose opere da lui pubblicate, delle deviazioni dottrinali, delle sbavature troppo audaci, delle ombre di sospetta eresia. Niente di tutto ciò, nel modo più assoluto. La sua dottrina è la sana, limpida, perenne dottrina cattolica, di ieri, di domani, di sempre. E allora?
E allora, le ragioni del silenzio voluto, dell’amnesia deliberata, della damnatio memoriae tacitamente espressa dalle alte gerarchie ecclesiastiche, è che egli è stato sommamente, coraggiosamente scorretto in materia "politica". No, non è stato uno dei tanti preti che scambiano il pulpito per il palco dei comizi, e che fanno politica da mattina a sera, confondendo, magari, il Vangelo con Il capitale di Marx, o con il Diario del Che in Bolivia: se si fosse trattato di questo, crediamo che gli sarebbe stato volentieri perdonato, specialmente di questi tempi, sotto questo pontificato. Se fosse stato uno dei tanti seguaci della teologia della liberazione, uno dei tanti preti di sinistra che, non potendo ammettere il fallimento totale, crudele, irreparabile del comunismo, cercano di rifarsi, gonfi di rancore e frustrazione, contaminando il Vangelo con i suoi cascami, e contraffacendo la Parola di Dio con una sorta di Protovangelo dei Gentili, e facendo di Gesù un rivoluzionario ante litteram: se fosse stato uno così, quel "peccato" non solo gli sarebbe stato perdonato, ma, sia pure implicitamente, sarebbe stato iscritto a suo merito. Molti vescovi e pezzi grossi della Chiesa odierna, molti teologi o sedicenti tali, apprezzano alquanto simili trascorsi nella carriera di un sacerdote, e si compiacciono di vedere, in ciò, la supposta conferma della loro ideologia nascosta, ma non per questo meno potente: la perfetta coincidenza fra cristianesimo e marxismo, per cui chi è stato marxista non può non essere una brava persona e, potenzialmente, un bravo, anzi, un ottimo cristiano; mentre chi non lo è stato, nemmeno da giovane, neppure nel Sessantotto, quando erano marxiste anche le pietre, per non parlare degli intellettuali di grido, ecco che scatta la diffidenza, un’antipatia istintiva, un accigliarsi e un irrigidirsi dell’espressione. Dunque, costui è un prete di destra? Dunque è un conservatore, o, Dio non voglia, un fascista? Possibile che esistano ancora simili anacronismi, simili obbrobri, simili offese al cospetto di Dio? Beninteso, simili offese al cospetto del loro dio: un dio che somiglia più a Fidel Castro, per la cui recente dipartita si sono profondamente addolorati, che non al Dio annunciato da Gesù Cristo, e che era Gesù stresso, e che continua ad essere presente e operante in mezzo agli uomini per mezzo dello Spirito Santo. Se poi si va a vedere, nella vasta produzione saggistica , apologetica e spirituale di don Santangelo, si fa presto a capire quali sono i due punti fondamentali che hanno determinato l’ostracismo della gerarchia e della cultura, anche cattolica, politically correct: primo, lo scarso entusiasmo per le novità e per il cosiddetto "spirito" del Concilio Vaticano II; secondo, l’analisi delle forze non solo morali, ma anche finanziarie, economiche e politiche, che stanno dietro l’ampio disegno anticristiano della società moderna: analisi che lo ha portato non solo a concludere circa l’effettiva esistenza di un tale disegno (il che lo colloca, automaticamente, in quella categoria che tutti, ma specialmente gli intellettuali progressisti e i cattolici di sinistra, chiamano, con estremo disprezzo, "sottocultura del complottismo"), ma a riconoscere, in quel disegno, la parte centrale svolta dalle lobby ebraiche internazionali, dai grandi banchieri ebrei-americani e dal governo dello Stato d’Israele: il che è ampiamente sufficiente a guadagnare a chiunque la qualifica di "antisemita", anche se ciò non è affatto vero. Però don Santangelo, questo sì, affermava senza peli sulla lingua che, se si parla sempre dell’ostilità cristiana verso il giudaismo, non si parla mai dell’altrettanto vera e operante ostilità giudaica contro il cristianesimo: e bastava già solo questo concetto — così come basterebbe e avanzerebbe ai nostri giorni — per far sì che qualunque cosa egli volesse dire a sostegno della sua tesi, o anche su altri temi, perdesse qualsiasi attendibilità e venisse percepita come il delirio di un prete d’altri tempi, rimasto fermo a chi sa quali epoche del passato, quando ancora si pregava in chiesa per "la conversione dei perfidi Giudei", o quando ancora si osava ricordare che Gesù, dopotutto, non è morto di raffreddore, ma appeso alla croce, e che a volere quella morte, materialmente eseguita dai romani, furono innanzitutto i suoi correligionari, i membri del Sinedrio di Gerusalemme, i capi dei farisei e delle famiglie sacerdotali.
