
Ma non è la voce del buon pastore
23 Novembre 2016
Che fine ha fatto l’evangelizzazione?
24 Novembre 2016Perché i cattolici moderni negano la realtà del diavolo, la realtà del giudizio, la realtà dell’inferno, o, se pure non la negano apertamente, hanno smesso quasi del tutto di parlarne, come se in cuor loro ne dubitassero o come se sperassero che, non parlandone, tali tremende realtà scomparissero dall’orizzonte, come per un colpo di magia? Che la neghino, o che non vi credano, gli atei, è cosa fin tropo naturale; ma i credenti? Anzi, siamo arrivati a questo paradosso: che alcuni atei, i più intelligenti, i più pensosi, i più onesti, pur non credendo nell’amore di Dio, credono, nondimeno, o almeno presuppongono, la realtà dell’inferno, come privazione radicale del bene e dell’amore; mentre proprio i cattolici, ossia coloro che più di tutti dovrebbero parlare di queste cose, e non limitarsi a credervi, ma meditarle intensamente, fanno orecchi da mercante quando s’imbattono in qualche passo della Bibbia che le ricorda in maniera assai esplicita.
Incredibile, ma vero: i cosiddetti credenti non vogliono più sentir nominare il diavolo, né l’inferno; non amano neppur sentir parlare del peccato, o, se proprio è necessario, lo ascoltano malvolentieri, con impazienza, con disagio, con la fretta di passare oltre e scordare quelle cose sgradevoli; mentre taluni non credenti prendono molto sul serio il problema del male e la possibilità che esista una condizione di privazione totale e definitiva del bene. Si rilegga con attenzione lo Zarathustra di Nietzsche, per esempio, e si vedrà che egli non è poi così lontano da Dio e dalla realtà del bene e del male, come certi suoi goffi e puerili discepoli amano credere. Oppure si prenda il personaggio di Ivan Karamazov, il gelido filosofo della negazione di Dio e della morale assoluta: si rilegga la sua Leggenda del grande inquisitore, e si vedrà che egli considera il mistero della grazia, della caduta e della redenzione, con una serietà infinitamente superiore a quella di tanti cosiddetti credenti. Qualche ragione ci sarà; ma quale?
In primo luogo, secondo noi, quel misto di edonismo e di sfrontatezza pseudo-democratica, tipici entrambi dell’uomo-massa della società moderna, per cui non solo è divenuta cosa ovvia cercare innanzitutto il massimo piacere o il massimo profitto per se stessi, a scapito di chiunque si trovi a frapporvi un ostacolo, anche solo involontariamente o accidentalmente, ma è cosa altrettanto ovvia che ciò non costituisca alcun motivo, non diciamo di vergogna, ma neppure d’imbarazzo, anzi, semmai qualcosa di cui vantarsi, e, in ogni caso, qualcosa che merita di essere avallata dalla morale corrente e dalle stesse istituzioni pubbliche: giacché, nella società moderna, sono le leggi che devono adeguarsi ai fatti, e non viceversa. In altre parole: se tutti fanno in un certo modo, la morale corrente deve prenderne atto, e così le istituzioni: il che significa che quei comportamenti diventano automaticamente leciti, senza bisogno di alcuna spiegazione.
In secondo luogo, nella società moderna è stato bandito il senso del peccato, perché retaggio di quel passato religioso che si è voluto abolire; ma il senso del male compiuto, cacciato dalla porta, è rientrato dalla finestra, sotto forma di senso di colpa. Ora, il senso del peccato ha una radice precisa e un referente preciso: Dio, al quale si è recata offesa; per cui è possibile rimuoverlo, mediante il pentimento, la confessione e la riconciliazione con Lui, e, naturalmente, mediante la riparazione o espiazione. Il senso di colpa, invece, è vago, indeterminato, e tuttavia bruciante, ossessionante: non ha una radice precisa, non ha un referente, ma si ripiega su colui che lo prova e avvelena le sorgenti stesse della voglia di vivere: per cui chi è lacerato dal senso di colpa scivola inesorabilmente verso la depressione, la disistima di sé e il disprezzo della vita. Anche da questo si può facilmente comprendere quanto dannoso sia stato, per l’equilibrio spirituale delle persone, l’aver sostituito il lettino dello psicanalista al confessionale, e l’auto-analisi all’esame di coscienza. Ma di questo, che spalanca ulteriori prospettive e sollecita ulteriori riflessioni e approfondimenti, avremo occasione di riparlare a suo tempo e luogo.
