
Due parole scomode a un giovane cattolico
29 Novembre 2016
Impadronitisi del marchio di fabbrica, ora stanno cambiando il prodotto
30 Novembre 2016Monsignor Vincenzo Paglia, classe 1945, è una figura di spicco nella gerarchia vaticana: arcivescovo nella basilica di san Giovanni in Laterano nel 2000; presidente della Commissione per l’Ecumenismo e il Dialogo nella Conferenza Episcopale Italiana, nel 2004; presidente della Pontificia Accademia per la vita, nel 2016: solo per citare le tappe e gli incarichi più prestigiosi della sua carriera.
Peraltro, già nel 20013 si era messo in luce nel "partito" progressista della Chiesa cattolica, rilasciando una dichiarazione in cui auspicava che lo Stato riconoscesse le unioni di fatto, al pari del matrimonio, comprese le unioni omosessuali, precedendo così di tre anni l’approvazione, in Parlamento, della cosiddetta legge Cirinnà, ossia la legge n. 76 del 20 maggio 2016 sulle unioni civili. Evidentemente, un uomo di Chiesa molto attento ai segni dei tempi: così attento da anticipare di molto il concretizzarsi di una legislazione che si presenta tuttora come fortemente divisiva; ma non si era detto che lo sconfinare della Chiesa nelle questioni civili è "clericalismo", ossia una cosa da evitare? oppure è da evitare solo se si esplica in senso "conservatore"?
Questo, per farci un’idea dell’uomo. Ordinato sacerdote nel 1970, cinque anni dopo la chiusura del Concilio Vaticano II, Paglia è un esempio quasi perfetto di quello "spirito" conciliare, o piuttosto post-conciliare, che, con gradualità, ma anche con la massima disinvoltura, si è proposto l’obiettivo di "storicizzare" l’annuncio del Vangelo, e, con esso, di "storicizzare" anche la Chiesa cattolica, legandoli alle categorie della modernità, del progresso e del divenire storico.
L’intervista del 23 novembre rilasciata da monsignor Paglia al giornalista Giovanni Panettiere de Il Qotidiano.net contiene il seguente botta e risposta:
DOMANDA: Ma è possibile che si arrivi in un futuro prossimo al superamento della scomunica per l’aborto?
RISPOSTA: Sì, non è da escludere — risponde l’arcivescovo Vincenzo Paglia, fresco presidente della Pontificia Accademia per la Vita –. Poi che sia proprio Francesco ad abrogare il canone non lo so, sarebbe da chiederlo a lui stesso. Certo è che negli ultimi decenni il Codice è stato già rivisitato decine e decine di volte. Quindi non c’è da meravigliarsi che il progresso della vita determini un aggiornamento delle legge canonica. È nella sostanza del reale, la tradizione della Chiesa è un corpo vivente, non un Codice bloccato.
Ora, questo è lo stesso monsignor Paglia che ha lamentato, dai microfoni della Radio Vaticana, il fatto che i mass media abbiano "travisato", ancora una volta, il pensiero di papa Francesco, così come il pontefice l’ha espresso nella Misericordia et misera, a proposito dell’aborto (ma se fosse vero, perché il papa non avrebbe protestato?): aborto che era e rimane un peccato grave, gravissimo. Non solo: egli ribadisce, qualora ce ne fosse bisogno, che il peccato di aborto, sia per la donna che lo pratica, sia per medici e infermieri che lo eseguono, comporta di per sé la scomunica, latae sententiae, senza bisogno d’uno specifico provvedimento della Chiesa: questo dice il Codice del Diritto Canonico, e questo continua ad essere valido. Ma allora che cosa bisogna pensare, che costui è una specie di mister Jekyll e signor Hyde, che dice una cosa al mattino e la cosa opposta alla sera, o viceversa, in maniera a suo modo sincera, quantunque incomprensibile?
In realtà, non c’è proprio nessun mistero: e immaginarlo, significa cadere in una grossa ingenuità. È ormai da un pezzo che siamo abituati ad assistere allo stesso spettacolo, divenuto perfino monotono. Questi monsignori, questi teologi e questi sacerdoti progressisti e modernisti fanno una sparata, un bel giorno, attirando l’attenzione della stampa e della televisione e accendendo una discussione in seno alla Chiesa e alla comunità dei credenti; poi, bruscamente, fanno marcia indietro, invertono la rotta, correggono il tiro, come volessero rientrare nell’ordine e ricomporre le file. Ma dura poco; ecco che poco dopo, a volte solo pochi giorni dopo, tornano all’attacco; indi, nuova retromarcia, nuova ritirata tattica, ma solo per raggiungere migliori posizioni, da cui rilanciare il loro disegno strategico, allargando sempre di più sia l’ambito del dibattito, sia la portata dei suoi contenuti, i quali, poco alla volta, passano dalla liturgia, dalla pastorale, dalla catechesi, agli stessi contenuti teologici e morali, agli stessi dogmi. In realtà, non si tratta di un passo avanti e uno indietro, per cui la discussione rimane praticamente ferma; al contrario: poco alla volta, senza che la maggior parte dei partecipanti al dibattito se ne accorga, le frontiere della morale cattolica sono state spostate un poco più avanti, sempre un altro poco più avanti, secondo il loro punto di vista; o trascinate un poco più in basso, secondo un altro. È un gioco molto abile, o almeno lo era all’inizio; ormai sta diventando sempre più prevedibile e sempre più scontato.