Per soprammercato, don Santangelo parlava anche molto chiaro circa l’islamismo; mostrava come, nel Corano, vi sia uno spirito apertamente anticristiano; esaltava la figura e l’opera di papa Pio X (non ancora canonizzato), il nemico irriducibile del modernismo (e questo nel clima velatamente neomodernista susseguente al Vaticano II); delineava una vasta congiura mondiale facente capo a Satana in persona (e questo sapeva fin troppo di Medioevo, nel senso deteriore della parola, e lo tagliava fuori automaticamente dalle correnti "avanzate", "illuminate", "progredite", o che si consideravano e si considerano tali, in seno della Chiesa stessa, della cultura cattolica e della teologia più recente. Si farebbe fatica, oggi, a trovare, in una sola persona, un tale concentrato di ciò che viene considerato come "politicamente scorretto": eppure le analisi di don Santangelo mostrano una ponderata (quanto su vuol criticabile) interconnessione, i ragionamenti e le indagini si tengono fra loro, i vari pezzi vanno al loro posto come le tessere di un mosaico, dal gruppo Bilderberg alle speculazioni della grande finanza. Per certi aspetti, il vero problema di questo prete intransigente e ostinato era quello di essere arrivato troppo in anticipo, di aver visto troppo giusto e troppo avanti, di doversi confrontare con quelli che si consideravano progressisti, mentre non erano e non sono altro che un gregge di conformisti, o peggio, di silenziosi cooperatori di quel disegno tenebroso che sacerdoti come lui e pochi altri si sono sforzati di denunciare.
Don Santangelo, del resto, era uno che parlava chiaro e schietto: il suo linguaggio era, come prescrive il Vangelo, sì, sì, e no, no; non le mandava a dire, non addolciva la pillola. È già strano che sia riuscito a pubblicare una serie di libri e di opuscoli, probabilmente a sue spese, attraverso una minuscola casa editrice fondata nella sua Adrano: ma quelli erano gli anni ’90 del secolo scorso, a San Pietro sedeva Giovani Paolo II, e certe cose, sia pure con estrema difficoltà, e con pericolo sicuro per la propria carriera, le si poteva ancora dire, se si aveva abbastanza coraggio per farlo. Ma già lo stesso Wojtyla ebbe a fare l’esperienza personale delle critiche malevole in occasione della sua visita ad Auschwitz, nel 1979 (appena un anno dopo la sua elezione), visita che gli ambienti dell’ebraismo internazionale interpretarono poco meno che come uno "schiaffo" alla memoria della Shoah, anche se nulla era stato più lontano dalle sue intenzioni. Del resto, il papa voleva giungere a una completa normalizzazione dei rapporti col giudaismo, in nome del "dialogo inter-religioso", per cui non ebbe remore a domandare pubblicamente scusa agli Ebrei per quanto avevano sofferto da parte dei cristiani, e a chiamarli, elogiativamente, "nostri fratelli maggiori". La visita al rabbino capo della Sinagoga di Roma, nel 1986, si inscrive in questa strategia: è chiaro che un uomo come don Santangelo era già allora scomodissimo, e le sue convinzioni, per nulla dissimulate, dovevano apparire peggio che inattuali, scandalose e inaccettabili. Figuriamoci cosa sarebbe oggi: semplicemente impensabile. Per aver osato dire solo una piccola parte di quel che diceva e che scriveva apertamente don Santangelo, il vescovo Richard Williamson è stato espulso sia dalla Chiesa cattolica, sia dalla stessa Fraternità San Pio X, e seppellito sotto quantità industriali di esecrazione, in quanto "antisemita" impenitente e, quindi, personaggio moralmente immeritevole di essere preso in considerazione, e, quasi, anche solo d’esser nominato.
