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La sicurezza d’Israele, per Angela Merkel, è parte integrante della ragion di Stato tedesca

È possibile che la sicurezza di uno Stato costituisca una parte integrante della ragion di Stato, o, come si potrebbe meglio dire, rappresenti gli interessi vitali di un’altra nazione, la quale sia indipendente e sovrana?

Detta così, la domanda ha un suono a dir poco strano. Sembra che si stia parlando non di politica, ma di un matrimonio d’amore: Sarete una carne sola, nella buona e nella cattiva sorte, fin che morte non vi separi. Somiglia, cioè, ad una cambiale in bianco; ma nessuna nazione indipendente e sovrana è disposta a firmare cambiali in bianco di questo genere, a meno che abbia i suoi particolari scopi. Tale, ad esempio, fu il caso della Gran Bretagna (assai meno della Francia) allorché, nel 1939, accordò una cambiale in bianco al governo polacco; e poi, quando quest’ultimo rifiutò un accomodamento con la Germania, scese in guerra al suo fianco, non appena le truppe tedesche ne invasero il territorio, il 1° settembre. Ma il governo inglese aveva i suoi scopi, appunto: cogliere la prima occasione per saldare i conti con Hitler. Se il pretesto non fosse venuto dalla Polonia, sarebbe venuto dalla Romania; e, se non fosse venuto neanche dalla Romania, sarebbe venuto dalla Jugoslavia (magari attaccando l’Italia, alleata della Germania). Alla Gran Bretagna non premeva difendere la Polonia — che, difatti, venne abbandonata, sia allora, nel 1939, in pasto a Hitler, sia sei anni dopo, nel 1945, in pasto a Stalin; alla Gran Bretagna premeva sbarrare la strada all’ascesa industriale, finanziaria, militare e navale tedesca, prima che fosse troppo tardi.

Ora, la domanda è: alla Germania del terzo millennio, interessa così tanto lo Stato di Israele, da considerare la sua sicurezza come un elemento primario ed essenziale della propria politica estera? E, se sì, come mai? In che cosa la sicurezza di Israele appare indispensabile per preservare gli interessi vitali della Germania? Evidentemente, non si tratta di fattori politici in senso stretto, né strategici, né economici, ma piuttosto di un fattore morale. Ciò potrebbe essere molto nobile, quantunque assai azzardato: nessuno Stato considera vitale, per la propria esistenza, un fattore morale che riguardi un altro Stato; una cosa del genere non si è masi vista, letteralmente, lungo tutto il corso della storia umana. A parte la guerra di Troia, così come la racconta Omero, nessuno Stato si è mai sentito leso nei propri interessi vitali da una questione morale riguardante un altro Stato: e abbiamo ragione di sospettare che perfino i sovrani greci non abbiano appoggiato Menelao solo per consentirgli di riprendesi la sua bella moglie, Elena: tanto più che ci sarebbe voluta una buona dose di faccia tosta per pensare che Paride l’avesse portata via contro la sua volontà. Inoltre, una cosa è pensare che esista un obbligo morale nei confronti del governo di uno Stato amico, come la Germania di Guglielmo II si sentì obbligata, nell’estate del 1914, a sostenere il governo austro-ungarico di Francesco Giuseppe (con un esito disastroso per entrambi, si rammenti); e un’altra cosa, e ben diversa, è che uno Stato consideri un obbligo morale legarsi per sempre, indipendentemente dai singoli governi, alla sicurezza di un altro Stato. E proprio questa sembra essere la posizione dei governi tedeschi, dopo la Seconda guerra mondiale, nei confronti d’Israele.