In altre parole: bisogna deporre la pia illusione che questi signori agiscano, per così dire, in buona fede. Se siano iscritti o meno alla Massoneria; se facciano parte di una rete, di un qualcosa, il cui fine è scardinare, dall’interno, la Chiesa cattolica, questo non lo sappiamo, nessuno lo sa, anche se esistono molti indizi che, almeno in qualche caso, lo fanno pensare — per il defunto monsignor Carlo Maria Martini, tanto per fare un nome. Tuttavia, una cosa è abbastanza chiara: essi agiscono in base a un disegno preciso, metodico, paziente e audace nello stesso tempo: quello di snaturare, ma poco a poco, la Chiesa cattolica, trasformandola, nel giro di un paio di generazioni, in qualcosa di completamente diverso da ciò che essa è stata, finora, e sin dalle origini. È la tecnica della rana bollita: se la rana viene gettata nell’acqua bollente, essa reagisce e tenta di saltar fuori dalla pentola; ma se la si mette nell’acqua tiepida e poi si alza la temperatura poco a poco, alla fine la bestiola si troverà bollita e cucinata senza nemmeno aver avuto modo di rendersene conto. Oppure, se si preferisce, è la tecnica della cosiddetta finestra di Overton, di cui ha parlato anche il cardinale Angelo Bagnasco, durante la prolusione del Consiglio permanente della Conferenza Episcopale Italiana, nel settembre del 2015. Si tratta di una tecnica mirante a rendere socialmente accettabili delle idee, delle iniziative e delle pratiche le quali, fino a quel momento, non sono mai state considerate tali, anzi, che la società ha sempre giudicato in maniera negativa. Si tratta, in buona sostanza, di manipolare abilmente l’opinione pubblica, facendola passare attraverso sei differenti stadi di percezione risguardo a quelle tali idee e a quelle tali pratiche, da quella iniziale, di rifiuto puro e semplice, a quella finale, che ne vede la legalizzazione, ossia l’introduzione a pieno titolo (anche se qualcuno, senza dubbio, continua ad essere perplesso; ma ormai tale perplessità non incide, non conta più nulla). Le quattro fasi intermedie sono le seguenti: quella in cui l’opinione pubblica giudica quelle idee come troppo radicali, ma, tuttavia, non del tutto impensabili, anche se continuano ad essere escluse dal quadro giuridico e normativo; quella in cui finiscono per diventare accettabili; quella in cui appaiono addirittura sensate, cioè razionalmente difendibili e giustificabili; e quella in cui si diffondono ampiamente, perciò vengono percepite, ogni giorno di più, come socialmente accettabili. Dallo scandalo iniziale alla completa adesione finale.
Non si tratta solo delle ultime uscite di monsignor Paglia o di qualche altro prelato, come quel vescovo di Anversa, Johan Bonny, il quale ha dichiarato, solo qualche giorno fa, che l’idea delle unioni omosessuali, anche sotto forma di matrimonio religioso, è tutt’altro che sbagliata e tutt’altro che da escludersi in un prossimo futuro; a lasciare attoniti è tutto l’insieme della "linea" portata avanti da uomini come loro, e anche da qualche outsider, come monsignor Krzysztof Charamsa, teologo e membro della Congregazione per la Dottrina della Fede (un altro pezzo grosso dell’establishment vaticano, dunque!; ma quanti ce ne sono, come lui, a Roma e altrove?) che, stanco di aspettare, ha fatto outing e, proprio alla vigilia del Sinodo per la famiglia del 2015, ha presentato ai giornalisti, con le telecamere puntate, il suo "compagno di vita", scambiando con lui affettuose effusioni, per annunciare che la Chiesa deve deporre la sua antica omofobia e aprirsi alle meraviglie dell’amore omosessuale, ingiustamente ghettizzato e discriminato.
