Cristiani, ma fino a un certo punto
29 Settembre 2016
Come la desidera, signore? Ben cotta, o al sangue? Gastronomia e marketing del teologo-cameriere
30 Settembre 2016
Cristiani, ma fino a un certo punto
29 Settembre 2016
Come la desidera, signore? Ben cotta, o al sangue? Gastronomia e marketing del teologo-cameriere
30 Settembre 2016
Mostra tutto

Antropologia del teologo-cameriere

Il teologo-cameriere è il teologo moderno che desidera, innanzitutto, piacere al suo pubblico; dire le cose che strapperanno il maggior numero di consensi e di applausi; farsi bello agli occhi del mondo, e specialmente dei poteri massonici e finanziari; rendersi popolare presso gli esponenti delle chiese cristiane separate e delle altre religioni; venire incontro — con la parola-chiave del "dialogo" – ai desiderata dei non credenti, degli atei militanti e degli anticristiani; e accrescere il proprio prestigio e la propria "simpatia" attaccando quei cattolici che egli chiama, sdegnosamente, "tradizionalisti" o anche "conservatori", ironizzando su di essi, ridicolizzandoli, distorcendo abbondantemente le loro posizioni, e sparando a zero su tutto ciò che essi dicono e fanno.

Egli è un teologo-cameriere perché fa quello che fanno tutti i bravi camerieri: cerca di accontentare i gusti del pubblico, di andare incontro ad esso, e, se possibile, addirittura di prevenire le sue richieste e i suoi desideri. S’intende che i bravi camerieri fanno bene ad agire così: il loro mestiere consiste precisamente nel servire i clienti secondo i loro desideri. Nel caso dei teologi, il discorso sarebbe un tantino diverso; ma, sostenuti dal vistoso esempio di molti vescovi e cardinali, di molti preti e suore, e, da ultimo, dello stesso papa Francesco, il teologo-cameriere ha abbandonato definitivamente ogni remora ed ogni scrupolo (ammesso che ne abbia mai avuti), e ritiene cosa perfettamente normale, anzi, ritiene persino che sia doveroso, comportarsi egli pure in tal modo: andare incontro ai gusti dei credenti, alle opinioni prevalenti, agli umori e agli stati d’animo del momento (il momento della modernità) nel parlare di Dio.

Già: perché il teologo-cameriere non è più – come lo erano i teologi antiquati e oscurantisti, come un san Tommaso d’Aquino – un ricercatore della Verità; no: egli è uno che parla di Dio, e ne parla al pubblico più ampio possibile, sempre con l’occhio rivolto alle alte tirature editoriali e ai lauti profitti economici; anche se quel pubblico andrebbe prima educato, istruito, preparato a confrontarsi con certi difficili argomenti. Ma che importa? La teologia per pochi, la teologia "aristocratica", è finita: oggi essa deve essere alla portata di tutti, come, del resto, la sua sorella profana, la filosofia. È da un pezzo che la cultura moderna, e la stessa scuola moderna, hanno abbandonato l’antica e assurda pretesa che il sapere sia frutto di una lenta e personale conquista; al contrario: il mondo moderno ha deciso che il pane del sapere deve essere spezzato alla tavola di tutti e di ciascuno, qui, ora e subito, senza indugio, senza alcun ritardo: il popolo ha già aspettato abbastanza, ha già atteso anche troppo. Adesso tocca a lui: e il teologo-cameriere è lì, pronto a servirlo, in giacca bianca e bottoni ben lucidati, deciso a non far sfigurare il ristorante della modernità.

Di conseguenza, nulla è più lontano dalle intenzioni del teologo-cameriere che guidare il lettore delle sue opere, o il pubblico delle sue conferenze (magari televisive), su per la faticosa scala della ricerca teologica; al contrario, quel che egli vuole è di squadernare il prodotto finale bello e pronto, a prezzo d’infinte semplificazioni, di arbitrarie schematizzazioni, di passaggi mancanti e di affermazioni improvvise, non supportate da alcun ragionamento, né corroborate da un minimo di rigore logico. Come un piazzista, o come un politicante di basso rango, egli non si rivolge né alla mente, né al cuore di chi lo ascolta, ma alla sua pancia: non lo vuole persuadere, vuole dargli l’illusione di aver capito, e di aver capito senza fatica, il che lo farà sentire particolarmente intelligente e fiero di sé. E come levare una idea sbagliata dal cranio di chi pensa d’aver compreso tutto, senza aver capito nulla; di chi si ritiene un Aristotele, anche se è solo uno dei tanti polli da allevamento? Ma anche questo è un aspetto assolutamente scontato, assolutamente banale della moderna società di massa: la pretesa di ciascuno d’essere speciale e formidabile; il che, se la logica non è una opinione, significa che nessuno lo è, ma che sono tutti appiattiti e omologati secondo lo stampo impresso dalla cultura dominante. Poco male; se nessuno grida alla contraddizione, che problema c’è? La finzione diverrà realtà; e un esercito di polli si auto-promuoverà al prestigioso statuto di altrettanti uomini di genio.

