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Quatto quatto, lemme lemme, come ti cambio il paradigma sotto il naso

Il cardinale Walter Kasper è uno dei principali autori, per sua stessa ammissione, del "cambio di paradigma" (Paradigmenwechsel) in corso nella Chiesa cattolica, esplicitamente ispirato al Concilio Vaticano II. Di che cosa si tratta? In pratica, si tratta di questo: cambiare profondamente i contenuti della dottrina cattolica, lasciando però intatta, o quasi, la superficie, e perciò inducendo a credere quanti non fossero convinti della bontà di tale operazione, che, dopotutto, non è cambiato niente. In altre parole: si tratta di cambiare la Chiesa, radicalmente, irreversibilmente, ma senza che se ne accorgano i fedeli e quella parte del clero che non approverebbe una simile operazione, se ne avesse la piena consapevolezza e se i "novatori" avessero la franchezza di dichiarare apertamente il loro intento ultimo. Che non è di "venire incontro" alla umanità sofferente, non è di avvicinarsi alle situazioni concrete delle persone, dismettendo gli abiti di un legalismo ormai sorpassato (?), ma di cambiare la dottrina cattolica, la sua impostazione, la sua prospettiva, e, in ultima analisi, il contenuto stesso del Vangelo. Cioè l’obiettivo della apostasia: portare la Chiesa fuori dalla Verità rivelata e trasformarla in una istituzione puramente umana, fondata sui bisogni degli uomini, materialisticamente intesi: dove anche la morale si "decide" non in base a valori e principi assoluti, ma in base a situazioni de facto, contingenti, volta per volta, empiricamente.  

Il Concistoro sulla famiglia dei 2014 è stato preceduto da una relazione introduttiva, firmata dal cardinale Walter Kasper e recante la data del 4 febbraio, che è poi stata stampata in volume (in Italia, dalla casa editrice Queriniana) e che il papa Francesco ha talmente apprezzato, da ringraziarne l’autore con sentite parole, definendola un esempio di "profonda" teologia, di teologia "serena", di teologia "in ginocchio", di quella che "fa bene" leggere.

Vale la pena di riportare uno dei passaggi chiave di questa relazione, perché è un perfetto esempio della strategia adoperata dai "novatori" per raggiungere il loro obiettivo, ossia il "cambio di paradigma": l’apostasia dalla Verità, spacciata, però, come qualcosa di perfettamente legittimo e di perfettamente cattolico: quando del cattolicesimo non resterà praticamente nulla.  

Non basta considerare il problema solo dal punto di vista e dalla prospettiva della Chiesa come istituzione sacramentale. Abbiamo bisogno di un cambiamento del paradigma e dobbiamo — come lo ha fatto il buon Samaritano — considerare la situazione anche dalla prospettiva di chi soffre e chiede aiuto.

Tutti sanno che la questione dei matrimoni di persone divorziate e risposate è un problema complesso e spinoso. […] Che cosa può fare la Chiesa in tali situazioni? Non può proporre una soluzione diversa o contraria alle parole di Gesù. L’indissolubilità di un matrimonio sacramentale e l’impossibilità di nuovo matrimonio durante la vita dell’altro partner fa parte della tradizione di fede vincolante della Chiesa che non può essere abbandonata o sciolta richiamandosi a una comprensione superficiale della misericordia a basso prezzo. […] La domanda è dunque come la Chiesa può corrispondere a questo binomio inscindibile di fedeltà e misericordia di Dio nella sua azione pastorale riguardo i divorziati risposati con rito civile. […]

Oggi ci troviamo in una situazione simile a quella dell’ultimo Concilio. Anche allora esistevano, per esempio sulla questione dell’ecumenismo o della libertà di religione, encicliche e decisioni del Sant’Uffizio che sembravano precludere altre vie. II Concilio senza violare la tradizione dogmatica vincolante ha aperto delle porte. Ci si può chiedere: non è forse possibile un ulteriore sviluppo anche nella presente questione? […]

Mi limito a due situazioni, per le quali in alcuni documenti ufficiali vengono già accennate delle soluzioni. Desidero porre solo delle domande limitandomi ad indicare la direzione delle risposte possibili. Dare però una risposta sarà compito del Sinodo in sintonia con il papa.

PRIMA SITUAZIONE.

"Familiaris consortio" afferma che alcuni divorziati risposati sono in coscienza soggettivamente convinti che il loro precedente matrimonio irrimediabilmente spezzato non è mai stato valido. […]

Secondo il diritto canonico la valutazione è compito dei tribunali ecclesiastici. Poiché essi non sono "iure divino", ma si sono sviluppati storicamente, ci si domanda talvolta se la via giudiziaria debba essere l’unica via per risolvere il problema o se non sarebbero possibili altre procedure più pastorali e spirituali.

