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28 Agosto 2016C’è una sorpresa per il turista che sceglie di trascorrere le vacanze estive a Lignano: nel tratto fra la Pineta e Sabbiadoro, in mezzo ai pini e a breve distanza dalle spiagge affollate dell’alto Adriatico, egli potrà ammirare, come se fosse uscita da un miraggio, una chiesetta medievale autentica, non fasulla come certi castelli della Florida o della California. Ma che cosa ci fa lì, apparentemente smarrita in un ambiente così lontano dalla sua vocazione naturale alla preghiera, al raccoglimento, alla meditazione e al silenzio?
In effetti, la chiesa di Santa Maria sorgeva sulla sinistra della foce del Tagliamento, in località Bevazzana (nel comune di Latisana); ma aveva già subito diversi allagamenti a causa delle piene del fiume, e i periti avevano sentenziato che, alla prossima, sarebbe stata la fine: l’antico edificio, ormai seriamente minacciato, sarebbe stato spazzato via per sempre, e, con le sue pietre, la corrente del fiume avrebbe portato via con sé secoli e secoli di storia, nei quali numerosi pellegrini, diretti alla Terrasanta o di ritorno da essa, vi si erano trattenuti per pregare; così come aveva fatto anche il papa Gregorio XII verso il 1409, allorché, durante lo scisma d’Occidente, vi era passato durante la sua fuga da Cividale, inseguito dal patriarca di Aquileia che parteggiava per il suo nemico, e diretto verso il rifugio offertogli da Ladislao di Angiò-Durazzo, re di Napoli.
Così, nel 1965-66, lavorando alacremente, la chiesetta è stata demolita in maniera metodica e pianificata, e poi trasportata e ricostruita a Lignano; salvando, nell’operazione, anche gli affreschi di un anonimo pittore di buon livello, attivo anche a San Daniele del Friuli, e databili alla terzultima decade del XV secolo, tutti dedicati alla glorificazione della Madre di Dio. Stella Maris è, nelle Litanie Lauretane, uno degli appellativi rivolti a Maria Santissima; e raramente un titolo è stato più azzeccato di questo, dopo la ricostruzione della chiesetta nella pineta di Lignano: anche se ormai da quasi un secolo, dopo le grandi bonifiche eseguite fra le due guerre mondiali, queste zone prospicienti la Laguna di Marano non vivono più di pesca, ma di turismo, e sono ormai ben rare le barche dei pescatori che escono prima di giorno per gettare al largo le reti, e i cui equipaggi, nel buio, rivolgono una preghiera alla Madonna per riceverne aiuto e protezione.
Chi entra nell’antico edificio, ha come la sensazione di essere tornato bruscamente indietro nel tempo: fra quelle antiche pietre, in quella mistica penombra, ammirando gli affreschi del ciclo mariano, egli si sente trasportato lontanissimo dall’atmosfera profana e vacanziera della vicina spiaggia; avrà l’impressione di venire immerso in un clima rarefatto, solenne, trepidante, dove l’unica cosa che conta è la ricerca dell’essenziale, e tutte le banalità e le frivolezze della vita moderna cadono come foglie secche d’autunno, e il vento se le porta via. L’essenziale è il ritorno dell’uomo a Dio: tutto il resto non conta, oppure conta nella misura in cui funge da ponte per questo passaggio, per giungere a questa meta. L’uomo medievale lo sapeva; l’uomo moderno no, perché, tutto preso da mille cose e reso orgoglioso dal suo "progresso", se n’è scordato.
Bene hanno fatto, dunque, gli amministratori e gli architetti che, nel 1965, hanno deciso di salvare in extremis questo piccolo gioiello dell’arte medievale (durante i lavori di smantellamento, sono emerse le fondamenta di un edificio ancora più antico, forse addirittura paleocristiano, col suo altare in pietra), anche se non si è trattato d’una decisione facile: in primo luogo, perché si è sottratto, e sia pure per cause di forza maggiore, a una comunità un edifico sacro, oltretutto di notevole valore storico, che da sempre le apparteneva; poi, perché simili operazioni di "trasferimento" pongono sempre complessi problemi di stile architettonico, che non trovano tutti concordi.
