
Storie di ordinaria follia (buonista)
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28 Luglio 2016Gli adulti e l’educazioni dei bambini: i bambini, si dice, devono essere educati; sì, certamente: ma educati a che cosa?
Non è poi così evidente, specie nella società attuale. Il mondo moderno sembra avere smarrito il progetto educativo nei confronti dei bambini e degli adolescenti; di più: sembra averne smarrito il senso. La scuola odierna, per esempio, e, molto stesso, anche la famiglia, non si preoccupano veramente di educare, ma solo di istruire e di fissare delle mete da raggiungere, degli obiettivi da conquistare. Ma in vista di che cosa? Silenzio assoluto. O meglio, la risposta pratica arriva dal comportamento degli adulti stessi: vivere alla giornata, senza farsi troppe domande, e perfino vantandosi del qui e ora assolutizzato e innalzato a regola suprema di vita. Cattiva imitazione pratica della cattiva filosofia di Nietzsche: il "sì" alla vita, qui e ora, e poi di nuovo, e di nuovo, sempre, all’infinito (l’eterno ritorno): è questa dunque la vita?, ebbene, ancora! Povero Nietzsche: già la sua proposta non stava in piedi, mancandole del tutto le basi sia filosofiche, sia etiche — in fondo, si riduce a un vitalismo eroico, quasi alla Sturm und Drang, e nulla più; ma già Kant si era messo per quella strada, col suo apodittico: Tu devi!, senz’altra spiegazione; figuriamoci il qui e ora dei suoi scadenti imitatori o ventriloqui, i quali non possiedono neppure la sua tensione spirituale, ma cercano solo una formula per legittimare il loro edonismo grossolano.
Un progetto educativo, dunque, ci vuole: nessuna società può permettersi il lusso di farne a meno. Ma per fare cosa? Per andare dove? O meglio: per indirizzare il bambino in quale direzione, per additargli quali mete, quali scopi, quali orizzonti di senso? Strana contraddizione: viviamo immersi in una cultura razionalista e scientista, che pretende di avere una risposta per ogni dubbio, uno specialista per ogni caso che si presenti; però la società, nel suo complesso, non sa dove vuole andare, non sa verso cosa indirizzare le ultime generazioni. E allora proviamo a formulare noi una linea di condotta, una meta da perseguire: diciamo che lo scopo dell’educare è, come dice la parola stesa, trarre fuori da un giovane, o da un giovanissimo, le sue potenzialità latenti: ma, ecco il primo distinguo rispetto alla vulgata oggi imperante, non tutte indistintamente, perché non tutto è buono al livello dei nostri istinti, non siamo del tutto farina da far ostie. La natura non è buona in se stessa; lo era quando fu creata, lo era prima del Peccato: ora non più; pur non essendo neanche del tutto malvagia, certo è predisposta al male. E, per sincerarsene, basta osservare un paio d’ore dei bambini che giocano: prima o dopo almeno uno di loro tradirà il marchio di Caino, con un gesto di prepotenza, con una parola cattiva, con un dispetto gratuito.
Dunque: educare alla realizzazione della propria parte migliore; educare a divenire quel che si deve essere. Questo è un punto fondamentale: noi non siamo nati per diventare qualsiasi cosa, magari la più aberrante, ma per essere quel che dobbiamo essere, nel piano universale dell’armonia voluta da Dio. Diamo chiamati per dire "sì" o per dire "no" a quel piano, a quell’armonia; dunque, non abbiamo la libertà di fare e di essere qualunque cosa: quella non sarebbe libertà, ma licenza, abuso, ingiustizia. Oggi va di moda, specialmente da parte degli psicologi, dire alle persone: fa’ della tua vita quello che vuoi; è un immenso errore, oltre che un consiglio moralmente sbagliato; bisognerebbe dire: fa’ della tua vita quello che è giusto; dove il concetto di "giustizia" non è un giocattolo che ci è lecito adattare a tutti i nostri gusti, ai nostri capricci e, magari, alle nostre perversioni, ma una realtà oggettiva, perenne, non negoziabile, stabilita dall’alto prima di noi.
