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La società secolarizzata porta necessariamente al relativismo, e da lì al nichilismo

Viviamo immersi in una cultura di morte, che è la cultura del nichilismo: niente è per la verità, niente ha un significato, tutto viene dal caso e ritorna nel seno del nulla. La verità è inconoscibile e l’esistenza di ciascuna cosa è semplicemente priva di senso.

Per giungere a questa terribile filosofia, che sarebbe già grave per il singolo individuo, mentre è assolutamente distruttiva per una intera società, non è sufficiente un limitato volger di tempo: è un processo graduale, che procede un poco alla volta, lentamente, silenziosamente, quasi dolcemente, in una atmosfera di tranquilla disperazione, satura di morte, ma, nello stesso tempo, di apparente normalità, di sobria quotidianità. Il nichilista aborre i gesti clamorosi e le frasi melodrammatiche: porta in cuore una fredda disperazione, e gode nel vedere che il suo male si attacca anche agli altri, così potrà consolarsi all’idea che il mondo perirà insieme a lui.

Se il nichilismo è lo stadio finale della dissoluzione del pensiero e dell’etica, perché annulla totalmente anche la distinzione fra il bene e il male (in un mondo insensato, non c’è altro che il caso), l’anticamera del nichilismo è il relativismo: una concezione apparentemente più accettabile, o, per lo meno, più moderata, meno dirompente; in effetti, però, è chiaro che dal relativismo si passa inevitabilmente al nichilismo, si scivola in esso come lungo un piano inclinato. Però, mentre un residuo di pudore fa sì che raramente la cultura nichilista arrivi a gloriarsi di se stessa, quella relativista si compiace della sua apparente tolleranza e della sua conclamata capacità di ascoltare e rispettare tutte le opinioni, solo che non ritiene di poterne preferire alcuna, anzi, è persuasa che l’accordare la preferenza ad una opinione, ad una credenza, ad un sistema di valori, equivalga ad un intollerabile atto di arroganza intellettuale. Il che significa predisporre l’approdo necessario verso il nichilismo.

Per il relativista, infatti, non esiste alcuna verità assoluta; tutte le verità sono relative, dipendono dalle circostanze e dal soggetto: di conseguenza, tutte le scelte e tutte le opinioni meritano un certo rispetto, almeno fino a quando non pretendono di trasformarsi in qualcosa di certo e di definitivo. In pratica, il relativista ha di fronte a sé tre possibili opzioni: o sostenere che tutte le verità sono accettabili, ognuna nel suo contesto e nelle sue particolari condizioni; o negare addirittura che la verità esista, o che sia conoscibile, giungendo, così, alle stesse conclusioni del nichilista; oppure, ancora, ritenere che della verità si può avere una conoscenza, ma solo parziale, solo condizionata: e, dunque, che si può aderirvi in parte, ma non del tutto, cioè solo fino a quando permangono le condizioni per ritenere che essa meriti un certo grado di attendibilità e di ragionevolezza. Vale la pena di osservare che, di queste tre possibilità, la prima è la più coerente, date le premesse; la seconda è la più onesta, nel senso che è la meno ambigua; la terza, che potrebbe sembrare come la sola capace di mantenere uno spiraglio aperto sulla questione della verità, e, quindi, rappresentare un ponte per uscire dallo scetticismo verso la fede in qualcosa, è, in realtà, la più furbesca e la meno onesta di tutte: perché consente di imbrogliare continuamente le carte del mazzo e di capovolgere lo stato delle cose, senza nemmeno imporre il fastidio di fornire una spiegazione o di motivare le ragioni del capovolgimento.

La cultura moderna è giunta al nichilismo attraverso lo scetticismo ed il relativismo, cioè attraverso l’inferno delle buone intenzioni — eliminare il fanatismo, instaurare il pluralismo e la tolleranza, come pretendevano i philosophes illuministi — con un notevole grado di coerenza, tanto da far pensare che la marcia verso la distruzione dell’idea di verità sia stata orchestrata e premeditata, addirittura pianificata, da qualcuno che aveva l’interesse a far crollare le basi morali sulle quali si reggeva, da secoli, l’edificio della civiltà europea. Vien fatto di pensare alla Massoneria e ad altre società segrete, le quali, dal secolo XVIII, non hanno mai smesso di agire nell’ombra, pur cambiando sovente nome e vernice, ma restando, nella sostanza, fedeli all’idea originaria: distruggere la civiltà europea, gettare la società nel disordine, sradicare totalmente ogni residuo della spiritualità e dell’etica cristiane. Oggi quei gruppi di potere sono arrivati a mettere le mani sull’alta finanza internazionale, e, con la forza schiacciante del denaro, perseguono le battute finali del loro tenebroso disegno, la cui realizzazione completa è ormai giunta a un buon punto. Ancora qualche colpo di piccone, e poi tutto l’edificio precipiterà nella polvere, trascinando nella rovina ogni cosa e, probabilmente, segnando la fine di ogni possibile ripresa.