Insomma, a don Santangelo capitò quello che era capitato anche a don Luigi Villa: indagando sulle pieghe e sulle trame della Massoneria, fuori e dentro le mura del Vaticano e nella Chiesa cattolica, era andato a sbattere contro argomenti tabù, contro porte che dovevano restare ben chiuse e sigillate, contro equilibri strategici e di potere che nessuno era disposto a mettere, o rimettere, in discussione, ne andasse pur di mezzo la verità e, più ancora, la salute e la pulizia interna della Chiesa stessa. La parola d’ordine era: fare finta di nulla; proibito parlare del giudaismo, se non per lodarlo; proibito criticare la Massoneria, e peggio ancora accennare alla sua presenza tra le file dei vescovi e dei cardinali: in nome della "distensione", del "dialogo", della "fiducia", bisognava fingere che andasse tutto bene, che non vi fosse alcun problema, che nessuno complottasse contro la Chiesa di Cristo, né dall’esterno, né, tanto meno, dall’interno. Dal Concilio Vaticano II, i "novatori" avevano appreso almeno questo: che i cattolici dovevano superare la mentalità da "cittadella assediata", che non dovevano arroccarsi, che dovevano mostrare di non temere le sfide del mondo moderno, né il rapporto con le altre fedi; che dovevano dare per scontato ciò che scontato non era e non è, ossia che solo i cattolici, e i cristiani in genere, abbiano degli scheletri nell’armadio, un passato da farsi perdonare, delle violenze e delle intolleranze di cui domandare scusa a tutti e a ciascuno; mentre tutti gli alti erano belli, buoni e bravi, tutti quanti i non cattolici erano franchi, leali e volonterosi, e opinare diversamente equivaleva a dar prova di uno spirito di grettezza e di chiusura, di un atteggiamento di "conservatorismo", di una patente contrapposizione al tanto, troppo, decantato "spirito" (ma con la lettera minuscola) del Concilio.
Ecco un esempio della sua prosa, riportato da una pagina del suo libro L’ultima battaglia (Adrano, Catania, Comunità Editrice, 1992, pp. 62-63):
Gli ebrei, mentre da un lato dirigono la politica mondiale degli U.S.A., dall’altro dirigono la politica sovietica: la rivoluzione sovietica, preparata dall’ebreo Marx, fu fatta dagli ebrei: 18 dei 20 compagni di Lenin erano ebrei ed essi diressero con ‘ebreo Jagoda il massacro dei cristiani e particolarmente dei religiosi; ed ora sono al comando delle Forze sovietiche e del KGB con i capi di Stato Maggiore Jazov e Moiseyev, con Mevedev, e col ministro attuale degli esteri Bessmertmykhn, mentre la stessa moglie di Gorbaciov, Raissa, è pure ebrea. Gli ebrei praticamente dirigono quasi tutti gli avvenimenti internazionali, compresa l’ultima guerra mondiale: erano ebrei Hitler (ebrea sua madre Clara Polz, figlio di ebreo suo padre Alois, ebree le amanti Eva Braun e la Walschmann); ebrei il più terribile organizzatore ei campi di concentramento nazisti, Reinhard [Heydrich], il luogotenente di Hitler, Rudolf Hess, il successore di Hess, Martin Bormann, l’ideologo del nazismo, Rosenberg, che si formò uno Stato Maggiore tutto di ebrei: Bamler, Gross, Fischer, Muller, Rauss.
