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Libera nos dalle teologhe moderniste e progressiste e dalle suore di clausura femministe

Suor Teresa Forcades è un esempio inquietante di dove possa arrivare la generale deriva modernista e progressista in atto nel clero cattolico, e di quali aberrazioni possa toccare la teologia che ancora si definisce cattolica, ma che, di cattolico, non ha ormai più nulla. Monaca benedettina, era entrata in convento a Barcellona, per sua stessa dichiarazione, in cerca di "un luogo di studio" ove attendere tranquillamente alle sue ricerche. Di solito si è folgorati dalla chiamata di Dio e si lascia tutto per seguirla; lei, invece, dice di aver sentito la chiamata e di essere "rimasta" in quel luogo ospitale, ma, a quanto pare, senza modificare la sostanza del suo orientamento esistenziale e speculativo: era e rimane una femminista in cerca di pezze d’appoggio ideologiche per le sue idee progressiste, omosessualiste e abortiste, nonché per le sue battaglie politiche e culturali, legittime fin che si vuole, ma tipiche di chi non si è abbandonato interamente a Dio, bensì vuol cambiare il mondo con i mezzi classici della lotta politica e dell’impegno intellettuale. Nel suo caso, la lotta politica consiste nell’appoggio alla lotta per l’indipendenza della Catalogna dalla Spagna, oltre che nella denuncia della politica israeliana ai danni delle popolazioni palestinesi; quella intellettuale, nella battaglia contro le grandi corporazioni farmaceutiche e in difesa della salute delle persone. Ma ella conduce anche una battaglia, ed è questo che ci interessa, per cambiare la morale cattolica. Di spiritualità, di Trinità divina, di Gesù Cristo, di Incarnazione, di Passione e Resurrezione del Signore, di redenzione del mondo dal peccato, di Maria Vergine, e di comunione dei santi, non sembra che parli molto, né che vi sia particolarmente interessata; né di conversione dell’anima, di crocifissione e morte dell’uomo vecchio e di rinascita dell’uomo nuovo, trasformato dalla grazia e dall’amore di Dio. Non si capisce bene, pertanto, in che cosa consistano la vocazione e l’ispirazione religiosa di suor Forcades, e meno ancora il suo essersi fatta suora di clausura. A quanto pare, la interessano soprattutto i temi etici, politici e sociali, che poco o niente hanno a che fare con la spiritualità benedettina, basata sulla massima ora et labora; e che lei, per giunta, tratta in maniera sostanzialmente difforme dal Magistero ecclesiastico e in aperto dispregio della Tradizione cattolica, la quale, su parecchi punti, non le piace, e che vorrebbe veder cambiata. Ci domandiamo: è per questa ragione che una persona, uomo o donna che sia, pronuncia i voti religiosi solenni di povertà, castità e obbedienza, ed entra in un monastero di clausura? Per rovesciare dall’interno la Tradizione cattolica e per modificare il senso delle Scritture, in omaggio alle tendenze emergenti nella cultura moderna? È così che si interpreta il senso della chiamata religiosa ed è in questo modo che ci si pone come esempio di fedeltà a Dio e alla Chiesa, offrendo un modello di riferimento ai laici che, oggi, sempre più spesso sono confusi e turbati dallo spirito del "mondo" e, perciò, più che mai bisognosi di trovare dei punti fermi per rafforzare la propria fede?

In convento, comunque, suor Teresa non c’è rimasta molto. Ha fatto presto a chiedere una dispensa e ad uscirne, al preciso scopo di potersi dedicare alla politica attiva, nel movimento indipendentista catalano — col modesto obiettivo di candidarsi alla presidenza del futuro Stato – e per poter girare il mondo a tenere conferenze, nelle quali, più che parlare di Dio, di Gesù Cristo, della santità e della conversione, espone le sue idee su come la Chiesa cattolica dovrebbe accogliere le nuove idee laiciste in materia di morale sessuale, di matrimoni omosessuali, aborto e così via. Dispensa prontamente accordata dai suoi superiori, ciò che le consente di presentare le sue idee come le idee di una monaca benedettina, mentre, in effetti, allo stato attuale ella non è niente e non rappresenta niente, se non se stessa: una tecnica di disorientamento che abbiamo già visto, anche qui in Italia, e adoperata con molta disinvoltura da teologi che si autodefiniscono cattolici e da sacerdoti, e non, i quali, invece di porsi a disposizione della Chiesa per salvare le anime — questa, se non andiamo errati, dovrebbe essere l’essenza della vocazione alla vita religiosa e sacerdotale -, si impegnano per spostare e trascinare la dottrina della Chiesa sulle loro posizioni, moderniste e progressiste.