E tuttavia, ammettiamo che la Germania abbia realmente un tal genere di obbligo morale nei confronti di Israele. Cosa azzardata, ripetiamo, perché mai si è visto nulla di simile: infatti, si tratta di un principio che contraddice frontalmente tutte le regole della politica; e non c’è bisogno di essere cinici o spregiudicati come Machiavelli per cogliere al volo che, se la politica — e dunque, anche la politica internazionale — è mobilità, varietà, flessibilità, capacità di adeguare le idee ai fatti, i principi alle cose concrete, sentirsi vincolati in maniera assoluta da un obbligo morale, per quanto possa essere nobile, presuppone un atteggiamento rigido, legnoso, intransigente, nei confronti della realtà, con il rischio di voler sottomettere i fatti alle teorie, cosa che è sempre sbagliata e foriera di conseguenze negative. Ammettiamo, però, che la Germania si senta realmente vincolata da un simile obbligo morale: ci resta nondimeno l’obbligo di verificare se esso abbia un valore intrinseco, così come si dovrebbe fare anche se si trattasse di una persona. Accade, infatti, che certe persone si sentano moralmente obbligate nei confronti di un’altra persona, costi quello che costi, a prescindere da qualunque altra considerazione, però sulla base di un abbaglio, di un equivoco o di un vero e proprio inganno. Ad esempio, se una ragazza finge di essere incinta, può essere che il suo fidanzato si senta in obbligo di sposarla in ogni caso: però, se sapesse che non è incinta, o se sapesse che è incinta di un altro uomo, forse vedrebbe le cose diversamente: è il suo accecamento che lo rende così disposto a crederla sincera; e una fiducia illimitata verso il prossimo sarà una bella cosa teoricamente, ma, in pratica, rischia di rivelarsi un pessimo affare. Dunque, dobbiamo chiederci: l’obbligo morale che la Germania odierna nutre verso lo Stato di Israele è da ritenersi pienamente valido e giustificato?

Prima di provare a rispondere a questa domanda, diamo uno sguardo allo stato delle cose. A metà marzo del 2008, la cancelliera Angela Merkel, in visita di Stato in Israele, ha parlato — primo capo di Stato straniero in assoluto — davanti alla Knesset, il Parlamento di Gerusalemme, salutando l’assemblea in ebraico, e proseguendo in tedesco (cosa che alcuni deputati israeliani hanno contestato, perché quella lingua ricordava loro la Shoah), per affermare, tra l’altro:

La Shoah copre noi tedeschi di vergogna e io mi inchino davanti ai sei milioni di ebrei uccisi, e mi inchino davanti ai sopravvissuti e davanti a coloro che li aiutarono a salvarsi. E’ in considerazione di questo tragico passato, ha assicurato Merkel, che la Germania non lascerà mai più solo Israele e lo aiuterà soprattutto a difendersi: "Ogni governo tedesco – ha continuato – e ogni cancelliere prima di me ha sempre sentito di avere una speciale responsabilità per la sicurezza di Israele. Questa responsabilità storica è parte dei principi fondamentali del mio Paese e questo vuol dire che per me, come cancelliere tedesco, la sicurezza di Israele non è negoziabile".

Tali concetti erano già stati espressi da lei, e con le stesse parole, l’anno prima, nel settembre 2007, davanti all’assemblea generale dell’O.N.U. Poi, al principio di ottobre del 2015, sulla questione del nucleare iraniano, la Merkel ha dichiarato, nel corso di una intervista al quotidiano israeliano Ynet, in occasione della celebrazione del cinquantenario delle relazioni fra Germania e Israele:

Dopotutto è Israele a essere direttamente minacciata, ma veramente tutti noi, nel mondo libero, siano minacciati da un Iran che si dota di armi nucleari. […] Facciamo un grosso lavoro di conoscenza della responsabilità della Germania per aver causato una profonda frattura ai tempi della Shoah, nonché nel sottolineare i valori condivisi fra Berlino e Gerusalemme. [..] La sicurezza di Israele è sempre stata ed è tuttora importante per ogni cancelliere tedesco, e così sarà nel futuro. Il mio non è un impegno solo militare, ma è un impegno globale alla sicurezza di Israele. Sicuramente non siamo neutrali.

Che si tratti anche di un impegno militare, comunque, è apparso evidente poco dopo, quando, nel dicembre successivo, il sottomarino tedesco Rahav (traduzione ebraica di Nettuno), che può stare 18 giorni in immersione e sparare missili con testate nucleari, è salpato da Kiel diretto ad Haifa: regalo di Natale della signora Merkel ad Israele. Ciò in aggiunta al regalo annuo degli Stati Uniti, consistente nello stanziamento della somma astronomica di 3 miliardi di dollari in armamenti di vario tipo (ma il Rahav, di miliardi, ne costa poco meno: due e mezzo).

Fatte queste premesse, riportiamo un passaggio del libro della giornalista Gertrud Höhler, già consigliera di Helmuth Kohl, Sistema Merkel. Come la Cancelliera mette in pericolo la Germania e l’Europa,  trad. di S. Buttazzi e F. Cremonesi, Ariccia, Roma, Castelvecchi, 2012, pp. 217-218):

La nascita della stella della Cancelliera è una storia di successo a base di valori cestinati o cambiati di segno. Del resto anche l’economia pianificata ha bisogno di valori, ma solo di tanto in tanto e solo quando lo richiede il cambio di marcia del potere.

