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C’è un segreto indicibile dietro la morte del vescovo Egidio Negrin?

Nel precedente articolo, Floriana De Marchi, una storia semplice (pubblicato su Il Corriere delle Regioni in data 14/07/2016), abbiamo riportato la prima parte della testimonianza di suor Floriana De Marchi, allora maestra d’asilo presso la casa delle Francescane Missionarie del Sacro Cuore di Gesù, che gestivano una scuola d’infanzia a Castagnole, frazione di Paese, nella diocesi di Treviso (mentre la loro casa madre era a Gemona del Friuli), circa le presunte profanazioni, i prodigi eucaristici e le apparizioni di Gesù, che avrebbero avuto luogo nell’arco di sette anni, dal 1955 al 1962; dopo di che, la suora venne trasferita dai suoi superiori a Borgo Grappa, in provincia di Latina, dove decise di uscire dall’ordine religioso e di fondare i Cenacoli Serafici, secondo quanto le avrebbe chiesto di fare Gesù stesso.

Secondo il suo racconto, il vescovo Negrin era al corrente tanto delle profanazioni, quanto dei prodigi e delle apparizioni, eventi che ella aveva tenuto gelosamente per sé, e dei quali, allora, erano a conoscenza solo pochissime persone; non solo: suor Floriana sostenne che il vescovo, già malato, si era consapevolmente offerto quale vittima in espiazione per gli orrendi sacrilegi perpetrati, e che l’aveva incoraggiata a dare attuazione al suo proposito, affidandole oralmente una sorta di mandato morale (un po’ come avrebbe fatto, secondo il racconto di don Luigi Villa, che lottò strenuamente contro le infiltrazioni massoniche nella Chiesa cattolica, padre Pio da Pietrelcina, nei suoi confronti), proprio dal letto di morte. Gli incontri avrebbero avuto luogo in forma estremamente riservata, quasi segreta – perché monsignor Negrin non si sarebbe fidato di nessuno -, prima in vescovado e nel paese stesso di Castagnole, da ultimo in ospedale, a Treviso, dove il vescovo fu ricoverato per la sua dolorosa malattia, durante la quale venne anche visitato dall’allora patriarca di Venezia, Angelo Roncalli, il futuro papa Giovanni XXIII.

Non esistono riscontri oggettivi di tali affermazioni e, pertanto, esse non possono venite accettate sul piano storico, se non con estrema riserva. Una inchiesta avviata dal successore di monsignor Negrin, il vescovo Antonio Mistrorigo, diede esiti negativi; ne venne dato conto sul settimanale diocesano di Treviso, La vita del popolo, sul numero del 30 agosto 1981. La stessa cosa vale per una analoga inchiesta avviata dal vescovo di Latina, Enrico Romolo Compagnone, dato che anche in quella località suor Floriana avrebbe avuto una apparizione miracolosa, questa volta della Vergine Maria, nel 1967, sempre per incitarla a fondare i Circoli Serafici quale gesto di riparazione contro l’azione del Diavolo nella società moderna. Al coro di smentite si è aggiunta, molto più tardi, anche la voce del vescovo di Trento, Luigi Bressan, il quale, con una lettera circolare del 4 luglio 2002 alle sue comunità parrocchiali, ha messo in guardia i fedeli dal prestare fede al racconto dei seguaci di suor Floriana (ex suora, perché frattanto ridotta allo stato laicale, su sua richiesta, come recita la formula d’uso), affermando che l’azione dei Circoli Serafici, ed il culto da essi praticato, rischia di "snaturare il messaggio cristiano".

Di monsignor Negrin esistono almeno due biografie "ufficiali", una, più recente, di Giuseppe Pulin: Monsignor Egidio Negrin: il ricordo di un Vescovo nato a Santa Maria di Camisano Vicentino cent’anni fa, (Camisano Vicentino, Gabo Libri, 2007), e una di monsignor Fausto Rossi, Egidio Negrin Vescovo. Chi semina nelle lacrime mieterà con giubilo (Roma, Edic, 1984). Però le vicende narrate da suor Floriana non trovano spazio nelle versioni ufficiali e sono accettate solo nella cerchia dei suoi seguaci, i quali la ritengono persona così degna di fede e di venerazione, da organizzare anche dei pellegrinaggi alla sua casa natale, nel paese di Cavasagra, frazione di Vedelago (Treviso). Non c’è da stupirsene: si tratta di racconti che hanno veramente del sorprendente; e, se è vero che un cristiano non può escludere, in linea di principio, le manifestazioni del soprannaturale, resta affidato alla coscienza e al giudizio di ciascuno quale grado di verosimiglianza riservare a questa o quella "rivelazione privata", fatto salvo il diritto della Chiesa di esprimere una propria valutazione.

