
Nell’era della globalizzazione abbiamo una ragione in più per amare la Patria
4 Ottobre 2016
Una legge di natura spinge il male a rivelarsi, affinché sia eliminato
4 Ottobre 2016Il miracolo è la crux della teologia: si crede di averne compreso la natura, o, almeno, di aver compreso a quale ordine di fenomeni appartiene — al soprannaturale, è ovvio; però, manifestandosi attraverso il mondo naturale — e invece, quando lo si considera meglio, ci si accorge di aver messo in fila semplicemente delle parole, ma di non essere riusciti neppure a sfiorarne l’essenza. E come si può dare una definizione di ciò che non si conosce?
A ben guardare, noi non conosciamo neppure che cosa sia la natura: sì, gli scienziati la studiano, la esplorano, la scandagliano in lungo e in largo, e non si fermano mai; sono riusciti a comprendere delle cose che parevano al di là della nostra portata, e ciò in un tempo sorprendentemente breve: però, quanto ad aver compreso che cosa essa sia, è un altro discorso. Un conto è saper descrivere i fenomeni naturali, ed essere capaci di riunire i fenomeni fondamentali in una serie di leggi; e un altro conto è poter dire d’aver compreso cosa la natura sia, nel suo complesso e, soprattutto, nella sua essenza. La natura non è la somma aritmetica dei fenomeni che la compongono; e, anche se lo fosse, noi siamo ancora ben lontani dall’avere, di tali fenomeni, una panoramica, non diremo soddisfacente, ma anche soltanto approssimativa. A dispetto delle molte e stupefacenti scoperte dell’ultimo secolo, la verità è che abbiamo appena scalfito la superficie del mistero. Ci sentiamo bravi e importanti perché siamo riusciti a dare un’età all’universo: ma a quale universo? A quello posteriore al Big-Bang, cioè all’universo così come lo conosciamo oggi: e ciò soprattutto studiando e calcolando la velocità di "fuga" delle galassie che lo compongono, e che si allontanano da un punto centrale, che dovette essere il nucleo iniziale della materia. Ma cosa ci autorizza a pensare che, prima di quell’evento (che gli scienziati chiamano "singolarità"), l’universo non esisteva? In verità, nel caso di un universo oscillatorio, caratterizzato da fasi alternate di contrazione ed espansione, e magari da successive "esplosioni" e dispersioni della materia, bisogna immaginare che, prima di questo universo, ve ne fosse un altro, fatto con gli stesi atomi, ma diversamente distribuiti. E prima? Un altro. E così via, forse per milioni e miliardi di volte; forse più ancora… verso l’infinito. Ma qui la mente umana comincia a vacillare, a non essere più tanto sicura di se stessa. Davanti a concetti come l’infinito, essa può solo dare delle formulazioni di ordine logico, ma non afferrare veramente il senso di quel concetto: perché non esiste, né nel mondo visibile, né nella nostra mente stessa, qualche cosa di paragonabile all’infinito. E come si può capire ciò di cui non si ha assolutamente esperienza? E questo, del resto, è solo un caso estremo. Possiamo anche limitarci a parlare di cose relativamente più semplici, più vicine, più accessibili. Sappiamo che cos’è la Luna? Sappiamo come si è formata? Esistono quattro o cinque distinte teorie, ma nessuna di esse, allo stato attuale, gode del favore di una chiara maggioranza degli scienziati. E la Luna è il corpo celeste più vicino alla Terra: si trova, per così dire, sulla soglia di casa nostra. Ci siamo perfino stati (pare), vi abbiamo impresso l’orma del nostro piede. Eppure, nemmeno della Luna siamo capaci di stabilire con un certo grado di sicurezza come essa abbia avuto origine: brancoliamo nel dubbio, siamo divisi fra spiegazioni che si escludono a vicenda.