Tali posizioni, quasi seguendo una strategia convergente e, ora, incoraggiata dallo stesso papa Francesco, sono caratterizzate da un accento sempre più forte posto sul relativismo etico e sull’indifferentismo religioso: siccome tutte le religioni portano a Dio, ne deriva che non vi è alcuna differenza sostanziale fra l’essere cattolici e l’essere protestanti, oppure l’essere giudei, islamici, buddisti o seguaci di qualsiasi altro credo, nonché l’essere atei militanti e dichiarati, come i radicali. Anzi, in quest’ultimo caso, ci sono ottime probabilità di venire apprezzati come persone e come attivisti, a dispetto — o forse appunto perciò — del proprio impegno a favore del divorzio, dell’aborto, dell’eutanasia, della libera droga, delle unioni di fatto, dei matrimoni omosessuali. Come si è visto stando alla maniera in cui il pontificato di Bergoglio ha dato l’estremo saluto al leader radicale Marco Pannella, il padre storico di tutte queste battaglie per trasformare in diritti civili, riconosciuti dalle leggi dello Stato, altrettanti peccati mortali contro Dio, contro il prossimo e contro se stessi. A meno che il magistero della Chiesa cattolica su questi temi sia cambiato silenziosamente, senza che noi ce ne siamo accorti: in questo caso, ci piacerebbe che qualcuno ce lo dicesse, e che qualche enciclica o qualche altro solenne documento papale lo mettesse nero su bianco, assumendosi tutta la responsabilità che deriverebbe da una dichiarazione aperta e non equivoca di eresia e di apostasia.

Tornando a suor Forcades, vale la pena di riportare alcune sue dichiarazioni, rilasciate alla giornalista Geraldine Schwarz del gruppo La Repubblica/L’Espresso, il cui orientamento politico e intellettuale è noto e non ha bisogno di ulteriori commenti, e consultabili sul giornale informatico de La Repubblica in data 9 febbraio 2016.

Suor Teresa – della quale si taccia un ritratto, più che favorevole, addirittura estasiato, definendola una suora di 49 anni, laureata in medicina e in teologia, a Barcellona e a Harvard, schietta e mite, che sorride mentre parla nonostante le critiche che spesso la raggiungono (ma che, evidentemente, non la toccano, né le suggeriscono un minimo di riflessione, di ascolto, di silenzio e di umiltà cristiana) — non si sottrae alle domande più esplicite sui temi "caldi" e non usa troppi distinguo nel ribadire imperterrita la sua linea, parlando non come una monaca benedettina (in teoria, di clausura), ma come una militante femminista e progressista di questo mondo profano, che si porta dietro, tutto intero, il bagaglio delle sue passioni civili e delle sue fermissime convinzioni sociali, politiche e culturali, senza mai un’ombra di modestia, di riservatezza, di prudenza.

Alla domanda su cosa pensi delle unioni civili e dei matrimoni omosessuali, da un punto di vista – si badi — prettamente religioso e cattolico, risponde: Un sacramento è la manifestazione dell’amore di Dio nello spazio e nel tempo. L’amore è sempre sacramento dell’amore di Dio se rispetta la libertà dell’altro. L’amore possessivo, al contrario, anche se è tra un uomo e una donna, può non essere sacramentale nel significato profondo del termine.

Cioè, dopo aver dato una definizione tutta sua di che cosa sia un sacramento – che è, in effetti, molto di più di quello che dice lei, e che immette la vita divina nella vita dell’anima -, si prende anche la libertà di decidere quando un matrimonio sia un sacramento e quando no – con l’escamotage, tipicamente gesuitico, di giocare con le parole, parlando di sacramenti che possono non essere sacramentali, e di sensi profondi che sfuggono ai comuni mortali -, per arrivare a concludere implicitamente, ma chiaramente, che l’amore fra due uomini, oppure fra due donne, se "rispetta la libertà dell’altro", sarà un vero sacramento, mentre non lo sarà quello fra un uomo e una donna, nel quale entri in ballo un atteggiamento di tipo possessivo. Complimenti, suor Teresa: lei ha portato nel Catechismo le sue concezioni femministe sulla libertà in amore, e non si fa scrupolo di deformare la definizione del matrimonio cristiano come sacramento, per avallare e supportare la sua ideologia omosessualista, che accoglie in tutto e per tutto la cosiddetta teoria del gender.

Richiesta se pensi che dei bambini, adottati da una coppia gay, possano crescere in modo sano, risponde: Sì, assolutamente. Quello di cui i bambini hanno bisogno è di [sic] un amore adulto, maturo e responsabile da genitori che antepongano le loro necessità alle proprie e che sappiano nello stesso tempo porre loro dei giusti limiti e aiutarli a crescere. Il fatto di crescere con due donne o con due uomini non rappresenta nessun problema. Nel Medioevo molti bambini crescevano in Monastero solo con donne o solo con uomini e molti di essi sono diventati santi.

