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Tutto ha per fine la salvezza dell’umanità e chi annuncia il Vangelo coopera con Dio

Troppo spesso il cristiano considera la sua fede solo sotto il profilo privato, ossia come una relazione fra se stesso e Dio; essa è certamente questo, ma non è solo questo: perché esser cristiani non significa solo considerarsi tali, ma esserlo, e, per esserlo, bisogna esporsi, annunciando il Vangelo, o con le parole, o con la propria stessa vita.

Quando una religione rinuncia alla testimonianza di se stessa, cioè quando i suoi membri, e, magari, il suo stesso clero, "decidono" che è sufficiente gestire l’esistente, accontentandosi di quel che essa è e smettendo di testimoniare la fede, essa imbocca la strada della consunzione e della lenta auto-disgregazione: è come una pianta che rinuncia a lottare per vivere, per conquistare il sole, e che viene circondata e soffocata dalle altre piante, più vigorose e tenaci, più forti nella loro volontà di affermazione. In altre parole, per esser cristiani bisogna testimoniarlo, con la fede innanzitutto, ma anche con le opere: in un certo senso, tutti i cristiani dovrebbero sentirsi come altrettanti missionari, perché tutti, mettendosi alla sequela di Gesù Cristo, dovrebbero far loro la sua esortazione: Andate e predicate il Vangelo, fino agli estremi confini del mondo.

Ci sembra che meritino una pensosa riflessione queste esortazioni del beato Giuseppe Allamano ai missionari e alle missionarie della Consolata, le quali, nella loro perenne attualità, ci sono sembrate più che mai appropriate nel particolare momento storico che stiamo vivendo (da: G. Allamano, Così vi voglio, Bologna, Editrice Missionaria Italiana, 2007, pp. 169-172):

L’ardore apostolico, al dire di S. Agostino, è un effetto dell’amore, anzi non si distingue da esso. Non però di un amore qualsiasi, bensì di un amore intenso e ardente. L’ardore apostolico è il carattere proprio del missionario e della missionaria. Non si va in missione per capriccio, o per turismo, ma unicamente per amore di Dio, che è inseparabile dall’amore del prossimo. Non solo dunque come cristiani, ma anche e più come missionari, abbiamo l’impegno di procurare la gloria di Dio collaborando alla salvezza delle anime. Bisogna aver tanta carità da dare la vita. Senza questo amore potrete avere il nome, ma non la realtà, né la sostanza dell’apostolo.

Dice S. Dionigi Areopagita che cooperare alla salvezza delle anime è la più divina fra le opere divine. Dio vuol servirsi di noi. Come afferma S. Paolo, "siamo infatti collaboratori di Dio" (1 Cor 3,9). Pensate: collaboratori di Dio per la salvezza dell’umanità! Proprio come se Dio avesse bisogno del nostro aiuto! è a noi che la Chiesa affida il grande mandato dell’evangelizzazione che ebbe dal Risorto,. è lì’opera delle opere.

La Creazione. L’Incarnazione, la Redenzione, la Missione dello Spirito Santo, tutto ha per fine la salvezza dell’umanità. "Perciò sopporto ogni cosa per gli eletti – dice S. paolo – perché anche essi raggiungano la salvezza che è in Cristo Gesù" (2 Tim 2,10). Dio stesso ci supplica ad essere impegnati per questa sua causa, e chi non vorrà accogliere la sua voce? Chi di noi non si stimerà fortunato di una tale vocazione?

"Io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga" (Gv 15,16).  questa chiamata è un grande dono da parte di Gesù, ma è pure un grande dovere da parte nostra. "guai a me se non predicassi il vangelo!" (1 Cor 9,16).  Ricordate tuttavia che non basta predicare, ma è necessario impegnarci in tutte le opere e a accogliere tutti i sacrifici che la vita apostolica richiede, costi quel che costi. "Lavoriamo, lavoriamo – esclamava il Cafasso – ci riposeremo in paradiso!". Non ci rincresca se ci sembra di dissiparci un poco per adempiere il nostro impegno missionario. Preghiamo solo molto, come faceva S. Francesco Saverio. […]

Cercare la pace e la calma nei monasteri solo per sfuggire la fatica, non è amor di Dio. Questo è tempo di lavorare, di sacrificarci! Facciamo nostre le parole di Paolo: "Tutto io faccio per il Vangelo" (1 Cor 9,23). Tutto, tutto! Mi spenderò e mi sacrificherò! Al Signore dovremo presentare non degli affetti o dei desideri, ma  del lavoro apostolico.