Tutti costoro, insieme ad innumerevoli altri, erano assimilati germanici della setta ebraica askenazita. Hitler aveva avuto tutti maestri ebrei e a Monaco egli in casa dell’ebreo Bruchmann proclamava la sua ideologia nel "Mein Kampf", dopo essersi iscritto alla loggia massonica "La Thule", seguendo gli insegnamenti della quale raggiunse il potere. Nella guerra fece perire diverse centinaia di migliaia di ebrei che non vollero seguirlo nella sua nuova ideologia nazista e vollero restare fedeli alla B’nai’ B’rit.
La cifra di 6.000.000 di ebrei uccisi nei campi di sterminio fu inventata dagli ebrei per arricchirsi a spese della Germania risorta nel dopoguerra. Nel 1988 l’ing. F. Leuchter provò che per uccidere 6.000.000 di ebrei nei forni crematori sarebbero occorsi 68 anni. Lo scopo che si era prefisso Hitler nel fare la guerra era di ricacciare oltre gli Urali Cechi, Placchi, Russi non germanizzabili e quindi non assimilabili dalla setta ebraica askenazita. Le vittime in tutto poterono essere il doppio. L’obiettivo di tutte queste sette ebraiche uno solo: raggiungere il dominio mondiale creando un "Ordine Nuovo" con una federazione mondiale degli Stati, con una moneta unica, con una propaganda di libertà religiosa, di laicismo, di relativismo di ogni fede tale da aprire le porte e le braccia al Messia ebraico, che, oggi, per gli ebrei è lo stesso popolo ebreo, ma che domani potrà essere benissimo un presidente ebreo di una federazione mondiale degli Stati, ossia l’Anticristo.
Il presidente degli U.S.A., l’ebreo Bush, recentemente ha detto: "Il primo passo per il Nuovo Ordine Mondiale è stato fatto e gli altri seguiranno con grande celerità"; seguiranno perché gli ebrei posseggono la maggior pare dell’oro del mondo, dirigono i mass media del mondo, si sono infiltrati in tutti i posti di comando del mondo e in tutti i partiti del mondo, compresa la democrazia cristiana: non resta loro che organizzare, al momento che ad essi sembrerà opportuno la strategia per dare la scalata al potere mondiale.
L’unica forza che potrebbe in qualche modo ostacolare i loro progetti è la Chiesa cattolica; ma anche a questo gli ebrei hanno pensato organizzando la massoneria ecclesiastica […].
Come si vede, dal punto di vista del politicamente corretto, questa è dinamite. In una sola pagina l’Autore tira in ballo una serie di fatti, di nomi, di circostanze che suonano come altrettante bestemmie per la cultura progressista e "democratica". Punta il dito contro l’invadenza e l’infiltrazione ebraica negli ingranaggi del potere mondiale; ribalta il giudizio comune sul nazismo e sulle origini della Seconda guerra mondiale; mette in dubbio le modalità e le cifre sull’Olocausto, nonché il modus operandi delle camere a gas, argomento particolarmente intoccabile; e l’interesse che avevano gli stessi ebrei a gonfiare enormemente le cifre, per ottenere i risarcimenti tedeschi; denuncia le analogie e le corrispondenze fra la politica sovietica e quella statunitense; evoca l’avvento dell’Anticristo, non come mito, ma come realtà storica precisa, e d’una dittatura mondiale pseudo democratica, manovrata dall’ebraismo internazionale e dominata dalla finanza ebraica, a spese di tutti gli altri popoli; denuncia i rischi del relativismo e dell’omologazione culturale, quando — venticinque anni fa — non tutti questi fenomeni erano ancora palesi, come lo sono oggi.