Di bene in meglio. Dopo aver affermato che va benissimo, per un bambino, essere cresciuto da una coppia omosessuale, cosa che trova molte perplessità e molte contrarietà perfino nella cultura profana e che divide profondamente gli stessi psicologi, oltre al piccolo dettaglio che contraddice frontalmente il Magistero ecclesiastico – che riconosce una sola famiglia naturale e cristiana, quella fondata sull’unione di un uomo e una donna -, l’arzilla monaca femminista non si perita di proferire una autentica bestemmia, ché tale è il paragone fra un bambino cresciuto in convento e un bambino cresciuto da una coppia omosessuale. Il lettore non può non domandarsi se la brava "suora" ci fa o ci è: evidentemente, la similitudine non regge neppure sul piano strettamente logico. I frati o le suore di un monastero non fanno all’amore fra di loro e, se allevano, o allevavano, un bambino, non era per parodiare la famiglia naturale e cristiana, né per scambiarsi effusioni, baci e carezze in loro presenza, e nemmeno per considerarli loro "figli" in senso personale e giuridico. Senza contare il fatto che crescere in un ambiente unisessuale non ha nulla a che vedere con l’essere cresciuti in un ambiente omosessuale: possibile che la dotta teologa non veda la differenza? Anche una famiglia nella quale siano venuti a mancare la mamma o il papà, e nella quale vi siano solo fratelli o sorelle del proprio sesso, costituisce, per forza di cose, un ambiente unisessuale: ciò non significa che venga negata la necessaria complementarietà della figura maschile e di quella femminile, quali elementi costituitivi e irrinunciabili per la fondazione di una famiglia. Se, poi, le circostanze hanno portato via lo sposo o la sposa, la figura di colui o di colei che se n’è andato non evapora nel nulla, non viene negata, né viene negata la sua importanza e la sua insostituibilità. Questo, da parte di suor Teresa, è peggio che un colpo basso: è un sofisma in malafede. Se uno perde un braccio in un incidente, ciò non significa che non vi sia differenza alcuna fra l’avere un braccio, o l’averne due. Avere due braccia è secondo natura; averne uno, è il risultato di circostanze fortuite (e dolorose), che non menoma la sua dignità, ma che lo rende inabile, per forza di cose, a svolgere determinate attività e funzioni. Costui non potrebbe, ad esempio, prendersi cura di un bambino piccolo, perché per tenerlo in braccio, cambiargli i pannolini, eccetera, servono due braccia (se non le sue, quelle di qualcun altro). Non è affatto vero che basta l’amore: questa è la filastrocca che ripetono, a pappagallo, gli omosessualisti. Se così fosse, perché non dovrebbe bastare l’amore, per giustificare anche la pedofilia? Solo perché il ragazzino è un minorenne? Ma se quello che conta è l’amore, e se l’importante è la libertà, allora, supponendo che il ragazzino sia consenziente, perché ciò non dovrebbe bastare a giustificare, in ogni senso, il rapporto sessuale fra lui e l’adulto?

Sul tema dell’aborto, ecco cosa dice suor Forcades: Io credo che la Chiesa debba continuare a difendere la vita come un dono del quale non si può disporre a piacimento. Ma credo che la maniera migliore di farlo non sia promuovere leggi che criminalizzano le donne che interrompono la gravidanza. Non si può salvare la vita del feto senza mettere sotto accusa i diritti della madre. Allora è necessario chiedersi se vogliamo che uno Stato sforzi una donna a scegliere per il bambino. In questo caso, solo in questo caso, io propendo per la madre. Io credo che non si possano strumentalizzare le persone: non si può fare della madre uno strumento per la vita del bambino ma alo stesso tempo, e questo vale per la pratica della surrogazione, non si può neanche fare del bambino uno strumento del desiderio.

Qualcuno ci ha capito qualcosa? Ci pare che qui l’intervistata annaspi, balbetti, sproloqui. Forse il succo del discorso è nel passaggio: non si può fare della madre uno strumento per la vita del bambino. Dunque, sì all’aborto, se è la donna che lo vuole: tanto fumo per dire questo. L’intervista prosegue, ma crediamo che basti. E avanzi. Una volta erano i religiosi che portavano nel mondo il profumo dell’eterno: ora, nella Barcellona paradiso degli omosessuali, è il mondo ad ispirare suore come Teresa Forcades. In verità, ci pare che la Chiesa cattolica potrebbe e dovrebbe farne a meno…

Fonte dell'immagine in evidenza: RAI

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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