Prima di giungere a tanto, è importante capire come siamo arrivati a questo punto. La strategia della distruzione è stata perseguita sviluppando un attacco concentrico ala religione cristiana. Per gradi, facendo leva sulla ragione libera e spregiudicata, si è staccata la religione da ogni ramo del sapere e dell’azione umana: prima dalla politica (Machiavelli), poi dalla scienza (Galilei), indi dall’uomo come corpo e come psiche (Darwin, Freud), infine dall’orizzonte di senso in quanto tale, da qualunque punto di vista considerato: si vedano le avanguardie novecentesche, il pirandellismo, l’esistenzialismo, Heidegger, Sartre, Marcuse, Reich, la cultura psichedelica, l’edonismo radicale, il libertinismo, il femminismo, il neopaganesimo, il satanismo, l’omosessualismo, la libertà di aborto, di droga, l’eutanasia, la clonazione, e la manipolazione genetica.

L’attacco al cristianesimo è stato condotto con una certa abilità e dissimulando, almeno nelle prime fasi, il suo scopo finale: assumendo le forme del dispotismo illuminato e del giurisdizionalismo, ad esempio, in particolare del giuseppinismo, è stato presentato come un’azione mirante a razionalizzare il rapporto fra società laica e religione, nel rispetto reciproco e fingendo che la religione non fosse odiata in sé, ma solo combattuta nei suoi "eccessi" e nelle sue pretese illegittime, in fondo per il suo stesso bene. Di quando in quando, i nemici del cristianesimo si son fatti prendere la mano e hanno gettato la maschera della moderazione e della ragionevolezza, in particolare durante la fase giacobina della Rivoluzione francese, quando hanno tentato non solo di liquidare il cristianesimo una volta per tutte, ma di cancellarne anche il ricordo, fra l’altro abolendo il calendario cristiano e riformando completamente la settimana, i mesi, il computo degli anni e le festività pubbliche, così da azzerare la memoria del passato. Anche nell’Unione Sovietica si è seguita la strada dell’attacco frontale e della demolizione sistematica. Gli inconvenienti legati a questa strategia troppo esplicita, e i relativi insuccessi, hanno insegnato qualcosa agli strateghi del nichilismo: che era possibile giungere allo stesso risultato, cioè la distruzione del cristianesimo, infiltrando la Chiesa cattolica con i propri agenti provocatori e scardinando dall’interno la liturgia, la pastorale, la stessa teologia, un poco alla volta, con prudenza, ma anche con decisione, fino a trascinare tutta la Chiesa verso l’apostasia e gettare i credenti nella confusione più completa, in modo da privarli di ogni sicuro punto di riferimento.

Scrivono in proposito Gianmario Marinoni e Claudio Cassinotti (in La domanda dell’uomo, Torino, Marietti Editore, 2007, pp. 346-347):

Il processo di secolarizzazione — che è diventato poi distanziamento e infine contrapposizione alla fede e alla religione (secolarismo) – viene fatto risalire al periodo dell’urbanizzazione e dell’industrializzazione (XIX secolo). L’infatuazione e l’ottimismo prodotto dalle nuove scoperte scientifiche, ai ritrovati della tecnologia e dall’industrializzazione stessa contribuirono a considerare l’uomo solo in una dimensione terrena e operativa (utilitaristica), facendo dimenticare aspetti profondi quali la spiritualità, i valori morali, l’esistenza di Dio, Anche la migrazione di molte famiglie dall’ambiente rurale verso la città (inurbamento) favorì un progressivo distaccamento da costumi, tradizioni, comportamenti religiosi assestati e condivisi socialmente.