Ecco quindi che il nuovo Presidente [Joachim Gauck, eletto Presidente della Germania eletto il 18 marzo 2012] diventa ben presto, suo malgrado, il contraltare della Cancelliera.

Gauck compie un viaggio in Israele e incontra giornalisti carichi di aspettative, ormai assuefatti al credo Merkel secondo il quale la sicurezza dello Stato di Israele è parte integrante della ragion di Stato tedesca. Che farà Gauck, adotterà la formula o ne azzarderà una variante? La maggior parte degli osservatori, anche in Israele, presuppone che questo Presidente non abbandonerà la parola d’ordine diramata da Merkel, semmai cercherà di uscire dal dilemma in cui la Cancelliera cade ogni volta che Israele si confronta militarmente con uno Stato vicino. "Il diritto a esistere di Israele", così Gauck prima dell’incontro col Presidente Shimon Peres, è "determinante" per il popolo tedesco, ma la frase di Merkel sulla ragion di Stato è "molto azzardata". Non si può attuare politicamente tutto ciò che si sostiene moralmente. E la Cancelliera, a detta di Gauck, rischia di finire "in grandi difficoltà" affermando una cosa del genere. Poi, in risposta ai giornalisti, aggiunge di non volersi neanche immaginare uno scenario del genere.

Nel 2008, la Cancelliera aveva osato ancora di più parlando dinanzi al Knesset, il Parlamento israeliano: "Nessuno", disse, "può negoziare" questa prerogativa tedesca che vale come una ragion di Stato [per approfondire i retroscena, si veda "Merkels Wort zu Israel", "Frankfurter Allgemeine Zeitung", 31 maggio 2008; N. d. T.]. Gauck tenta poi di tranquillizzare gli osservatori sotto shock: "In realtà sono molto vicino alla visione di Angela Merkel", assicura ["Die Welt" del 31 maggio 2012].

Il primo giugno 2012 la "Süddeutsche Zeitung" riporta esattamente quanto affermato da Merkel in tema di ragion di Stato, il 25 settembre 2007, davanti all’assemblea riunita dell’ONU

"Ciascun cancelliere tedesco, prima di me, ha portato sulle proprie spalle il dovere e la responsabilità storica della Germania volti a garantire l’esistenza dello Stato di Israele. E io mi riconosco pienamente in questa responsabilità storica. Fa parte della ragion di Stato del mio Paese. Il che significa che per me, Cancelliera tedesca, la sicurezza di Israele non è negoziabile né lo sarà mai".

Ecco invece cos’ha detto il Presidente Joachim Gauck in visita in Israele il 29 maggio 2012: "Non voglio nemmeno immaginare in quali enormi difficoltà precipiterebbe la Cancelliera per via della frase che eleva la sicurezza di Israele a ragion di Stato tedesca.

Il 31 maggio "Die Zeit" pubblica un’intervista a Gauck: "Questa frase di Frau Merkel viene dal cuore della mia generazione. […] Porta con sé, a dire poco, un sovraccarico di responsabilità insieme a un giuramento magico, che ha tante radici nella Storia. In buona sostanza tutto ciò che facciamo dovrebbe basarsi sull’obiettivo di proteggere Israele, patria del popolo ebraico. Questa frase non nasce solo dalla ragione politica, ma anche da una profonda contrizione. È un appello morale a noi stessi e io sono il primo a domandarmi con preoccupazione se possiamo affidare alla politica l’enormità di un compito come questo. Chiunque appartenga alla mia generazione non può che sperare di sì".

Il Presidente riflette, la Cancelliera pontifica. Se Angela Merkel gielo consentisse, Gauck potrebbe diventare un suo mentore, un perfetto dispensatore di consigli da ex concittadino a ex concittadina della Ddr.

Ecco: adesso proviamo a rispondere alla domanda su formulata, se l’obbligo morale della Germania nei confronti di Israele sia, moralmente appunto, valido e giustificato. Ebbene, ci sembra difficile rispondere in maniera affermativa. La Germania durante la Seconda guerra mondiale si è macchiata di un grave crimine verso gli Ebrei: e questo è un fatto. Ricavarne la conclusione che il popolo tedesco deve sentirsi moralmente obbligato, per tutta l’eternità, nei confronti d’Israele (che non è la stessa cosa del popolo ebreo), qualunque cosa accada, ci sembra non solo eccessivo, ma sbagliato. A meno di pensare, come avviene nell’Antico Testamento, che le colpe dei padri ricadano sui figli…

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Christian Lue su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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