La terza ragione di ripugnanza a parlare del diavolo e dell’inferno, ossia dell’eterna dannazione, riguarda più da vicino i cattolici. Le persone, nella società moderna, tendono a costruirsi una morale che rifletta il loro modo di viver, anziché darsi una morale che indirizzi il loro stile di vita: e ciò vale anche per i credenti, i quali hanno finito per introiettare, in larga misura, le stesse dinamiche psicologiche che hanno attraversato gli spazi del mondo "profano". Di conseguenza, i cattolici moderni, che si sentono più evoluti, più maturi, e anche, tutto sommato, più intelligenti e consapevoli dei loro predecessori, i quali per troppo tempo si sono fidati del principio di autorità, non arrivano a capire, più o meno sinceramente, perché mai Dio, dopo le molte tribolazioni esistenti nella vita terrena, dovrebbe tendere agli uomini il trabocchetto finale, vagamente sadico, di una pena eterna. Per come la vedono loro, l’inferno è già qui in terra, e un suo "doppione" ultraterreno, per giunta eterno, sorpassa i limiti della loro capacità d’immaginazione delle cose peggiori. Lo rifiutano perché lo sentono come una assurdità e una "ingiustizia": ma come, essi dicono, si soffre già tanto quaggiù, e Dio, invece di premiarci, dovrebbe infliggerci poi una ulteriore, e ancor più grave punizione? Evidentemente, essi neppure si accorgono di aver fatto propria, al cento per cento, la visione della vita delle filosofie materialiste: neanche si accorgono che porre in questi termini la questione, significa, da un lato, disconoscere la bellezza della vita terrena e il dono prezioso del libero arbitrio, dall’altro porsi in un atteggiamento perennemente vittimistico e piagnone, come se Dio fisse in debito verso di noi e ci dovesse un risarcir cimento per tutte le cose brutte che già abbiamo dovuto sopportare quaggiù. Somma ingratitudine e sommo stravolgimento del reale: invece di ringraziare Dio per la magnificenza dei doni di cui ci ha colmati, da quello dell’esistenza a quello della libertà morale, non sappiamo fare altro che vederci come degli ostaggi in un campo di concentramento, i quali attendono pazientemente, anzi, pretendono di essere liberati, e rifiutano di ammettere che qualche prigioniero abbia davvero meritato un castigo e si sia realmente dimostrato indegno del dono infinitamente prezioso della libertà.
Illuminanti, a questo proposito, ci sembrano le riflessioni svolte a suo tempo dall’arcivescovo americano Fulton John Sheen, scrittore brillante e famoso predicatore (da: F. J. Sheen, Vi presento la religione; titolo originale: A Preface to Religion, 1950; traduzione dall’inglese di Antonio Cojazzi, Torino, Borla Editore, 1952, pp. 133-136):
PERCHÉ I MODERNI NEGANO L’INFERNO?
Perché i moderni negano il peccato. Se negate la colpevolezza umana, voi dovete negare anche il diritto d’uno stato a giudicare un criminale, e inoltre il dirotto di condannarlo alla prigione. Una volta che voi negate la sovranità della legge, dovete necessariamente negare la punizione. Una volta negata la sovranità di Dio, si deve negare anche l’inferno. […]
La ragione basilare per la quale i moderni non credono nell’inferno consiste nel fatto che essi realmente non credono nella libertà del volere e nella responsabilità. Credere nell’inferno è affermare che non sono indifferenti le conseguenze delle buone e delle cattive azioni. […] È tanto difficile costruire una nazione libera, senza giudici e senza prigioni, quanto è difficile costruire un mondo libero, senza giudizio e senza inferno.
Uno stato non può esistere sulla base di un cristianesimo liberale che nega il contenuto di quelle parole che dirà Cristo ne giudizio finale: "Via da me, voi maledetti, nel fuoco eterno, che fu preparato per il demonio e i suoi seguaci" (S. Matteo, 25, 41). […]
I moderni negano l’inferno anche perché hanno timore della propria coscienza. Avete mai osservato che i santi temono l’inferno; ma non lo negano mai; mente i grandi peccatori negano l’inferno; ma non lo temono mai?
I moderni si costruiscono un credo secondo il modo con cui vivono; piuttosto che costruirsi un modo secondo cui vivere. Il demonio non è mai tanto forte come quando riesce a indurre i materialisti e gli scettici a dipingerlo con le vesti rosse, una coda attorcigliata e un lungo forcone in mano, è come se avesse fatto dimenticare per sempre la verità profonda e tremenda che egli è un angelo decaduto.
I moderni che non vivono in accordo con la propria coscienza, hanno bisogno d’una religione che abbia questi caratteri: una religione senza croce, un Cristo senza Calvario, un regno senza giustizia, una comunità con un "gentile ecclesiastico che non nomina mai l’inferno, per non urtare le orecchie delicate".