La soddisfazione è garantita nei due sensi, la gratificazione è reciproca: il pubblico si sente "illuminato", ascolta il conferenziere con sguardo adorante, si passa con gli amici l’ultima opera del grande teologo; e quest’ultimo miete una messe abbondante di complimenti ed elogi, si sente importante, si sente insostituibile, investito d’una missione divina (o forse soltanto umana; ma non sottilizziamo, non è forse vero che il Dio di cui possiamo parlare è il Dio-per-noi, e, dunque, in certo qual senso, un prodotto della nostra umanità?). Contenti gli uni, contenti gli altri: asinus asinum fricat, l’asino si strofina con il suo pari.

Resta da vedere se anche il teologo-cameriere appartenga alla categoria dei cretini che si credono sapienti, oppure, semplicemente, alla razza dei furboni, dei cinici senza scrupoli, che farebbero qualsiasi cosa e profanerebbero tutto ciò che è sacro, pur di ottenere un vantaggio personale in termini di successo, denaro e carriera; se sono soltanto degli imbecilli, o se sono dei malati d’ipertrofia dell’ego (due sindromi entrambe assai comuni in questi meravigliosi tempi di modernità). Bisognerebbe vedere caso per caso. In linea generale, tuttavia, siamo propensi a optare per la seconda possibilità: perché, di solito, del tutto stupidi non sono, anzi, mostrano una certa quale astuzia (che non è, peraltro, la stessa cosa dell’intelligenza), e, osservando il compiacimento e la gioia mal dissimulata con i quali ricevono i più alti omaggi e tributi — abbiamo appena visto uno di costoro pavoneggiarsi al fianco del presidente del Consiglio italiano (asinus asinum fricat, per l’appunto…), in una pubblica cerimonia; ma non è raro che a sponsorizzarli sia direttamente il papa — tutto ci porta a credere che la loro vanità sia la caratteristica che in essi è decisamente dominante, e davanti alla quale ogni altro aspetto della loro personalità tende a scomparire.

In quanto narcisisticamente innamorato di se stesso, ma soprattutto bramoso di successo e di riconoscimenti, il teologo-cameriere (afflitto, in verità, da uno sdoppiamento schizofrenico, perché, al fondo della sua anima, sa bene di essere sempre e solo un cameriere in giacca bianca), è possibile che sia anche iscritto a qualche loggia massonica: di certo lo sono parecchi dei suoi colleghi ed amici. Quale scandalo ci sarebbe mai, del resto? È da un pezzo che la scomunica contro i massoni è stata, de facto, congelata, e, ormai, non spaventa più nessuno; specialmente da quando vi sono entrati fior fiore di vescovi e cardinali. Chi non ricorda quel vescovo messicano, Sergio Mendez-Azceo (1907-1992), il quale, in pieno Concilio Vaticano II, chiese ufficialmente che i massoni venissero ammessi a far parte della Chiesa cattolica, pur riconoscendo che, fra essi, non erano pochi quelli anticristiani? E chi non ricorda quando, su invito della Gran Loggia di Francia, nel 1974, essa ricevette la visita, gradita e reciprocamente soddisfacente, di un altro vescovo, monsignor Pezeril? E che dire di padre Rosario Esposito (1921-2007), sacerdote paolino, il quale fin dal 1969, d’intesa con il Gran Maestro Giordano Gamberini, non cessò di adoperarsi affinché venisse ritirata la scomunica ai massoni? Da allora, ne è passata di acqua sotto i ponti: oggi le cose sono arrivate molto più in là, e si parla tranquillamente di Massoneria ecclesiastica, come se la sua esistenza fosse la cosa più naturale di questo mondo; e un cardinale massone, come il defunto Carlo Maria Martini, già arcivescovo di Milano e fondatore della "Cattedra dei non credenti", nonché fautore delle unioni civili, specialmente omosessuali, non fa più alcuno scandalo.

Del resto, che cosa vuole la Massoneria? Vuole giungere all’instaurazione di una religione sincretistica, gnostica e deista mondiale, nella quale tutte le diverse religioni corrano come fiumi nel mare, e vi si perdano, di modo che resti solo il culto del Grande Architetto dell’Universo. Dunque, la sua opera è già arrivata a metà strada: perché l’ecumenismo, da un lato, e il cosiddetto dialogo interreligioso, dall’altro, hanno già fatto cadere le ragioni di fondo la scomunica. La quale scomunica si basava appunto su tale aspetto del culto massonico: che, a ben guardare, è per forza di cose anticristiano, se le parole hanno un senso e se una religione è tale fino a quando rimane se stessa. Un cristianesimo "liquido" — come direbbe Zygmunt Bauman – e buono per tutte le stagioni, un po’ deista e un poco panteista (ahimè, quante esagerazioni e deviazioni immanentiste nell’ecologismo del pontificato di Francesco!), un cristianesimo disossato e svirilizzato, con Gesù ridotto alla misura di uno dei tanti maestri di saggezza, sarebbe un cristianesimo morto e defunto, con l’aggravante di non saperlo. A quel punto, sarebbe meglio fargli un bel funerale e riconoscere che è preferibile una buona filosofia – il platonismo, lo stoicismo — a una cattiva religione.