La religione assolveva ad alcune funzioni d’altra parte evidenti: si proponeva come la spiegazione del senso profondo dell’esistenza dell’uomo e del mondo; affermava l’esistenza di Dio come la possibilità di ritrovare il giusto orizzonte per valutare la realtà; proponeva e confermava, con l’autorità morale di cui godeva la Chiesa, criteri di valutazione etica dei comportamenti; si definiva come la via di salvezza per l’uomo. Ma essa assolveva anche ad alcune funzioni più riposte e latenti: offriva rassicurazione psicologica all’angoscia esistenziale umana, manteneva la coesione della comunità sociale attraverso la standardizzazione di modelli culturali e comportamentali, era ragione di ordine pubblico ed esercitava un controllo sociale, serviva per definire il senso dell’autentico benessere e della stessa identità dell’uomo; collocava l’uomo e il creato in uno spazio cosmico e in un progetto divino che proponeva le coordinate indispensabili per permettere una definizione metafisica dell’identità dell’uomo.

In un contesto secolarizzato, invece, la religione non può più assolvere alle finalità che erano tipiche di epoche passate.

Il processo di secolarizzazione ha avuto fori ripercussioni non solo nella concezione divina del mondo, ma anche sulla religione in sé. Innanzitutto ne è derivato un rifiuto di Dio, non tanto per una riflessione conoscitiva approfondita, quanto pe la constatazione pratica che io non è più necessario, o almeno è estraneo alle vicende umane: l’uomo deve vivere "come se Dio non esistesse" ("etsi Deus non daretur") Anche gli eventi della Seconda guerra mondiale hanno accresciuto il rifiuto di Dio. Davanti all’immane tragedia di quel conflitto, l’uomo contemporaneo ha avvertito non solo il peso di un numero enorme di morti, ma soprattutto un forte senso di disorientamento. L’ideologia nazista, quella stalinista, i campi di concentramento, l’odio razziale, la ricerca di un potere totale sul mondo, i genocidi sono stati esperienze drammatiche per la storia dell’umanità,hanno aggravato in molti l’interrogativo su Dio e hanno indotto la convinzione che ormai i valori assoluti non fossero più tali. L’esperienza del silenzio di Dio di fronte a crimini di tale portata ha gettato l’uomo contemporaneo nell’incertezza. Ma: "Smarrendo il senso di Dio, si tende a smarrire anche il senso dell’uomo, della sua dignità, della sua vita…" (Giovanni Paolo II, "Evangelium Vitae", n. 21); cf. anche n. 22).

Ne risulta che la società contemporanea è carente di riferimenti morali generalmente condivisi. Si realizza così un’anomia, un vuoto di norme nei comportamenti che denota una mancanza di consenso sui valori: questi non sono più gli stessi per tutti. La crisi contemporanea è dunque anche una crisi di natura etica: non ci sono più un bene e un male, ma c’è quello che io ritengo bene e quello che io ritengo male.

Questi connotati sono incompatibili con una morale di tipo religioso, cioè con una visione del proprio impegno alla luce e sotto la guida di Dio. Molti non negano l’esistenza di Dio e le ragioni della fede, ma le distanziano dal proprio vissuto personale (e sociale) negando loro una valenza morale. Dio esiste (anche, forse) ma non decide di me e delle mie azioni perché sono io che oriento autonomamente la mia vita.

Il rifiuto del cristianesimo è dunque inevitabile, fatto salvo che poi si ricorra a nuove forme di religiosità.

"La piccola barca del pensiero di molti cristiani è stata non di radi agitata da queste onde — gettata da un estremo all’altro: dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo, dal collettivismo all’individualismo radicale; dall’ateismo ad un vago misticismo religioso; dall’agnosticismo al sincretismo e così via. Ogni giorno nascono nuove sette e si realizza quanto dice san paolo sull’inganno degli uomini, sull’astuzia che tende a trarre nell’errore (cf. Ef 4, 14). Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, v iene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare "qua e là da qualsiasi vento di dottrina", appare come l’unico atteggiamento al’altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie" (J. Ratzinger, Omelia Missa Pro eligendo pontifice, Basilica di San Pietro a Roma, 18 aprile 2005).

I signori del nichilismo, così, sono giunti vicinissimi al traguardo, lo sradicamento del cristianesimo e la distruzione della civiltà europea. Ma non hanno considerato una cosa: che, anche demolendo tutti i punti di riferimento umani, al cristiano resta pur sempre l’essenziale: il Vangelo e la Grazia…

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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