Dopo aver chiarito questo punto, cioè dopo aver ricordato, a chi non vi avesse mai riflettuto, che anche la natura è, per noi, e pur con tutta la nostra scienza, un grande mistero, torniamo al nostro assunto iniziale e domandiamoci: che cos’è il miracolo? Un evento soprannaturale, diciamo, specialmente voluto, o permesso, dall’amore di Dio nei confronti dell’uomo; un evento soprannaturale che si manifesta nella dimensione naturale. Sembra un concetto abbastanza chiaro e semplice, almeno in teoria: eppure, basta pochissimo per rendersi conto che abbiamo spiegato ben poco, anzi, che non abbiamo spiegato praticamente nulla, con una simile definizione. Abbiamo formulato poco più che un gioco di parole: il soprannaturale che si manifesta nel naturale. Ma, se non sappiamo che cosa sia la natura, tanto meno possiamo dire di sapere che cosa sia il soprannaturale. Certo, in linea di massima, crediamo di saperlo: è la dimensione del divino, che si torva al di là, e, per così dire (ma sono solo espressioni simboliche!) "al di sopra" della dimensione naturale. La verità è che, se davvero potessimo comprendere che cosa sia il soprannaturale, noi non saremmo creature umane, ma Angeli: perché solo chi appartiene alla dimensione del soprannaturale può averne una idea adeguata. Chi si trova al di fuori di essa, o chi vi appartiene solo parzialmente (come l’uomo, mediante l’anima; ma solo quando l’anima è "illuminata" dalla Grazia, beninteso) non può farsene una idea, non può capirne alcunché: può solo balbettare qualche formula astratta, può costruire una definizione logicamente coerente e sintatticamente soddisfacente: parole, soltanto parole. La realtà della cosa ci sfugge: e non può essere che così. Può capire cosa sia il mare, chi non lo ha neppure mai visto? Potrebbe capire cosa sia il cielo, una creatura che viva esclusivamente nelle buie caverne del sottosuolo? E così siamo noi nei confronti della realtà soprannaturale: ignoranti e presuntuosi, pretendiamo di capire quel che è immensamente più grande di noi, della nostra mente, della nostra stessa capacità di comprensione. Perfino restando nell’ambito del mondo naturale, possiamo forse capire ciò che, nella dimensione dello spazio ed in quella del tempo, ci supera incommensurabilmente? Se ci trovassimo di fronte a qualche cosa d’infinito o di eterno, la riconosceremmo? Certamente no: saremmo nella stessa condizione di una formica che si trovi ai piedi della Grande Piramide di Cheope. La formica non riuscirebbe neppure a comprendere di aver di fronte un manufatto: una montagna, per lei, sarebbe la stessa cosa. Ma non la riconoscerebbe neppure come montagna: solo come una cosa grande, della quale non può vedere i confini, né, tanto meno, la cima. Per lei, sarebbe la stessa cosa, se quell’oggetto fosse alto qualche decimetro o, come è in realtà, 146 metri circa. Non parliamo poi della forma, che le sfuggirebbe completamente; e, con essa, anche la possibilità di comprendere che di un manufatto, appunto, si tratta.