Ad ogni modo, e lo ripetiamo, non è detto che il nostro baldo teologo-cameriere sia un frammassone felicemente iscritto a questa o quella loggia, secondo questo o quell’altro rito; tanto più che, in definitiva, non ce n’è affatto bisogno, perché gli obiettivi di massima della penetrazione massonica nella Chiesa sono già stati raggiunti, al di là delle più ardite speranze: ormai si tratta soprattutto di bonificare le retrovie, il tempo delle avanguardie e delle incursioni è finito. I massoni devono solo perfezionare la loro opera; e i vescovi e i cardinali massoni possono ben fregarsi le mani per la soddisfazione: quel che volevano fare, l’hanno già fatto per più di metà. Fra elogi a Lutero, inviti ai musulmani perché entrino in chiesa a condividere la santa Messa coi cattolici, e strizzatine d’occhio alle unioni omosessuali, che cosa resta ancora da fare, per liquefare e disossare la Chiesa cattolica, per liquidare definitivamente il suo Magistero secolare, per azzerare duemila anni di Tradizione e di Scritture? Anche l’indissolubilità del matrimonio appare in forse, grazie alla esortazione apostolica Amoris laetitia; anche il sacramento dell’Eucarestia, sembra che possa essere accostato da chi si trova in stato di peccato: che altro resta da fare, ripetiamo, che non sia già stato fatto, per demolire il prestigio, l’autorevolezza, e, soprattutto, la Verità soprannaturale, divina, di cui la Chiesa si è fatta custode in questi ultimi due millenni?

Povero don Luigi Villa (1918-2012), il sacerdote di Lecco che ha dedicato la sua intera vita, con l’incoraggiamento di san Pio da Pietrelcina e di Pio XII, ma correndo notevoli rischi ed esponendosi a continue persecuzioni, a documentare la presenza massonica dentro la Chiesa, e nel tentativo di sventarne le trame. Che cosa potrebbe dire, oggi? Quel che i massoni volevano ottenere, è ormai a portata di mano: una Chiesa talmente sradicata dalle proprie radici, talmente pervasa dal cattivo vento del relativismo etico e dell’indifferentismo religioso, talmente pervasa d’immanentismo e di antropocentrismo, che a stento si può ancora riconoscere, in essa, quel che era appena qualche decennio fa: il presidio, per quanto imperfetto (per la sua componente umana, non per quella divina) della Verità di Gesù Cristo. Una Chiesa che nemmeno osa più parlare apertamente di apostolato, per timore di offendere i membri delle altre religioni, specialmente i giudei e i musulmani; e che teme, soprattutto, se così non facesse, d’incorrere nella riprovazione del Pensiero Unico Politicamente Corretto, secondo il quale il solo cattolicesimo che sia ancora accettabile, nella realtà del mondo moderno, è un cattolicesimo che rinunci spontaneamente alla sua prerogativa essenziale: quella di essere il depositario e il custode della Verità soprannaturale, che non tramonta e non invecchia, perché è eterna, come è eterno Colui che l’ha annunciata agli uomini. Solo a questo prezzo, cioè al prezzo di riconoscersi come null’altro che una delle tante "verità" religiose, e quindi di auto-distruggersi, di suicidarsi, al cattolicesimo sarà ancora concesso di sopravvivere: un cadavere ambulante senza più anima e senza alcun futuro.

Ebbene: il teologo-cameriere serve precisamente a questo: ad operare dolcemente, pietosamente, silenziosamente, l’eutanasia del cattolicesimo. In fondo, più che un teologo, egli è un becchino: si è preso l’incarico di accompagnare alle estreme esequie il carro funebre della Chiesa cattolica e di tutto quanto essa ha insegnato per un paio di millenni. Non è un’impresa da poco: ma il teologo-cameriere ha una grandissima opinione di se stesso, e nessuna impresa gli sembra troppo ardua per le sue robuste spalle (o forse, sarebbe meglio dire: per il suo stomaco più che robusto, capace di digerire qualsiasi cosa meglio di uno struzzo). Se anche fosse già morta — e ancora non lo è; ferma restandola nostra fede nella promessa di Cristo: Non praevalebunt — una istituzione che ha duemila anni di storia possiede un peso specifico tale da poter schiacciare sotto di sé, per forza d’inerzia, praticamente qualsiasi cosa. Stiano perciò attenti, i teologi-camerieri: non vendano la pelle dell’orso prima di averlo ucciso; non sottovalutino la forza della Grazia.

In fondo, l’obiettivo ultimo del teologo-cameriere è quello di abolire la fede, e di sostituirla con la ragionevolezza del cristianesimo; di abolire la distinzione fra il bene e il male (chi sono io per giudicare?); di mettere l’uomo sul trono lasciato vacante da Dio. Egli vorrebbe riciclarsi come il prete d’una nuova "religione": l’antropocentrismo. È il vecchio peccato, carico di pazza superbia, di Adamo ed Eva: il Peccato originale. Nulla di nuovo sotto il sole, a ben vedere: altro che modernità…

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Chad Greiter su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
Hai notato degli errori in questo articolo?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.