In alternativa si potrebbe pensare che il vescovo possa affidare questo compito a un sacerdote con esperienza spirituale e pastorale quale penitenziere o vicario episcopale

 Indipendentemente dalla risposta da dare a tale domanda, vale ricordare il discorso di papa Francesco rivolto il 24 gennaio 2014 agli officiali del tribunale della Rota Romana, nel quale afferma che dimensione giuridica e dimensione pastorale non sono in contrapposizione. […] La pastorale e la misericordia non si contrappongono alla giustizia ma, per così dire, sono la giustizia suprema, poiché dietro ogni causa esse scorgono non solo un caso da esaminare nell’ottica di una regola generale, ma una persona umana che, come tale, non può mai rappresentare un caso e ha sempre una dignità unica. […] Davvero è possibile che si decida del bene e del male delle persone in seconda e terza istanza solo sulla base di atti, vale a dire di carte, ma senza conoscere la persona e la sua situazione?

Cominciamo dalla prima affermazione: 

Non basta considerare il problema solo dal punto di vista e dalla prospettiva della Chiesa come istituzione sacramentale. Abbiamo bisogno di un cambiamento del paradigma e dobbiamo — come lo ha fatto il buon Samaritano — considerare la situazione anche dalla prospettiva di chi soffre e chiede aiuto.

Si tratta di una affermazione sorprendente, sconcertante: senza averne l’aria, è una affermazione che sconfessa e liquida duemila anni di storia della pastorale ecclesiastica. Si dice che i problemi delle persone, in questo caso i problemi e i drammi familiari, non devono essere considerati solo dal punto di vista della Chiesa, ma dal punto di vista di chi soffre e chiede aiuto. Ma allora, in questi duemila anni, la Chiesa non ha ascoltato chi soffre e chiede aiuto? E cosa vuol dire: chiedere aiuto? Significa che la Chiesa deve concedere il perdono, l’assoluzione, a qualunque peccato, in nome della sofferenza del peccatore? Anche senza pentimento? Anche senza il riconoscimento della colpa? Anche senza la volontà e l’azione pratica per rimediare al male fatto? E poi: qui si contrappone il punto di vista della Chiesa a quello delle persone sofferenti. È sbagliato, è sacrilego. La Chiesa non è un palazzo d’avorio che se ne sta sulle nuvole, mentre quaggiù le persone soffrono e invocano aiuto. La Chiesa è calata nel mondo, ma non per approvare quel che fa il mondo, bensì per convertirlo. Gesù è venuto nel mondo non per condannarlo, ma nemmeno per approvarlo così com’è. All’adultera, convinta di adulterio, ha raccomandato: Va’, e non peccare più. Non le ha detto: Poverina, devi aver sofferto tanto con un marito che non ti capisce; vai pure e fai quel che ti sembra meglio. Niente affatto, ma le ha detto: Va’, e non peccare più. La Chiesa è la continuazione dell’opera di Gesù, della presenza di Gesù, del Vangelo di Gesù, mediante i suoi successori: gli apostoli e i vescovi, i sacerdoti, i religiosi e le religiose, e tutto il popolo dei fedeli. Illuminati dallo Spirito, e fedeli alle Scritture e alla sacra Tradizione. Questa è la Chiesa. Non è un’opera umana: è un’opera divina. Fondata da Gesù, assistita e illuminata dallo Spirito Santo, vivificata dalla presenza dei santi e al sacrificio dei martiri, coadiuvata dalla presenza amorevole di Maria Vergine. E chi è il cardinale Kasper, per permettersi di dire – implicitamente, ma inequivocabilmente – che la Chiesa è stata sorda al grido d’aiuto delle persone che soffrono, che è stata lontana da loro? Quando mai? San Francesco che abbraccia il lebbroso, santa Chiara che accompagna il condannato a morte fino ai piedi del patibolo, san Giovanni Bosco che raccoglie la gioventù abbandonata e traviata, san Pio da Pietrelcina che confessa, consiglia, incoraggia i fedeli per quattordici ore al giorno, incompreso dai suoi superiori, calunniato, ostacolato, perseguitato: tutti costoro sono la Chiesa, e molti altri che esistono anche oggi e che si prodigano in silenzio, con l’aiuto dello Spirito Santo. Il cardinale Kasper ha mai alzato, con un dito, la millesima parte del peso che si assumevano, quotidianamente, san Francesco, santa Chiara, san Giovanni Bosco o san Pio da Pietrelcina?