A questo punto, ci troviamo già sulla strada per capire, non proprio cosa sia il miracolo, ma in quale prospettiva ci si debba porre di fronte ad esso, non per capirlo, ma, semplicemente, per accettarlo. Il miracolo, infatti, è un intervento straordinario di Dio, che assume la forma di un dono: e quando si riceve un dono non c’è nulla, propriamente parlando, da capire, ma semplicemente da accettare. In un certo senso, è la stesso tipo di situazione che si configura allorché avviene una offerta d’amore: di puro amore, amore di carità, senza fini ulteriori. O lo si accetta, o non lo accetta; se si comincia col domandarsi: Ma che cosa sarà mai tutto ciò? Perché mi è stato fatto? Perché, poi, proprio a me?, ci si trova già su una strada falsa, sbagliata; e non si arriverà, non diciamo a capire, ma neppure ad accettare. I nostri occhi vedranno, ma noi non vedremo; i nostri orecchi udiranno, ma noi non udiremo. Saremo ciechi e sordi, pur vedendo e pur udendo: perché l’amore non ha bisogno di ragioni, l’amore è dono gratuito e non lo si può capire razionalmente; le sue ragioni ci sono, ma eccedono il nostro Logos strumentale e calcolante, che pensa sempre in termini di guadagno e perdita. In un certo senso, è la diffidenza che ci renderà impossibile accettare, o anche solo vedere, una simile offerta d’amore: ed è precisamente quel che accade se l’autore di tale offerta è Dio, che è invisibile, e che, ordinariamente, fa di tutto per non lasciarsi vedere. Infatti, vuole che noi, suoi figli, rimaniamo liberi: liberi di credere o di non credere; liberi di accettare o di non accettare la Sua offerta d’amore. Secondo la nostra esperienza, l’amore totalmente gratuito è semplicemente incomprensibile: ci vuole, quindi, molta umiltà per accettarlo. Per noi, nessuno fa mai niente per niente; anche nell’amore umano più sublime, c’è sempre un residuo di aspettativa, e, quindi, d’interesse. Siamo fatti così. Ma Dio non si pone in tal modo; non ha bisogno di "ragioni" per amarci; e non sceglie, necessariamente, i migliori di noi: a volte – la cosa è sorprendente per i nostri parametri, ma è stata frequentemente osservata – sceglie proprio i più piccoli e semplici, quelli che il mondo, e, talvolta, la Chiesa medesima, han rifiutato, o posto in un angolo, come se non sapessero che farsene. Pure, non dovremmo meravigliarci del tutto; anzi, non dovremmo meravigliarci affatto: perché queste cose Gesù, il Maestro divino, le ha dette a chiarissime note, e basta leggere il Vangelo per convincersene. Una volta ha addirittura esultato, dicendo: Ti rendo lode, o Padre, Signore del Cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti, e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre: perché così è piaciuto a Te! (Matteo, 11, 25-27).
Osservava il professor Ljudevic Rupcic, già docente presso la Facoltà di Teologia di Zagabria, nella sua monografia Medjugorje nella storia della salvezza (Tocco Casauria, Pescara, Edizioni Medjugorje, 1990, pp. 105-108):
Nella teologia non c’è quasi nulla di così poco chiaro come il miracolo. Molti vedono in tale evento la "croce della teologia". Di per sé non lo è, mentre le speculazioni, al riguardo, si indirizzano verso un modo errato di porre la questione , ossia dal punto di vista delle scienze naturali e della filosofia ateistica.
Il concetto esatto di miracolo è, invece, legato alla Bibbia. Pertanto, anche una giusta comprensione si deve basare su di essa. Dalla Bibiba, quindi, dipende la domanda di che cosa sia un miracolo, ma anche la conseguente risposta. Al di fuori della Bibbia, o al di fuori della rivelazione e della fede, non ci sono miracoli, ma solo fenomeni insoliti di cui la scienza non ancora conosce, o forse non conoscerà mai, le cause. Qui vale la regola: maggiore è il progresso della scienza e meno fenomeni "miracolosi" ci sono:; e lentamente i vecchi miracoli smettono di essere miracolosi, e ne nascono di nuovi che, con la migliore conoscenza della natura, a loro volta invecchiano e smettono di essere "miracoli". Questi "miracoli" si basano tutti solo sull’ignoranza delle cause naturali di determinati fenomeni o delle loro conseguenze. Così, a modo suo, è giustificato il detto: "Tutti i miracoli durano tre giorni!". I veri miracoli non si possono, però, ricondurre alla scienza, poiché le loro cause sono al di fuori della natura.
Tutta la Bibbia testimonia non solo la possibilità del miracolo, ma anche miracoli concreti. Soprattutto, i Vangeli evidenziano come Gesù abbia compiuto fatti straordinari dei quali i suoi contemporanei erano entusiasti. I nemici di Gesù non ne hanno dubitato neanche una volta, dato che, proprio a causa loro, hanno perseguitato Gesù, considerandoLo un sobillatore. Dal canto suo, la Chiesa testimonia i miracoli anche nella sua storia.
Si pone, quindi, la domanda di che cosa sia veramente un miracolo.