S. Bernardo dice che l’apostolo deve essere infiammato dalla carità, completato dalla scienza, reso stabile dalla costanza. Il vero apostolo, dunque, è infiammato dalla carità,  cioè dalla passione di far conoscere il Signore e di farlo amare, cerca il bene delle persone e non di se stesso. Gesù dice: "Sono venuto a portare fuoco sulla terra e come vorrei che fosse già acceso!"(Lc 12,49). Ci vuole fuoco per essere apostoli. Se non si è né caldi né freddi, cioè tiepidi, non si riuscirà mai a niente. L’uomo in tanto vive, in quanto è attivo per amor di Dio. Si può stare in unione intima con Dio e operare nel medesimo tempo. Se c’è amore, c’è zelo, e questo farà sì che non poniamo riserve o lentezze  nella dedizione di noi stessi per la missione. Ciò che si può fare oggi, non bisogna tramandarlo a domani. Non saranno mai missionari o missionarie quanti non ardono di questo fuoco divino!

Il nostro impegno apostolico, inoltre, deve essere completato, perfezionato dalla scienza. […] È necessario sapere e quindi studiare; bisogna fin d’ora procurarsi la scienza necessaria, non aspettare la scienza infusa. Un parroco mi scriveva: "C’è qui un chierico che non ha una buona testa, ma per un missionario basta". Niente affatto! Per un missionario non basta; se lo tenga pure. In missione ci vuole anche scienza.

Un vero apostolo è, infine, reso stabile dalla pazienza e dalla costanza. Costanza, senza scoraggiarsi quando i risultati sono scarsi. S. Bernardo afferma che "Dio pretende da te la cura, non la guarigione", cioè aspetta l’evangelizzazione, non la conversione delle persone, che è compito suo. Voi siate desiderosi di fare del bene e sospirate il giorno in cui potrete farlo. Sì, desiderare e sospirare il giorno in cui vi sarà dato di partire per le missioni, purché ciò sia finalizzato all’evangelizzazione. C’è posto e lavoro per tutti, state tranquilli! Coraggio, dunque! Il Signore ha sete di anime e sta a voi dissetarlo. Egli vuole che tutti giungano alla conoscenza della verità e si salvino, ma vuole che vi giungano per mezzo vostro…

Sì: forse, qua e là, traspare una certa enfasi attivistica, come se le opere contemplative non fossero altrettanto meritorie, e forse anche più, dell’opera missionaria in senso stretto; come se si evangelizzasse solo con la missione, e non anche con l’esempio e lo stile di vita cristiano, magari fra le mura di un convento. La preghiera è la base di tutto e, senza la preghiera, che è la sorgente inesausta della carità, non si può neanche operare efficacemente. "Evangelizzare", infatti, lo si può fare in due maniere: annunciando il Vangelo a chi non lo conosce, oppure testimoniandolo, anche silenziosamente, anche con la sola contemplazione, a chi lo conosce, ma lo disprezza, o lo trascura, o lo sottovaluta.