Ciò che hanno in comune tutti costoro, e anche quelli che, con apparente rispetto delle forme, ma con un abile e sottile stravolgimento della teologia cattolica, stanno spingendo sempre più in là i contenuti della fede cattolica, è la sostanziale mancanza di onestà intellettuale. Se fossero intellettualmente onesti, già da un pezzo avrebbero preso atto della loro incompatibilità assoluta con la dottrina cattolica, sarebbero usciti dalla Chiesa e sarebbero andati ad ingrossare qualche chiesa protestante, o, magari, ne avrebbero fondata qualcuna di nuova, secondo il loro genio e il loro gusto; ma essi si guardano bene dal fare una mossa del genere, e mai la faranno, per il semplice fatto che, se agissero in tal modo, lascerebbero il campo e consentirebbero alla Chiesa cattolica di ritornare ad essere se stessa, di rimanere se stessa, di rappresentare quella continuità e quella perennità che la contraddistingue, essendo fondata non sulla mutevole parola umana, ma sulla perenne Parola di Dio. Nossignori, non è certo questo che vogliono: non lottano per portare avanti le loro idee, ma per imporre le loro idee alla Chiesa cattolica, per trasformare la Chiesa cattolica secondo quelle idee, e, semmai, per espellerne, o costringere ad andarsene, quelli che vi sono dentro da sempre, quelli che intendono restar fedeli al Vangelo di ieri, di oggi e di domani, e difendere i dogmi e la morale cattolica così come sono, e come sempre sono stati, da quando Gesù stesso li ha posti e ha ordinato agli Apostoli di custodirli fedelmente, anche a costo della loro stessa vita.
Si torni a leggere il passaggio della intervista di monsignor Paglia a proposito dell’aborto: è un compendio della teologia modernista e storicista, radicalmente contraria al Vangelo, anche se si spaccia per la sua fedele interprete. Che cosa dice, infatti, monsignor Paglia, a proposito del rapporto fra il Vangelo e la Chiesa, da una parte, e il mondo e l’evoluzione sociale, dall’altra? Dice testualmente: non c’è da meravigliarsi che il progresso della vita determini un aggiornamento delle legge canonica. È nella sostanza del reale, la tradizione della Chiesa è un corpo vivente, non un Codice bloccato. Ma la legge canonica, fino a prova contraria, non è una legge umana: è la traduzione, nel povero linguaggio degli uomini, della legge divina; e la legge divina, se non andiamo errati, se i "perfidi" e reazionari teologi e preti pre-conciliari non ci hanno educati in maniera completamente sbagliata, e se abbiamo capito qualche cosa del cristianesimo nel corso della nostra vita, è la Parola di Dio. Che non muta, non evolve, non cambia: è quella, ed è fatta di sì, sì, e di no, no. Prendiamo il caso del divorzio. Gesù non dice, come dice papa Francesco nella esortazione apostolica Amoris laetitia, che bisogna vagliare caso per caso, e, a discrezione del sacerdote, riammettere il divorziato risposato alla santa Comunione e alla piena partecipazione alla vita ecclesiale; niente affatto, ma dice: L’uomo non divida ciò che Dio ha unito. Non parla di eccezioni, non invoca la misericordia divina, non lascia margini di ambiguità. L’uomo non separi: questo è un parlare del tipo: sì, sì, e no, no. Il resto viene dal Diavolo. Anzi, per essere ancora più chiaro, qualora ve ne fosse stato bisogno (evidentemente, Gesù sapeva bene di aver a che fare con un uditorio di dura cervice, allora come oggi), ha aggiunto: E se il tuo occhio, nel guardare un’altra donna, ti fosse di scandalo, strappatelo! E se la tua mano, o il tuo piede, ti fossero di scandalo, tagliali via: è meglio entrare nel regno dei cieli orbo, monco e zoppo che esser gettato, tutto intero, nella Geenna. Con il dovuto rispetto umano, noi siamo ancora così poco moderni e così incorreggibilmente cattolici da rivolgere la nostra fede, tutta intera, alle parole di Gesù, tramandate dal Vangelo, piuttosto che a quelle di papa Francesco nella sua esortazione apostolica, o a quelle di monsignor Paglia nelle sue estemporanee interviste alla stampa.
No: costoro non sono in buona fede. Sanno quel che stanno facendo; sanno di stare stravolgendo il Vangelo, di fare a polpette la parola di Cristo, ma ciò non li spaventa affatto: vanno avanti per la loro strada, più sicuri che mai, più arroganti che mai. Se qualcuno esita a seguirli, se qualcuno si mostra perplesso, essi — il papa in testa — li attaccano, polemizzano, li rimproverano, li additano al pubblico disprezzo. È il modo di fare del buon pastore, questo? Dopotutto, non stiamo parlando dei feroci terroristi islamici, che tagliano le teste ai parroci sull’altare delle chiese, nel bel mezzo della santa Messa; non stiamo parlando dei discendenti di quel Lutero che, cinquecento anni fa, si ribellò alla Chiesa e proclamò di volerla distruggere, demolendone, tanto per cominciare, la teologia, e sguinzagliando i suoi lanzichenecchi, appena dieci anni dopo, nel bestiale sacco di Roma del 1527, a profanare le chiese, violare i monasteri, uccidere i sacerdoti, stuprare le monache: no, stiamo parlando di quei cattolici che hanno l’unica "colpa" di voler restare fedeli al Vangelo, così come esso è sempre stato e così come la Chiesa lo ha sempre insegnato, un pontefice dopo l’altro, un concilio dopo l’altro, un secolo dopo l’altro. Ma se potranno anche aver la meglio sugli uomini, essi hanno dimenticato che non potranno mai prevalere sul vero motore della Chiesa: lo Spirito Santo…
Fonte dell'immagine in evidenza: RAI