Già nel XIX e all’inizio del XX secolo la definizione di miracolo non era univoca. Si sono,m quindi, così definiti principalmente fenomeni naturali insoliti, come le guarigioni da gravi e incurabili malattie e altre cose ancora. Ogni definizione di miracolo sottolineava e presupponeva che i miracoli sono avvenimenti esterni e visibili, che vanno "oltre" , "dopo" e "contro" la natura. E poiché Dio è più grande della natura e ne è il Signore, tutti questi fatti Gli furono attribuiti. Questa definizione di miracolo portò alla falsa supposizione che si potesse e dovesse dimostrarlo e giustificarlo da un punto di vista scientifico. L’apologetica ha visto nel miracolo la prova della legittimità e del significato sovrannaturale della rivelazione. Poiché ragione e scienza valevano quale unico criterio ultimo della verità, l’apologetica tentò inconsciamente di dimostrare con metodi e criteri scientifici non solo l’esistenza di Dio, ma anche il significato soprannaturale della rivelazione. Una apologetica di questo tipo era del tutto sbagliata, perché con essa non si poteva dimostrare ciò che si voleva dimostrare. Al contrario, essa non ha fatto altro che offuscare il miracolo, rendendo un cattivo servizio alla fede. Il suo errore di fondo consiste nell’aver determinato l’essenza del miracolo con l’aiuto della natura. Ma, poiché non si sa cosa sia la natura, non si può neanche sapere cosa ci sia "dopo" di essa, "oltre" essa e "contro" di essa. Spiegare ciò che non si sa con ciò che non si sa è non porta ad una conoscenza sicura. I miracoli, solo nella misura in cui essi sono eventi esterni e visibili, possono essere oggetto di ricerca delle scienze naturali; non però nella misura in cui sono miracoli. Infatti, stando alle testimonianze della rivelazione, i miracoli sono particolari interventi di Dio per la salvezza dell’uomo. Essi possiedono il carattere della parola di Dio, rivolta all’uomo, che, piena di grazia, luce e forza, vuole aiutare l’uomo a rispondere all’offerta di salvezza di io in Gesù Cristo. Di conseguenza, al di fuori di Dio e del suo progetto di salvezza, per l’uomo non ci sono miracoli. Essi non sono mai fatti indipendenti e fini a se stessi. Essi sono mezzi particolari di Dio per la salvezza degli uomini. I miracoli non servono, quindi, a far risaltare il potere di Dio e non hanno neanche il significato di una punizione divina. Essi sono unicamente doni della grazia di Dio per l’uomo.
Secondo la Bibbia il significato principale di miracolo è "segno" o "simbolo". Esso non si riferisce a se stesso, ma a Dio, indicato quale vincitore del peccato e della malattia che rendono l’uomo incapace e lo riducono in schiavitù. Inoltre, esso rappresenta una anticipazione della venuta del regno di Dio: "Se invece io scaccio i demoni con il dito di Dio, è dunque giunto a voi il regno di Dio" (Lc 11, 20). I miracoli non hanno lo scopo di promuovere un altro interesse o mostrare il potere di Dio., il che è testimoniato da Gesù stesso (Mt 4, 1-11; Lc 4, 1-13). Cristo respinge la dimostrazione che si possano codificare i miracoli come tali (Lc 11, 29); in questo modo, si distruggerebbe la condizione che consente il verificarsi del miracolo, ossia la fiducia in Dio (Mt 4, 7).
Il miracolo è sempre legato alla parola di Dio. Secondo la Bibbia esso è una manifestazione di Dio. E tutto ciò che Dio fa è un segno della sua presenza e del suo manifestarsi.