Ma vediamo un esempio pratico del Paradigmenweschel kasperiano: la questione del divorzio. Lui dice: Gesù ha proibito il divorzio (e sembra dirlo un po’ a malincuore); però ci sono persone che soffrono per un matrimonio infelice: come se ne esce? E già qui si vede la cattiva, anzi, la pessima teologia, checché ne pensi papa Francesco: perché la sana teologia si confronta, sì, con le situazioni concrete, ma non per cercare scappatoie ed escamotages, non per aggirare la Legge e arrivare a un compromesso col Vangelo, bensì per illuminare i dubbi di fede alla luce della Verità divina: che parla nel linguaggio del Sì, sì, e No, no. È paradossale (ma il paradosso è solo apparente, a ben guardare): Walter Kasper critica il "legalismo" e l’impostazione "giuridicista" della Legge di Dio, ma cade a capofitto nella cavillosità giuridica più asfittica, più ottusa. In pratica, sta cercando di trovare un punto d’incontro fra le "richieste" del Vangelo e le aspirazioni degli uomini: cosa sbagliatissima e non cristiana, perché sottintende che il Vangelo sia qualcosa di esterno e di sostanzialmente estraneo, uno spauracchio, un Moloch, che pretende da noi, poveri umani, l’impossibile; sottintende che noi, poveretti, che già facciamo fatica a tirare avanti le nostre vite, non possiamo metterci sulle spalle anche quest’altro fardello. Ma ciò significa negare la Croce, il valore salvifico e rigenerante della Croce! Cioè, significa negare il cristianesimo. Tolta la Croce, il cristianesimo non esiste più: resta una facciata vuota, senza sostanza, buona per i credenti alla Kasper, alla Bianchi, alla Mancuso. È sbagliato vedere Dio come la nostra controparte, ed è addirittura sacrilego attribuirgli l’intenzione di caricarci sulle spalle un peso superiore alle nostre forze. 

Ma andiamo avanti. Che Kasper non abbia di mira solo l’abolizione, de facto, della indissolubilità del matrimonio, e quindi l’introduzione, surrettizia e in perfetta mala fede, del divorzio, come norma di vita generale, anche per i cristiani, cioè la desacralizzazione della famiglia cristiana, lo si vede da ciò che egli stesso dice subito dopo, quando afferma che anche alla vigilia del Concilio Vaticano II esistevano documenti del Magistero che sembravano in contrasto con le nuove idee (le loro, in verità) sull’ecumenismo e sul dialogo inter-religioso, ma che il Concilio, pur senza violare la tradizione dogmatica vincolante, seppe aprire delle porte che, in pratica – ma questo non lo dice: la sua franchezza si arresta qui, proprio sulla soglia – in pratica svuotavano e annullavano la tradizione dogmatica (e si noti che egli scrive "tradizione" con la lettera minuscola: evidentemente, per lui la Tradizione non è di origine divina, ma è solo una cosa umana). E poi, con la massima sfrontatezza, domanda: Perché non fare la stessa cosa a proposito dei divorziati risposati? Ecco: qui il lupo, per un momento, lascia cadere la sua veste di pastore del gregge e fa trasparire la sua natura di lupo, i suoi peli di lupo, le sue zanne e i suoi artigli di lupo: il pastore, infatti, difende il gregge ed è pronto a dare la vita per le sue pecore; il lupo travestito da pastore, invece, ha il solo obiettivo di divorarle più facilmente. Da che cosa si riconosce il lupo? Dal fatto che Kasper sta dicendo, chiaro e tondo, che la tradizione dogmatica è vincolante, ma che bisogna trovare il modo di fare che non sia tale: bisogna trovare delle eccezioni al dogma, che consentano di ignorarla, pur lasciandola, formalmente, in piedi. Ma questo significa prendere in giro il dogma, e farsi beffe di Dio. Il dogma c’è, o non c’è: se c’è, non vi sono eccezioni; se vi sono le eccezioni, non c’è il dogma. Gesù non disse: L’uomo non divida ciò che Dio ha unito, tranne nel caso in cui…; ma disse: L’uomo non divida ciò che Dio ha unito. Punto. E il ragionamento di Kasper è tanto più odioso, tanto più ipocrita, in quanto parte facendo leva sulla misericordia: lui dice: Non si può non essere misericordiosi con chi soffre, perché Dio è misericordioso; e chi siamo noi per ostacolare la misericordia di Dio? Odioso sofisma, vero e proprio stravolgimento della lettera e dello spirito del Vangelo: la misericordia di Dio non consiste nell’abolire la Legge, ma nel perdonare il peccatore che si pente del proprio peccato. Questa, e non altra, è la misericordia cristiana. Opinare diversamente, significa giocare con la parola di Dio: ma Dio non può essere preso in giro con quattro sofismi; e nemmeno una persona intelligente ci cascherebbe, così come Renzo, ignorante ma intelligente, non si lasciò prendere in giro da don Abbondio, quando questi cercò di confonderlo con parole latine, a lui incomprensibili, per spiegare che il suo matrimonio con Lucia non era possibile.