Così descrive la chiesa di Santa Maria del Mare, Enea Fabris — valoroso giornalista friulano nativo di Ronchis, classe 1934 — in un articolo apparso su Friuli Sera del 1° agosto 1966 (ripubblicato nel volume Lignano, mezzo secolo di eventi. Raccolta di notizie e fatti storici (stampato in proprio, Cormòns, Gorizia, Poligrafiche San Marco, 2009, pp. 25-26):
Il visitatore che si reca nella chiesetta di Santa Maria di Bevazzana, ora trasportata nella pineta di Lignano, non può fare a meno di notare su una parete due date incise in epoche lontane, ricordo forse di qualche antico pellegrinaggio, e di non soffermarsi col pensiero sul fatale corso del tempo, che cancella sì dalla faccia della terra intere generazioni di uomini, ma non il ricordo di esse. I lavori di trasferimento eseguito sotto la continua sorveglianza della Sopraintendenza ai Monumenti e Galleria della Fvg e dell’Efa (Ente friulano d’assistenza) per salvare questo piccolo gioiello d’arte quattrocentesca sono durati circa un anno. Come tutti sanno, infatti, questa piccola cappella è stata strappata alle acque del Tagliamento dalle quali era minacciata, travolta momento per momento e in particolar modo all’epoca delle recenti alluvioni se non si fosse provveduto in tempo al suo trasferimento.
Non ci sarà così tolta la possibilità di ammirare gli interessantissimi affreschi, che abili mani di sapienti maestri hanno saputo salvare durante le delicate fasi di trasferimento, e ricomporre in maniera perfetta e fedele all’originale. Il complesso pittorico vene attribuito da alcuni a Masolino da Panicale (1383-1440), da altri a Paolo Schiavo. Vi si può notare una deposizione di Cristi nel sepolcro, una madonna col Bambino, un Cristo benedicente e altri affreschi di indubbia bellezza. Soltanto uno di essi rappresenta Eva nel Paradiso terrestre, e anche questo per la forte umidità cui era soggetta la chiesetta, sommersa più volte dall’acqua per oltre due metri, è stato lievemente danneggiato nella parte più bassa. Particolarmente interessanti sono anche le cinque sinopie riproducesti gli affreschi della cupola, che sono state incorniciate e appese alle pareti.
Altri particolari che si notano con interesse sono una nicchia scolpita nel muro, all’altezza dell’altare principale, che serviva ad appoggiare le ampolle durante la santa Messa, e un’acquasantiera in pietra con varie iscrizioni in latino e una ben visibile datata 1496. Il tempio è stato riportato e ricomposto sempre secondo il suo stile, anche se per ragioni di sicurezza si è dovuta fare tutta la parte muraria bassa che, con il passare degli anni, era stata notevolmente danneggiata. Pure e parti in legno sono di nuova realizzazione, mentre tutto il resto è stato tagliato a pezzi, trasportato con mezzi adeguati in luogo adatto e rimontato sul posto nello stile originale. Sono state salvate numerose scritte, date e alcuni nomi di persone, incisi negli intonaci in epoche molto lontane.
Santa Maria di Bevazzana fece parte di un convento, ora scomparso, che nel settembre 1409 diede rifugio a Papa Gregorio XII inseguito dalle truppe del Patriarca di Aquileia Antonio Panciera, schieratosi con l’antipapa Alessandro V. Il convento a seguito di un crollo nel 1700 venne abbandonato, uguale fine sarebbe toccata alla chiesetta se le mani esperte e le capacità dell’uomo non avessero preso i dovuti provvedimenti. Il principale altare posto sotto gli antichi affreschi è stato rifatto in stile piuttosto moderno, ma il contrasto non nuoce affatto all’insieme.
Nel centro una nicchia accoglie una in legno che risale anch’essa all’epoca quattrocentesca. Entro il corrente mese l’edificio sarà aperto al culto, e ai turisti sarà riservato tutto attorno uno spazio di verde per la sosta La chiesa sarà illuminata da doversi riflettori che daranno all’insieme un effetto veramente suggestivo. Lignano, già ricca di bellezze naturali e di attrazioni turistiche, può vantare così ed offrire ai suoi ospito anche un angolo d’arte nascosto tra il verde dei pini.
Come dicevamo, è impossibile mettere tutti d’accordo, quando si pone mano a un’opera di "salvataggio" architettonico come quella riguardante la chiesa di Santa Maria del Mare. Ci si muove fra due scuole di pensiero diametralmente opposte, con tutte le possibili sfumature intermedie fra l’una e l’altra: da una parte, coloro i quali vorrebbero che un edificio di valore storico-artistico rimanga indissolubilmente legato al proprio territorio – fuori del quale sarebbe come una pianta esotica messa in una serra -, e che, costi quel che costi, ne condivida la sorte, fosse pure quella di soccombere alle alluvioni o ai terremoti; dall’altra, coloro i quali non solo sposterebbero disinvoltamente qualsiasi cosa, non che gli edifici, ma perfino dei paesi interi, e che, una volta messo mano all’opera, non si fermerebbero davanti ad alcuna libertà costruttiva, dato che, per essi, l’importante non è far rivivere la "lettera", ma lo "spirito" del manufatto in questione. In fondo, si tratta di una controversia fra urbanisti e paesaggisti, che richiama assai da vicino quella, perenne, fra traduttori e poeti: per tradurre un testo poetico da una lingua in un’altra, quel che importa è "salvare" il senso preciso delle parole, oppure ricrearne, per quanto possibile, la magia diffusa, l’incanto impalpabile e inafferrabile, e perciò sommamente misterioso?