Oggi c’è bisogno di entrambe le cose: la prima, rivolta, per così dire, all’esterno, sotto forma di apostolato missionario; la seconda, rivolta all’interno, nella nostra stessa società, nei luoghi di lavoro, nelle strade, e perfino – anzi, soprattutto – nelle chiese e nei conventi: perché la più efficace evangelizzazione è quella che spira da un sacerdote o da un religioso che tende alla santità. Egli opera come una calamita, attira le anime senza bisogno di andarle materialmente a cercare. Occorre ricordare che san Pio da Pietrelcina operò innumerevoli conversioni – conversioni autentiche, radicali mutamenti nello stile di vita dei suoi figli spirituali – senza mai muoversi dalle mura del suo convento? Andò a Napoli una sola volta, per una visita medica, da giovane; e a Roma un’altra volta, sempre da giovane, per accompagnare la sorella che voleva entrare in convento; poi, a parte il servizio militare – prima del Concordato del 1929 i sacerdoti e i frati non ne  erano esentati – non si mosse mai dal suo piccolo mondo di san Giovanni Rotondo. Eppure, le anime venivano a lui da ogni parte della terra! E, da pare sua, talvolta era lui che si recava da esse, ma in spirito, come quando apparve a una suora dell’Uruguay, malata terminale, per annunciarle la prossima guarigione, che infatti avvenne, inspiegabilmente, miracolosamente: pur non essendosi mai mosso, con il corpo, dal suo convento sul Gargano. Queste cose fanno i santi; e ne fanno anche di maggiori. Santa Maria de Agreda, una suora spagnola delle concezioniste francescane (ora in via di beatificazione) nel XVII secolo apparve agli indigeni del Nord America, in quello che oggi è il Texas, annunciò loro il Vangelo, insegnò loro a costruire e adorare la croce: e quando, molto più tardi, i primi missionari francescani si affacciarono in quelle regioni, sino allora sconosciute e inesplorate, ebbero l’immensa sorpresa di trovarle già pronte ed ansiose di essere battezzate. Dalle loro descrizioni, risultò che ad annunciare loro il Vangelo era stata proprio una suora bianca: ed essi non ne avevano mai vista una in vita loro, non sapevano chi fossero, né  quale abito indossassero: per cui non è possibile alcun dubbio circa il fatto che Maria de Agreda si recò, in spirito, al di là dell’Atlantico, e apparve a quei popoli ancora pagani. 

L’idea che per convertire le anime sia indispensabile recarsi presso di loro è figlia di un attivismo esasperato, che, in ultima analisi, denota scarsa fiducia nella potenza di Dio. Il beato Allamano non è caduto in tale eccesso, ma forse vi sono caduti alcuni missionari e alcuni preti, specialmente nel XX secolo, per non parlare di alcuni teologi, specie negli anni attorno e dopo il ConcilioVaticano II. La figura del prete operaio, per esempio, che tanto piacque al cardinale di Parigi, Emmanuel Suhard, forse partiva da una sopravvalutazione dell’opera umana in rapporto a quella divina. Come dice giustamente Allamano, è Dio che converte, non l’uomo; all’uomo si chiede solo di collaborare nell’evangelizzazione. Ora, per evangelizzare può essere utile recarsi presso coloro ai quali si vuole portare il Vangelo; tuttavia, se si tratta di comunità che già conoscono il Vangelo, formate da persone che, probabilmente, hanno ricevuto una formazione cattolica, anche se poi si sono allontanate dalla religione, non è poi cosa indispensabile recarsi materialmente presso di loro. Ripetiamo: san Pio da Pietrelcina non aveva bisogno di recarsi presso le anime: nondimeno, c’era sempre la fila davanti al suo confessionale, ed egli vi trascorreva dalle dodici alle sedici ore quotidiane, prodigandosi indefessamente per la loro santificazione. Spesso le riconosceva a prima vista, pur non avendole mai viste prima: le riconosceva con gli occhi dell’anima, le esortava, le supplicava, magari le rimproverava severamente, e le spingeva così alla conversione. Talvolta sapeva già i loro peccati, prima ancora che aprissero bocca: il suo compito era quello di accompagnare e favorire la conversione, non di provocarla.

La conversione è opera di Dio, non dell’uomo. Se il cristiano si sforza di condurre una vita coerente con il Vangelo, egli è già un testimone autorevole e potrà accadere che siano gli altri a cercarlo: non bisogna pensare che egli debba per forza recarsi di casa in casa, come fanno i testimoni di Geova, con la loro valigetta e la loro aria professionale. E neanche bisogna pensare che, per annunciare il Vangelo agli operai, bisogna per forza che il prete si faccia operaio lui pure: sarebbe come dire che, per annunciare il Vangelo ai pescatori, il prete deve farsi mozzo a bordo di un battello da pesca; ma i pescatori hanno ancor meno tempo dell’operaio da dedicare al Signore, eppure, se hanno fede, lo trovano; se l’operaio non trova il tempo per recarsi alla Messa, ascoltare la parola del Signore ed accostarsi alla santa Comunione, forse non dipende dal fatto che, in fabbrica, non c’è ogni giorno un prete, che lavora con lui alla catena di montaggio, ma dal fatto che il suo spirito si è allontanato inesorabilmente dal Vangelo, a causa di tutto un certo modo di intendere la vita e di viverla praticamente. In tal caso, è possibile che la fama di santità di un umile cappuccino, che non esce mai dalle mura del convento, possa operare una forza di attrazione più forte di quella di un prete operaio il quale, per volersi fare simile agli altri operai, perda ciò che è specifico della sua missione: la spiritualità. Un prete senza spiritualità non convince nessuno, e non può fare da tramite ad alcuna conversione: perché è vero che Dio converte, ma con la collaborazione degli uomini, e gli uomini sono in gado di collaborare solo se la loro vita, fatta di preghiera e di imitazione di Cristo, diventa un tempio vivente della spiritualità cristiana.