E adesso vediamo la situazione concreta con cui il cardinale Kasper vuole esemplificare la sua idea di matrimonio e di separazione. Cita l’esortazione apostolica di Giovanni Paolo II, Familiaris Consortio, del 22 novembre 1981, per farne la base della sua "proposta". In quel documento, si afferma che alcuni credenti, soggettivamente, ma in buona fede, ritengono che il matrimonio, da essi spezzato, non è mai stato valido. Questo è l’astuto grimaldello di cui il lupo travestito da agnello si serve per tentar di scardinare l’istituzione divina del matrimonio cristiano: Bisogna andare incontro, egli dice, a questa percezione soggettiva, ma in buona fede, dei singoli credenti: la Chiesa deve prendere atto che, per essi, il loro matrimonio non era realmente valido, e, quindi, non hanno infranto un sacramento, né lasciando il proprio coniuge, né risposandosi a passando ad altra convivenza. Sì, è vero, egli dice – e lo dice a denti stretti – fino ad ora è stata la Chiesa, mediante appositi istituti e procedure, a stabilire se quel matrimonio fosse da ritenersi realmente nullo; ma che volete, siamo in tempi di democrazia avanzata, la gente fa le sue scelte, prende le sue decisioni; e poi soffre, non vedete come soffre? Soffre e chiede aiuto! Tradotto in parole più semplici: i divorziati risposati chiedono che il loro precedente matrimonio sia considerato nullo dalla Chiesa, perché essi "sentono" che era nullo, e perché soffrono e domandano aiuto: come si fa a negarglielo? Dopotutto, dice Kasper – ed ecco la perfidia, veramente diabolica – non si può ridurre il dramma umano di queste persone a una questione di atti giuridici, di timbri e di carte. Sciagurato! I timbri e le carte non sono che il segno, visibile e materiale, della sacra dottrina: non sono che l’espressione, umana e imperfetta fin che si vuole, ma sorretta e ispirata da Dio, della volontà di essere fedeli al Vangelo. E cosa dice il Vangelo? L’uomo non separi ciò che Dio ha unito. Per rendere il concetto ancora più chiaro, Gesù afferma che chi desidera peccare con un’altra donna, che non sia sua moglie, farebbe meglio a strapparsi l’occhio, o a tagliarsi la mano o il piede, se gli sono occasione di scandalo, cioè di tentazione. È un linguaggio molto severo, senza dubbio: un linguaggio durissimo. Un linguaggio che scandalizza i cuori teneri e le anime sensibili, come quella del cardinale Kasper.

Parliamoci chiaro: la pretesa di codesti teologi modernisti e progressisti di essere più misericordiosi di Dio, è semplicemente blasfema. I loro sforzi per aggirare le leggi di Dio equivalgono a un tentativo di prendere in giro il Signore. E la loro compassione verso i sofferenti è male impostata e mal diretta: non sempre giova al sofferente "accontentare" le sue richieste; per il drogato, che soffre in una crisi di astinenza, non vi sarebbe misericordia peggiore che quella di dargli un’altra dose di eroina. Per il divorziato risposato, che vorrebbe essere riammesso alla santa Comunione, vale lo stesso principio: non lo si "aiuta" approvando e santificando il suo peccato. Questo, almeno, è poco, ma sicuro. Ma queste cose il cardinale Kasper, che è senza dubbio un uomo intelligente, le sa benissimo: non crediamo vi sia alcun bisogno di ricordargliele. E allora? E allora, semplicemente, costui non è in buona fede. Sa quel che sta facendo, e tuttavia non esita, non indietreggia, non arretra. Lui, e quelli come lui, vogliono effettuare – e lo dicono – un "cambio di paradigma", ma diciamolo con parole più chiare e più semplici: vogliono cambiare la Chiesa e stravolgere la dottrina cristiana.

Il trucco incomincia proprio dal linguaggio. Il paradigma, infatti, è una cosa umana, e può, anzi, deve cambiare; ma il Vangelo non è parola umana, è la Parola di Dio: e non cambia, né cadrà mai da esso neppure uno iota, sino alla fine del mondo.

Che almeno le cose siano chiare. Che ciascuno giochi a carte scoperte. E che ciascuno, messe le carte in tavola, si assuma fino in fondo la responsabilità dei suoi atti, delle sue parole, delle sue intenzioni.

Fonte dell'immagine in evidenza: RAI

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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