Nel caso d’un edificio sacro, peraltro, vi è un ulteriore elemento di cui si dovrebbe tener conto: vale a dire il fatto che il vero architetto, in ultima analisi, non è un uomo, un gruppo di uomini o una comunità: questi sono, piuttosto, gli autori materiali e visibili; tuttavia, al di sopra di loro, agente attraverso di loro, vi è lo Spirito Santo, che illumina le loro menti e guida le loro mani. Una chiesa, bisognerebbe ricordarlo sempre – e magari se ne ricordassero certi architetti moderni, strapagati e smaniosi di celebrità, che ad altro non pensano se non a celebrare se stessi, la loro inventiva ed originalità, senza riguardo alcuno per il significato e la funzione dell’opera che stanno progettando! — è, in primissimo luogo, una fervida preghiera che si fa pietra, mattoni, vetro; è uno slancio dell’anima verso Dio, cui risponde la benedizione della grazia divina verso l’uomo: è l’incontro della terra con il Cielo, nella concordia e nell’armonia della creatura che cerca il suo Creatore e del Creatore che ama la sua creatura. I problemi di stile vengono dopo questo fatto essenziale; o per dir meglio, non dopo, ma insieme e coerentemente con esso: lo stile diviene l’espressione coerente di questa tensione spirituale, di questo reciproco abbraccio invisibile, ma quanto mai reale, fra l’uomo e Dio. Precisiamo ulteriormente : di questo abbraccio fra l’uomo e la santissima Trinità: il Padre che ha mandato il Figlio, e il Padre e il Figlio che hanno mandato lo Spirito Santo. Ricordiamo le due meravigliose terzine dantesche (Par. XXXIII, 115-120): Ne la profonda e chiara sussistenza / de l’alto lume parvermi tre giri / di tre colori e d’una contenenza; / e l’un da l’altro come iri da iri / parea reflesso, e ‘l terzo parea foco / che quinci e quindi igualmente spiri.
La questione del contesto urbanistico e paesaggistico andrebbe posta in conformità a questa fondamentale premessa. Abbiamo visto chiese non solo brutte e puramente umane, cioè pensate e realizzate come celebrazione dell’ingegno (?) umano e non come lode e ringraziamento a Dio, ma erette in luoghi inappropriati, per esempio fra un sexy shop e una discoteca, o fra un cinema e un supermercato. Certo, forse il sexy shop e la discoteca sono arrivati dopo; forse (ma non è detto: ormai non si fa più caso a certe cose; così come non si rispetta l’antica norma di orientare le chiese con l’abside verso il sole nascente e col portale principale verso il sole al tramonto, pregna di mistico simbolismo e alla quale nessun architetto medievale avrebbe osato, per quanto possibile, derogare). Oggi, infatti, e specialmente dopo la stagione del Concilio Vaticano II, da parte di molti sedicenti cristiani è subentrata la contro-norma d’ignorare e di smentire, ogni volta che sia possibile, la Tradizione cattolica, e quasi di farsi un vanto di ciò: sempre in nome del "dialogo con il mondo", sempre in omaggio allo "spirito dei tempi", o, come direbbe il papa Francesco, per evitare che la Chiesa si chiuda e si auto-celebri nel suo "clericalismo" (a proposito: non sapevamo che il clericalismo fosse una "malattia" della Chiesa: lo apprendiamo ora, dopo duemila anni, dalla bocca del sommo pontefice, e ne prendiamo buona nota).
Un luogo sacro è un luogo consacrato a Dio. Un luogo sacro alla religione cristiana è una preghiera e un omaggio offerti alla santissima Trinità, e reso idoneo affinché vi si celebri il sublime mistero del Banchetto eucaristico, prolungamento perenne dell’Ultima Cena di Gesù Cristo con i suoi discepoli. Un luogo sacro cristiano — occorre dirlo? — non è una moschea, né una sinagoga: e non può diventare il luogo di preghiera comune con i seguaci di altre religioni. Certo, Dio è uno solo: ma anche il modo giusto di accostarsi a Lui è uno solo: Io sono la Via, la Verità e la Vita, ha detto Gesù Cristo; nessuno può venire al Padre se non per mezzo di me. Nessun ecumenismo e nessun modernismo teologico possono scalfire di uno iota le parole di Gesù. Lo stesso principio vale per il modo in cui si entra in chiesa: il triste spettacolo estivo degli uomini in calzoni corti e delle donne ampiamente scoperte mostra fino a che punto i cristiani hanno smarrito il senso di ciò che fanno…