Ecco il racconto di suor Floriana, errori linguistici compresi (da: Ritornate alla fonte, a cura delle Sorelle dell’Eremo di Bassiano, Latina, 1989, pp. 54-59):

Riferii tutto [cioè le profanazioni e le apparizioni nella chiesa di Castagnole] al Confessore degli Esercizi (1955). Egli mi disse di parlare al Vescovo. Arrivò il momento di potermi avvicinare a lui per parlargli di quei dolorosi avvenimenti. Andai da lui l’ultima settimana di settembre 1956, gli raccontai tutto, ed egli mostrava non solo di capire, ma di intuire quello che dicevo, e mi fece notare che non pretendeva di vedere il miracolo, ma che gli avessi portato i Lini in una scatola. Erano macchiati quando li avevo presi dalla sacrestia, e pregai il Signore che egli pure li vedesse, non la mia preghiera, ma la sua fede gli fece vedere. Il Vescovo, nel constatare ciò, si prostrò in ginocchio e, piangendo, rimase così per alcuni minuti; sembrava che parlasse con il Signore; poi alzatosi, egli stesso li lavò, dicendo che non avrebbe avuto più paura di niente (aveva tante difficoltà, era di poche parole…, fu conosciuto dopo, avendo egli un’intima unione con Dio). Mi disse: "Questo è un miracolo che non sembra sia terminato. Iddio vuole silenzio, offerta e sacrificio; aspettiamo la Sua Ora". Dopo aver spremuto i Lini e rimessili nella scatola, mi fece tante raccomandazioni, specialmente di tacere. Mi chiamò altre volte per mezzo di un foglietto senza firma, perché non si fidava… Anche sul pavimento (del presbiterio della chiesa), sebbene cambiato e rinnovato, restò il segno: una macchia rossastra che dà sul ruggine, giù dell’ultimo scalino, a destra, guardando l’Altare (era il segno di una Particola inzuppata di sangue, sul pavimento, fuori del tappeto-corsia). Questo segno lo aveva richiesto il Vescovo, che lo vide quando venne per benedire la chiesa rinnovata. Quando ci siamo incontrati, dopo una settimana, il Vescovo mi disse che mai in vita sua aveva celebrato una S. Messa così; avendo sentito la presenza del Signore tanto vicina, era commosso. Da quell’istante io trovavo sollievo nei pochi momenti destinati alla pulizia, nell’adornare quel sacro Altare.

Avevo appena richiuso il sacro Tabernacolo, che gli autori dei sacrilegi mi furono vicino. Mi obbligarono a dover raccontare tutto al Rev.do Arciprete, tacendo il loro nome, e di dire che le colpevoli eravamo state noi Suore (anche di quello che essi avevano rubato: biancheria, candele, soldi — e non pochi — delle elemosine).Mi rifiutai con forza, pur non riuscendo ancora ad orizzontarmi per il doloroso e grande avvenimento. Si vendicarono d’accordo con altri; ci portarono via galline, biancheria di casa e personale, un po’ alla volta: una volta stesa al sole, un’altra appena stirata, sul tavolo della sala, sotto i nostri occhi. Quanto fu duro quel periodo! Pregavamo piangendo. Non si poteva neppure andare a Treviso liberamente, perché uno di loro o altri salivano in corriera. Si pensava di fare un’uscita a Gemona, ma eravamo seguite. Con il Rev.do Arciprete ci mostravamo sempre disinvolte [perché era malato di cuore; si tratta di don Egidio Capoia, morto nel 1967]. Si arrivò a non avere più nulla. Solo il buon Dio sa l’amarezza di quei giorni. Piene di fede, le Suore una mattina (primo venerdì) mi dissero: Proviamo a cercare qualche cosa a Treviso". Appena finita la S. Messa, partirono: non avrei voluto vederle uscire, tanta era l”angoscia. Tornarono con due borse di pasta, pane duro, un po’ di formaggio e patate: tutto ottenuto chiedendo la carità nei negozi. Ci trovavamo unite la sera ringraziando Dio. Pur rimanendo chiusi nel loro dispetto, non si avvicinarono più. Una mattina, in chiesa, il più giovane mi disse contro la sua volontà — forse vedendo in noi tanta serenità (almeno esterna) e silenzio con tutti: "Come fate? Ma el ghe ze proprio questo Dio, se no, sareste scampa… " (Come fate? Ma esiste veramente questo Dio, altrimenti sareste fuggite…"), e si allontanò, asciugandosi gli occhi.