Per i contemporanei della Bibbia e di Gesù il miracolo non era un problema. Lo è diventato solo con l’avvento delle scienze moderne. Un miracolo è un evento improvviso e insolito nel quale l’uomo vede l’operato di Dio. Agli occhi della scienza può essere un evento completamente naturale; per l’uomo credente esso può però essere, al temo stesso, un segno dell’opera di salvezza di Dio. Dio non è oggetto della scienza, e, di conseguenza, la scienza non può pronunciare un giudizio su ciò che la travalica. Dato che un miracolo è un’azione particolare di Dio, esso può essere valutato solo con la rivelazione e la fede, non con la scienza. La scienza possiede il suo ambito ristretto. Essa può aiutare molto la teologia, assicurandole determinate condizioni per la conoscenza del miracolo; non può, però, comprendere o conoscere tutta la realtà racchiusa in un miracolo. La scienza non può dire se un miracolo sia possibile e se rientri in un determinato caso. Pertanto, le numerose commissioni che si occupano di fenomeni miracolosi non hanno la competenza necessaria ad emettere un giudizio definitivo su un miracolo, ciò che possono investigare non è tutta la realtà. la conoscenza di una parte della realtà rientra nell’ambito della fede e della teologia. Un miracolo è la parola di Dio per l’uomo, e lo si può conoscere solo con la grazia, non con metodi scientifici. Solo la grazia rende l’uomo congeniale per la soprannaturalità del miracolo.
L’uomo è stato creato quale partner di Dio in costante dialogo con Lui. Pertanto, non si dovrebbe ridurre troppo i miracoli né ad un dato quantitativo, né alla loro trascrizione contenutistica. Essi sono, al contrario, molto frequenti, ma, poiché sono al servizio della fede per aiutare l’uomo a dare una risposta alla parola di Dio e alla sua offerta di salvezza, essi non fanno troppo rumore per non esercitare alcuna violenza sulla libertà dell’uomo. I miracoli sono al servizio di questa libertà e aiutano ad indirizzarla verso Dio. Se non fosse così,m essi abuserebbero della libertà, degradando l’uomo alla condizione di schiavo e la fede a quella di scienza. In verità, non ci sarebbe più la fede come atto libero, meritevole e umano. Perciò, Dio sceglie sempre segni di questo tipo e una tale misura di grazia da bastare a far sì che l’uomo, veramente con il suo appoggio ma senza costrizioni, si decida per Dio.
Ci sentiamo di condividere, sostanzialmente, il punto di vista di padre Rupcic; specialmente nel passaggio in cui lamenta che, ad un certo punto, la teologia ha subito l’ascendente delle scienze naturali e ha creduto di rendere un servizio alla Verità, mentre le rendeva, invece, un ben magro servizio, servendosi dei parametri scientifici per definire il miracolo e per gloriarsi del fatto che i miracoli accadono. Noi siamo i figli del paradigma scientista galileiano, secondo il quale la scienza è il vero strumento della conoscenza, e le altre forme del conoscere, se pure ve ne sono, devono mutuare i metodi e le prospettive della scienza. Ma la scienza galileiana è una scienza tendenzialmente materialista, quantitativa, riduzionista: è una scienza che non rende ragione delle cose, ma che si accontenta di descrivere i fenomeni e di formulare alcune leggi. In compenso, invece di ammettere la propria ignoranza riguardo all’essenza della natura, pretende che tutto il reale sia di ordine naturale; dà per scontato che un ordine soprannaturale o non esiste neppure, o è inconoscibile; a meno che lo si sappia spiegare, anch”esso, con le categorie della scienza. Ma questo è, palesemente, un controsenso. Strano che il "grande" Galilei non l’abbia visto, con tutta la sua raffinata intelligenza; e quando parla dei due "libri" con i quali Dio si rivolge agli uomini, la Scrittura e il "gran libro della natura", crede di aver stabilito una distinzione di piani, ma fa soltanto un grandissimo pasticcio: quasi che Dio non possa parlare quando vuole, come vuole, anche fra le righe, anche sopra (o sotto) le righe, infischiandosene, con licenza parlando, delle umane distinzioni fra scienza e fede, Galilei scambia delle distinzioni di comodo per delle impossibilità di Dio stesso, e pretende di stabilire cosa Dio possa dire, e come: questa è l’essenza della sua visione scientifica; e, come si vede, è una pretesa non solo blasfema, ma anche incongrua: perché non si potranno mai stabilire, con dei criteri "scientifici", i limiti dell’azione divina. Perciò, fu un errore clamoroso, da parte della teologia dell’età del Positivismo (del quale, evidentemente, risentiva gli effetti), quello di voler prendere a prestito le categorie e gli schemi mentali della scienza, per definire cosa il miracolo sia: per questa strada, non si arriverà mai da nessuna parte. La scienza stessa non è sempre d’accordo con se stessa; essa ha conosciuto delle svolte, delle rivoluzioni, dei cambi di paradigma; quel che dice oggi, non è detto che lo sosterrà anche domani: pertanto, come si può prenderla a fondamento di una concezione teologica del reale? E come si può dare una definizione di ciò che è soprannaturale, con le categorie adoperate per studiare il mondo naturale?