Non bisogna scambiare le cause per gli effetti, né viceversa. La crisi delle vocazioni, in Italia e in Europa, è l’effetto di una crisi della spiritualità; e il rimedio, se è ancora possibile, va cercato in un nuovo bagno di spiritualità, non in un aumento dell’attivismo apostolico, inteso in senso esteriore e quantitativo. Il lavoro più prezioso è quello che non si vede: che non si vede subito. Il seme ha bisogno di tempo per germogliare e dare vita ad una nuova pianta: sul momento, sembra che sia morto nelle misteriose profondità della terra. Per questo Giuseppe Allamano raccomanda la pazienza e la costanza, ed esorta i "suoi" missionari e le "sue" missionarie a non perdersi d’animo, qualora i risultati apparenti della loro opera dovessero apparire scarsi. C’è voluta molta più perseveranza  e molto più sangue di martiri per predicare il Vangelo nell’antico Giappone, dove le conversioni furono scarsissime, che non per battezzare decine di migliaia di persone in altre terre. Ma Dio non giudica secondo le apparenze, né secondo la quantità. Egli ha i suoi disegni, ha le sue strade, che non sono le nostre, e che, talvolta, noi non arriviamo a capire. Dovremmo ricordare sempre di essere solo operai del Signore, non degli strateghi o dei generali in campo, magari altrettanti piccoli Napoleone.

Strana contraddizione. Da un lato gli uomini moderni, e anche i cristiani moderni, provano una specie d’imbarazzo, quasi di vergogna, ad annunciare la Verità: temono di apparire superbi, di essere giudicati dei fanatici; quindi, mettono il silenziatore al loro entusiasmo, si mortificano, si nascondono – e lasciano che ad annunciare le loro, meschine e deliranti "verità", siano i più indegni, i più folli, i più sanguinari fra tutti gli uomini. Ci sono dei teologi i quali, in omaggio al dialogo con le altre religioni e all’ecumenismo, pensano di non dover più annunciare il Vangelo "a casa d’altri", come se la casa del Vangelo non fosse l’universo intero; e, nello stesso tempo, vi sono dei cattolici, dei sacerdoti, dei vescovi, che si agitano continuamente, corrono di qua e di là, tengono conferenze, promuovono iniziative sociali d’ogni tipo. Sono tutte cose buone, intendiamoci, ma, forse, non condotte con lo spirito giusto, cioè con la necessaria umiltà e con la fondamentale consapevolezza che il vero ed unico artefice delle conversioni è Dio; e che a nulla giova creare scuole, ospedali, avere dei bambini ben nutriti e ben vestiti, e dei lavoratori garantiti di tutti i diritti sociali e previdenziali, se la fede si perde, se Dio scompare, se la vita dell’anima si rattrappisce e si immiserisce.

Lo scopo di ogni cosa, sia per Dio che per gli uomini, è la salvezza delle anime: questo bisogna ricordare sempre. Non c’è servo superiore al padrone, insegnava Gesù: e lo ribadì anche durante l’Ultima Cena. Ora, Gesù operava proprio in questo modo: predicava il Vangelo, guariva gli infermi, liberava gli indemoniati, confortava i derelitti: ma, più di tutto, si preoccupava della salvezza delle anime. Si paragonava al buon pastore che ha cura di tutte le sue pecorelle, che va a cercare quella che si è smarrita e che è pronto a dare la vita per esse. Ora, questi tali cattolici progressisti, operaisti e super-attivisti (ma anche relativisti e un po’ scettici sul nodo centrale della Verità), pensano forse di essere superiori a Gesù Cristo, Nostro Signore incarnato e nostro divino Redentore?

Fonte dell'immagine in evidenza: Immagine di pubblico dominio (Raffaello)

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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