Mescola a tutto ciò errori, inesattezze e interpretazioni azzardate, senza dubbio. Tuttavia, non si può negare che egli avesse il diritto di tirare le sue conclusioni, senza con ciò subire l’ostracismo di cui fu vittima; ed è chiaro che egli fu uno degli ultimi rappresentanti di una cultura cattolica, chiamiamola pure tradizionalista, se così fa piacere a qualcuno, che non aveva alcun complesso d’inferiorità e alcun particolare senso di colpa verso le altre culture e le altre religioni, come avviene oggi; una cultura cattolica agguerrita e combattiva, niente affatto disposta a lasciarsi aggredire senza difendersi, e perfettamente consapevole del pericolo rappresentato da un "disarmo unilaterale", stanti i disegni anticristiani di ampio respiro, presenti e operanti nel mondo moderno. Insomma, una negazione completa dello spirito fiducioso, ingenuo (se si è trattato solo d’ingenuità, e non di qualcosa di peggio), di tolleranza a senso unico, di permissivismo e relativismo implicito o esplicito, germinati nella Chiesa cattolica a partire dalla stagione del Vaticano II. È certo che, fino agli anni ’50 del Novecento, il punto di vista e la stessa formazione culturale di Santangelo erano gli stessi della maggioranza del clero cattolico; quel che è notevole in lui e in pochi altri, come, all’altra estremità dell’Italia, il friulano don Luigi Cozzi, del quale abbiamo parlato a suo tempo, è il fatto che egli non abbia avuto paura di ripetere a viso aperto quelle cose che, da un giorno all’altro, vennero censurate e nascoste sotto il tappeto, quelle cose che la Chiesa cattolica aveva affermato e predicato per tanto tempo, ma che, dopo il 1965, improvvisamente erano diventate indicibili, anche se nessuno ebbe il fegato, né lo ha avuto poi, di dire chiaro e tondo: Ci eravamo sbagliati; era tutto sbagliato, ma si è voluta recitare la commedia della continuità, e fare finta che nulla fosse cambiato, che la Chiesa fosse sempre la stessa, che le sue opinioni sul mondo, sul peccato, su Satana, sulle altre religioni e sulle altre confessioni cristiane non avessero subito un vero cambiamento, mentre lo avevano subito, eccome: diciamo pure che erano state rovesciate come un guanto. Ma era appunto questa la cosa che più di tutte non bisognava dire, che si doveva assolutamente tacere: ed è appunto in questo che personaggi come don Santangelo riuscivano scomodi, indigesti, quasi insopportabili. La loro stessa esistenza, la loro ostinazione nel dire ciò che sempre si era detto e pensato, ma che ora bisognava archiviare e perfino dimenticare, come se non fosse mai stato detto né pensato, come se fosse stato tutto un sogno, rappresentavano una sorta di sfida, di oltraggio.