La nostra vita può dirsi riuscita o fallita a seconda che, in essa, ci siamo avvicinati, almeno in parte, a quell’ideale di giustizia, che abbraccia, insieme alla nostra, tutte le altre vite, passate, presenti e future, e tutte le altre realtà, visibili e invisibili, transitorie ed eterne. Poco importa quel che pensano gli altri, il giudizio del mondo non ha alcuna rilevanza: l’unica cosa che conta è la fedeltà al disegno originario, che è un disegno divino, e, dunque, provvidenziale. Noi siamo provvidenziali, a noi stessi e agli altri, ogni qual volta interpretiamo fedelmente il nostro ruolo davanti alla giustizia divina; siamo pietre d’inciampo, per noi stessi e per gli altri, ogni volta che ci discostiamo da quella fedeltà, che veniamo meno a quella giustizia. Se, poi, un bambino, fattosi adulto, diventa miliardario, o presidente della Repubblica, oppure se diventa un semplice lavoratore, un padre di famiglia come tanti, la cosa non ha la minima importanza: tutto quello che conta è la fedeltà alla chiamata; il resto è fumo negli occhi da parte del mondo.
Ora, delle cose fondamentali che devono scandire il processo educativo, tre ci sembrano avere la precedenza su tutte le altre: guidare il bambino al sentimento della meraviglia; guidarlo a farsi delle domande intelligenti; guidarlo a rispondere lealmente e onestamente alla propria vocazione personale. Questi tre punti sono stati esposti con molta chiarezza, oltre che con semplicità, in una pagina scritta da don Tonino Lasconi – classe 1943, giornalista e scrittore –, dedicata all’azione educativa del catechista; ma, secondo noi, il discorso è altrettanto valido per l’educazione dei bambini, nel suo significato più generale (nel volumetto: O catechista, mio catechista. Idee, stimoli, spunti, rifornimenti creativi per i catechisti parrocchiali, Milano, Paoline, 1997, pp. 66-67):
Il primo atteggiamento da coltivare nei bambini(subito, perché altrimenti sarà difficilissimo)è la meraviglia. Senza la meraviglia, noi e le cose che ci circondano finiscono [sic] soffocati dal materialismo. E nel materialismo non fiorisce la preghiera.
Ci siamo mai domandati perché la preghiera di lode è così rara fra i cristiani? Il motivo sta qui; non siamo stati educati alla meraviglia. Tutto sembra normale, logico, dovuto. Con questa mentalità, la nostra preghiera non può non esaurirsi nella richiesta: "Dio, dammi questo, dammi quest’altro, dammi quest’altro ancora!".
Il secondo atteggiamento è quello di domandarsi: "Perché?"
Di fronte al bene, al male, all’amore, alla violenza, all’amicizia, all’indifferenza…: "Perché?"
Non è per niente logico che le cose vadano come vanno. Senza questo atteggiamento, non può fiorire la preghiera di meditazione, di ricerca di senso, di lotta con Dio, di richiesta di aiuto, di ringraziamento. Tutto diventa banale, scontato, ovvio. E se qualcosa, come la morte, continua a romperci le uova bel paniere, non rimane altro che esorcizzarla, fare gli scongiuri, affidarsi agli oroscopi e ai maghi.
Il terzo atteggiamento da coltivare fin dai primissimi anni è quello del "Tocca a me!": la realtà che vive in me e che mi circonda mi chiama a intervenire, ad agire, a correre ai ripari. Non posso dire: "Ci penserà qualcun altro: il sindacato, il governo…".
Non posso dire soprattutto: "Ci deve pensare Dio e, se non ci pensa, gliela faccio pagare. Non lo prego più, non vado più in chiesa, non gli accendo più la candela. Così impara!".
Che pena sentirsi continuamente dire: "Ma che cosa fa Dio? Non vede che c’è tanta gente che muore di fame? Non vede che gli innocenti soffrono?".
Che cosa fa Dio?! E noi che cosa facciamo? Possiamo accontentarci della preghiera del mattino e della sera, di quella prima del pranzo, delle intenzioni lette durante la messa?".
Stupirsi davanti alle cose: tale è il sentimento fondamentale dell’uomo; una educazione che non ne tenga conto, che non faccia perno su di esso, che non lo valorizzi al massimo e che non si preoccupi di alimentarlo incessantemente, con lo stesso scrupolo con cui il buon giardiniere si preoccupa di dare sufficiente acqua ai fiori, specie durante la lunga siccità estiva, sarà sempre una educazione gravemente carente in ciò che è essenziale alla costruzione della vera umanità. Un uomo adulto che non si stupisce di nulla è un uomo disumanizzato, un alieno; ma questo è quel che fatalmente accade, se non ci si prende cura di alimentare la meraviglia negli occhi e nel cuore del bambino.