Coloro che dicono di essere Cristiani, o che limitano il cristianesimo al discorso del monte, sono invitati a non dimenticare che Nostro Signore chiude quel discorso, che occupa i capi quinto, sesto e settimo del vangelo di Matteo, con queste parole: "Ogni albero che non fa buon frutto, è tagliato e gettato nel fuoco. Voi li conoscerete dunque dai frutti. Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli; ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. Molti mi diranno nel giorno del giudizio: Signore, Signore, non abbiamo noi profetato in nome tuo e in nome tuo non abbiamo cacciato i demoni, e fatto in nome tuo molte opere potenti? E io allora dirò loro apertamente: Io non vi conobbi mai. Andatevene da me, voi tutti operatori d’iniquità" (7, 19-23).
Nel vangelo di San Marco poi si legge: "Se la tua mano ti fa cadere in peccato, mozzala; è meglio per te entrare monco nella vita, che avere due mani e andare nella Geenna, dove il verme (del rimorso) non muore e il fuoco non si spegne. E se il tuo piede ti fa cadere in peccato, mozzalo. È meglio per te entrare zoppo nella vita che avere due piedi ed essere gettato nella Geenna. E se il tuo occhio ti fa cadere in peccato, cavatelo. È meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, che averne due ed essere gettato nella Geenna, dove il verme non muore e il fuoco non i estingue" (9, 42-48). […]
In ultima analisi, le anime vanno all’inferno per questa unica ragione: perché si rifiutano di amare. Se le anime vanno all’inferno perché trasgrediscono i comandamenti di Dio, in qual modo esse si rifiutano di amare? Dio non proibisce la menzogna, l’assassinio, l’impurità, l’adulterio per divertire se stesso. Questi non sono comandamenti arbitrari. Egli proibisce queste azioni, perché esse fan del male a noi: perché esse sono un segno del nostro anti-amore. […]
Come il Paradiso è l’eterna benedizione guadagnata da chi s’è spogliato del proprio egoismo e s’è rivestito di amore, così l’inferno è l’eterna maledizione, guadagnata da chi s’è fatto pienamente auto-centrista e detestabile. IL PARADISO È COMUNITÀ; L’INFERNO È SOLITUDINE.
Ha perfettamente ragione questo Autore: gran parte delle idee sbagliate e fuorvianti sul problema che abbiamo qui posto derivano dal fatto che le persone, e ormai anche i credenti, la cui cultura religiosa si è paurosamente impoverita nell’ultimo mezzo secolo, pensano all’inferno come a un "luogo", o a una condizione, in cui le anime verranno precipitate dal giudizio di Dio. Ma queste sono solo immagini simboliche, di cui si è servito anche Gesù, le quali, però, non vanno prese alla lettera. L’inferno è l’assenza di amore, e, pertanto, non corrisponde a un castigo pensato e voluto da Dio per gli uomini; Egli ha di meglio da fare che pensare e volere la nostra dannazione. Al contrario, l’inferno è il risultato inevitabile del nostro egoismo, delle nostre scelte sbagliate e irresponsabili, del nostro rifiuto davanti al suo invito: che è l’invito ad amare, ad amare sempre, e, nello stesso tempo, a lasciarsi amare da Lui, interamente e incondizionatamente.
Dio non desidera che neppure un solo essere umano si perda: l’Incarnazione ha questo significato sublime: l’amore di Dio per gli uomini è così grande, da aver voluto assumere su di sé il peso della carne e la croce della sofferenza, sino a bere la feccia del calice della passione, fino alla morte più dolorosa e vergognosa di tutte. Dio ci invita a non preoccuparci eccessivamente per la nostra sicurezza fisica, ma a pensare alla salvezza dell’anima: Sarete traditi dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e metteranno a morte alcuni di voi; sarete odiati da tutti per causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo perirà. Con la vostra perseveranza salverete le vostre anime (Luca, 21, 16-19).
La quarta e ultima ragione della negazione dell’inferno è la riluttanza dell’uomo moderno, e anche del credente, a riconoscere la sovranità di Dio sul mondo e sulle anime. L’uomo moderno si sente autonomo, vorrebbe la piena signoria di sé: siamo in democrazia, no? A questo punto, come ammettere che Dio sia il re dell’universo? Molto meglio negarlo, oppure, tutt’al più, riconoscergli qualche funzione più modesta e puramente rappresentativa: quella di Presidente della Repubblica, per esempio; oppure, meglio ancora, quella di Presidente emerito…
Fonte dell'immagine in evidenza: RAI