Ora, infatti, con l’avvento dello "spirito conciliare", bisognava chiedere il permesso al giudaismo, all’islamismo, al protestantesimo, di dire certe cose, e ci si era impegnati solennemente a non dirne certe altre: si poteva solo domandare scusa nei loro confronti, e si doveva tacere tutto quel che di poco bello esse avevano fatto, e tuttora facevano, contro la Chiesa cattolica. È ben per questa ragione che la proclamazione della santità di padre Léon Gustave Dehon è stata bloccata all’ultimo momento, nel 2005, e rinviata sine die: perché è "saltato fuori" che il sacerdote francese, sulla rivista La Croix, aveva detto alcune verità non gradite al giudaismo. Ed è per questo che si è posto il silenziatore sul culto di san Massimilano Kolbe (qualcuno lo ha notato?): perché si è "scoperto" che anch’egli, che pure fece di tutto per salvare quanti più ebrei possibile quando la Polonia fu invasa dai nazisti, non aveva taciuto le mene delle lobby ebraiche a livello mondiale e a livello nazionale. Ed è ancora per questo che, di colpo, qualcuno ha tirato fuori la questione del "silenzio" di Pio XII sull’Olocausto, dopo che per anni, nessuno si era sognato di rimproverargli una cosa del genere (la stessa che si potrebbe rimproverare a Churchill, Roosevelt, Stalin): tanto era nota e riconosciuta, dagli stessi ebrei, l’opera meritoria da lui svolta nel salvare le vite degli ebrei di Roma e di altre città italiane, dopo l’8 settembre del 1943. Ma è sempre una buona politica, per chi voglia ricattare qualcun altro, tenergli sospesa sul capo la spada di Damocle di scandalose rivelazioni: e così è stato fatto, inventandosi lo "scandalo" di un silenzio che, se ci fu, fu dovuto palesemente all’opportunità di non accrescere il numero delle vittime e di non vanificare l’opera di soccorso efficacemente svolta dal clero cattolico a favore degli ebrei, in Italia e in tutta l’Europa occupata dai nazisti. Ma si è mai vista una religione che accetta di farsi dettare le proprie regole interne dai rappresentati delle altre religioni? Che accetta di farsi ricattare, rimproverare, umiliare, per la "colpa" di rendere omaggio ai suoi santi, ai suoi uomini insigni? Che si auto-mortifica e si auto-umilia fino al punto di chiedere il permesso di respirare, quasi, per il timore di suscitare le accuse e le reazioni indignate degli altri, i quali vantano non si sa quali crediti morali nei suoi confronti? Che deve stare attenta, e, se del caso, scusarsi, perfino quando si accinge a rendere omaggio alle vittime delle altre religioni, perché non lo ha fatto nei tempi e nei modi che queste ultime giudicano giusti? Eppure, lo si è visto e lo si vede continuamente, e quella religione è la cattolica. Non ha forse dovuto profondersi in giustificazioni, Giovanni Paolo II, per la sua supposta mancanza di tatto mostrata verso gli ebrei, allorché rese visita al campo di Auschwitz? E non ha forse dovuto profondersi in giustificazioni Benedetto XVI, quando, con perfida mossa, la televisione svedese ha mandato in onda un’intervista, registrata da tempo, in cui monsignor Richard Williamson non negava, bensì contestava le cifre ufficiali sull’Olocausto, suscitando comunque uno scandalo enorme: e ciò proprio quando lui, il pontefice, aveva revocato la scomunica a Williamson e agli altri vescovi lefebvriani? Perciò viene da chiedersi che cosa ci sia dietro a tanta debolezza, a tanta arrendevolezza, a tanta — diciamolo pure — pusillanimità, da parte della Chiesa, di fronte ai suoi nemici, che continuamente l’aggrediscono, la svillaneggiano, la minacciano, la ricattano, la trascinano sul banco degli imputati d’un ipotetico tribunale mondiale planetario.
Ad ogni modo, anche noi siano stati praticamente costretti a dilungarci su questi aspetti dell’opera di Ildebrando A. Santangelo, se non altro per precisare, per puntualizzare, per prevenire strumentalizzazioni; mentre non abbiamo potuto parlare a sufficienza — e ci riserviamo di farlo un’altra volta — del sacerdote entusiasta, infiammato d’amore per i suoi parrocchiani, ardente di carità per la sua Chiesa. Non abbiamo potuto parlare della sua spiritualità, della sua costante preoccupazione per la salvezza delle anime, tanto eravamo preoccupati che rievocare la sua figura offrisse il fianco ad ulteriori malevolenze verso di essa. Ne avessimo ancora, di sacerdoti come lui…
Fonte dell'immagine in evidenza: RAI