La verità è che del miracolo non possiamo dire proprio niente, se non che avviene: prenderne atto, e raccoglierci in riverente silenzio. Se non lo credessimo, non saremmo cristiani. Il miracolo attraversa tutta la vita di Cristo, dal suo concepimento alla sua morte, resurrezione ed ascensione. Ma non è detto che il miracolo sia sempre così visibile, così spettacolare. Possono esservi miracoli nascosti, discreti, silenziosi; possono esservene moltissimi, come osserva padre Rupcic, e dei quali noi non ci accorgiamo neppure.
Forse anche nella nostra vita ve ne sono stati. Forse più di una volta il nostro Angelo custode ci ha letteralmente sottratti dagli artigli della morte: quella fisica e quella morale. Forse più di una volta siamo stati beneficati in modo soprannaturale, e specialmente nei passi più perigliosi e sconfortanti della vita. Del testo, e qui togliamo l’avverbio "forse", l’Eucarestia è un miracolo straordinario, il più grande di tutti, che si rinnova continuamente, quando il sacerdote benedice le sacre Specie, il pane e il vino, e le distribuisce ai fedeli. Molti cristiani si sono dimenticati che questo è un miracolo, come lo sono gli altri sacramenti ed ogni intervento della Grazia nella nostra vita. Il che la dice lunga su quanto la mentalità scientista e materialista, "galileiana" ed incredula, sia penetrata a fondo nelle nostre intelligenze e nelle nostre anime.
Per essere visto, il miracolo richiede la fede. A Lourdes possono avvenire decine di miracoli sensazionali, ma essi è come se non esistessero per chi ha deciso di non credere. Tale è il paradosso della fede: è aperta a tutti, e tutti vi sono invitati; ma solo pochi giungono a vedere e a udire, perché solo pochi hanno abbastanza umiltà da accettare la dismisura del dono che viene fatto loro. Un selvaggio che ricevesse in dono una copia della Divina Commedia, non saprebbe che farsene; e così accade per un’anima che alberghi abbastanza superbia da non saper accettare il dono gratuito di Dio. Ma per chi è umile e trasparente, tutto diviene miracolo: anche lo sbocciare d’un fiore. E questo ben lo sentiva san Francesco d’Assisi, che lo seppe esprimere in maniera incomparabile nel Cantico delle creature. In questo senso, il miracolo è un segno di contraddizione: non solo fra credenti e non credenti, ma fra i credenti stessi, o coloro che si ritengono tali…
Quanto alla domanda: Perché proprio a me?, sembra ispirata da modestia, ma nasce, invece, dalla superbia. Il credente sa che Dio ama tutte le sue creature, dalla più grande alla più piccola; e non si meraviglia del fatto che rivolga la Sua attenzione ad una di esse. Maria Vergine non era una giovane donna famosa per qualche merito particolare secondo il mondo; e i dodici apostoli non erano né professori, né teologi, né sacerdoti, né sapienti di qualsiasi altro genere: erano umili pescatori, gente ordinaria in tutti i sensi. Gesù stesso non nacque nella porpora; non vestì i panni dell’imperatore, né quelli del pensatore; suo padre era un carpentiere, egli stesso non viaggiò lontano, non vide le meravigliose città greche, non ascoltò i filosofi dell’Accademia; infine, la morte cui andò incontro, fu la più umile, e, anzi, la più umiliante che allora vi fosse. E tutto questo per insegnarci l’umiltà…
Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Chad Greiter su Unsplash