Qualcuno potrebbe chiedere perché il sentimento della meraviglia, l’attitudine a stupirsi, siano così importanti per la formazione della persona. Rispondiamo che essi servono a preservare l’incanto del mondo; e che una umanità disincantata si auto-distruggerebbe in brevissimo tempo, perché solo l’incanto del mondo fa sì che gli esseri umani tengano a bada la loro parte inferiore, egoista, malvagia, e siano spronati ad esprimere la loro parte più nobile, quella più generosa, capace di nobili slanci e di sacrificarsi per un alto ideale. Una persona disincantata del mondo è simile a una mina vagante, pronta ad esplodere: il che sta diventando vero alla lettera, se solo si scorrono le cronache di quotidiana follia che caratterizzano la società attuale, dove chiunque, perfino un adolescente, non esista a dare la morte a delle persone sconosciute, immolando anche la propria vita, in nome di deliranti ideologie necrofile, ma, in realtà, per dare sfogo al proprio malessere represso, alla propria disperazione lacerante.
La perdita dell’incanto provoca, dunque, la perdita dell’innocenza; la perdita dell’innocenza, la perdita della speranza; e quando un essere umano è disperato e pieno di rabbia, diventa capace di qualunque atto distruttivo, perché la vita, ai suoi occhi, ha perso ogni valore e perché il desiderio di vendicarsi, di farla pagare al mondo intero, diventa l’unica sorgente di energia per continuare a vivere ancora un poco. Il ragazzo iraniano che, in Germania, ha ucciso nove persone e ne ha ferite molte altre, sparando in faccia a dei ragazzini, prima di togliersi, a sua volta, la vita, stava preparando da circa un anno il suo terribile gesto. Ciò significa che, da almeno un anno, egli era spiritualmente morto, aveva ucciso in sé ogni residuo di speranza, aveva deciso di morire e di dare la morte a quanti più giovani possibile, per rifarsi delle proprie frustrazioni e delusioni; era morto, dunque, e un demone aveva preso il suo posto, si era insediato nella sua anima, e lo stava guidando, passo dopo passo, giorno dopo giorno, verso il suo destino di rabbia e morte.
Finché il mondo conserva il suo incanto agli occhi dei bambini, e lo conserva anche mentre essi diventano, lentamente, adulti, ci sarà speranza, per essi e per il mondo; e finché c’è speranza, niente è ancora perduto e tutto si può ancora realizzare. Ecco perché quegli intellettuali che hanno fatto della distruzione dell’incanto del mondo la loro ragione di vita, dovrebbero essere guardati con quella ripugnanza e con quel disprezzo con cui si guardano una bestiaccia schifosa, un rettile velenoso: essi seminano disperazione e contribuiscono, così, potentemente, a creare il clima di rabbia e il desiderio di morte che pesano come una cappa di piombo sula nostra società. Così come non si permette a un industriale incosciente, poniamo, di scaricare i veleni della sua fabbrica chimica nel torrente più vicino, perché ciò equivarrebbe a permettergli di inquinare, in breve tempo, tutta la circolazione delle acque di quel determinato bacino, allo stesso modo non si dovrebbe permettere a dei sedicenti intellettuali d’inquinare l’amore per la vita e disseminare all’intorno i loro malefici germi di rabbia, di confusione, di violenza, di lucida follia.
Le altre due cose fondamentali per l’educazione, abbiamo detto, sono l’attitudine a farsi delle domande intelligenti sul reale in cui ci troviamo immersi, e la capacitò di rispondere positivamente alla chiamata, riconoscendone i segni e sapendola ascoltare in maniera adeguata. Il fatto di porsi delle domande intelligenti sul significato del reale è la conseguenza della capacità di stupirsi: le due cose sono strettamente collegate. Solo chi si sa fare tali domande, sa anche conservare più a lungo l’incanto del mondo: perché formulare domande non è la stessa cosa che pretendere di avere sempre la risposta esauriente; anzi, è una tappa del cammino che permette di capire che, a certe domande, non è possibile dare una risposta umana pienamente soddisfacente, ma che esse rimandano a una verità soprannaturale, per la quale la sola ragione strumentale e calcolante non è affatto sufficiente. Senza la capacitò d’interrogarsi, si finisce per accettare tutto, per trovare normale ogni cosa, anche la più anormale, la più sbagliata o la più ingiusta.
Infine, il sentirsi coinvolti in un vastissimo piano provvidenziale, grande quanto l’universo intero e che abbraccia ogni momento e ogni epoca della storia: anche questo è essenziale. Ci si sente coinvolti quando si capisce che nessun uomo è un’isola, che nessuno può far parte per se stesso; che la solidarietà fra tutti i viventi è il solo atteggiamento possibile, etico e veramente razionale, nel senso più profondo di questa parola. Noi siamo chiamati: lo siamo stati fin da prima di nascere, fin da prima del nostro concepimento; e il senso ultimo della vita sta nel rispondere alla chiamata…
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