Pian piano passò anche questa prova. Sua Eccellenza il Vescovo, sentendo ormai la morte vicina, all’Arciprete che gli chiedeva se fosse potuto venire in parrocchia per benedire la chiesa rinnovata e l’asilo rifatto, quasi nuovo, disse: "Don Egidio, se non hai soldi, ti aiuto io. Giacché hai rinnovato tutto, rinnova per intero anche il S. Tabernacolo". L’Arciprete, al suo ritorno, mi disse solo così, quasi avendo paura di saperne ancora, tanta era la sua angoscia. Il S. Tabernacolo fu fatto tutto nuovo. Fu un giorno di grande gioia per il Vescovo e per noi. I piccoli del’asilo, vestiti di bianco, circondavamo il S. Altare; la chiesa era piena (a poco a poco la fede era cresciuta). Il Vescovo era commosso; non riuscendo a parlare, sospese la predica. Con tutte le autorità, come si usa fare, venne a benedire l’asilo. Ormai l’ora era passata. Congedò tutti e rimase nella cappella nostra ai piedi dell’Altare. Uscito, egli stesso ci cercò. Stavamo svestendo i bambini, non sapendo che si trovasse in cappella. Quel giorno eravamo solo in due. Una era andata a Gemona per i santi voti perpetui. Egli ci disse con grande bontà: "Volevo vedervi per ringraziarvi di quanto fate". Ci chiese dell’altra Suora: "La benedico di cuore", disse, "e la ricorderò nella S. Messa". Fuori in istrada, il corteo delle macchine attendeva (il suo Segretario venne due volte a chiamarlo). Ci disse: "Avevo tanto desiderio di vedervi. Continuate così. Tacete, lavorate, e il paese sarà salvo". Quando era già salito in macchina, voltandosi ancora una volta, ci benedisse. Rimaste sole, non sapevamo che cosa dire, specie la Suora che non conosceva il perché.

Ai primi di novembre il Vescovo entrò in ospedale, rimanendo due mesi, sempre fra acuti dolori. Mi scrisse di andarlo a trovare un giorno, verso serra, a metà novembre. Mi accolse con tanta bontà, più che un padre. Diceva di essere tanto felice di poter consumare il suo sacrificio e di unirmi, sia pure nella mia miseria. Fissò ancora un giorno per un’ultima visita, e fu così l’ultima [si sarebbe spento il 15 gennaio 1958, poco più che cinquantenne]. Ormai il male lo aveva sfigurato: quanta pazienza e serenità…! Fu un saluto che non si può dimenticare. Non potevo vincermi, e piangevo tanto. Egli pure era commosso dicendomi: "Il Signore sa quanto mi dispiace lasciarti; da me volle e si degnò accettarmi in espiazione. Tu rimani a continuare, sempre forte; avrai sempre il mio aiuto presso il buon Dio. Una vita così segnata da Lui sarà certamente dura, perché i sacrilegi furono gravi. Lavora più che puoi; niente ti costi con le buone Sorelle per educare santamente quella innocenza…". Mi assegnò di nuovo alcune penitenze, ore di adorazione, fino a che avrei parlato con i Superiori, quando il miracolo del Sangue sarebbe cessato. Mi raccomandò, tenendomi la mano sulla testa, e benedicendomi, la cura scrupolosa dell’Altare, con fiori e tovaglie sempre rinnovati, a costo di qualunque privazione, assicurando la salvezza di quei poveretti.

Signore, mio Dio, ricordo in queste pagine le Tue grandi e infinite misericordie, solo per Tu comando. Tu, o mio Signore, sai con quanta confusione le scrivo, e con quanto desiderio di ricambiarTi almeno in parte, riparando. La Tua sacra Persona, anche se non sempre visibile, come nell’istante del grande miracolo, continua a seguirmi con infinito amore. Quanto ha scosso la mia povera vita la vista del Tu prezioso Sangue sui santi Lini, e poi tanto spesso sulla Tua Croce! Quel S. Altare, senza volerlo, attira, e la Tua sacra voce ripete sempre: "Non abbandonarMi!".

Che cosa pensare di tutta questa strana storia? Per prima cosa, che è, appunto, molto strana. Ma cosa vuol dire strana? "Strano" viene da "estraneo" e indica, perciò, qualcosa di "straniero", di non comune; qualcosa che suscita perplessità. Ebbene, tutti i fenomeni del soprannaturale sono "stranieri", per noi, in questa vita; ciò non significa che non esistano, ma solo che facciamo fatica a comprenderli e accettarli. Possono accadere, dunque; e, di fatto, accadono: tutto sta a separare quelli autentici da quelli falsi. La linea di separazione, tuttavia, non è così netta come si potrebbe pensare: opinare diversamente, significa avere introiettato in pieno la mentalità laicista e scientista, secondo la quale le cose sono bianche o nere, vere o false: vere quelle documentabili e dimostrabili scientificamente; false, le altre. Le cose, però, non stanno così. Una apparizione soprannaturale può essere vera, verissima, nel senso di realmente percepita da un determinato soggetto, e tuttavia invisibile per tutti gli altri, anche se si trovano lì presenti, in quel preciso momento (e lo si osservato a Lourdes, a Fatima e altrove). È questa la vera difficoltà cui vanno incontro le inchieste per le cause di beatificazione: trovare un criterio oggettivo per stabilire la presenza del soprannaturale. Per convenzione, si è deciso di fondare questo criterio sul verificarsi di un "miracolo", ad esempio di una guarigione assolutamente inspiegabile. È il criterio a cui si attiene la Chiesa "ufficiale"; ma sia chiaro che non è il solo. La difficoltà che essa manifesta nel pronunciarsi sui fatti di Medjugorje, che si protraggono da più di un trentennio, deriva da qui. La stessa difficoltà ha pesato nel processo contro Giovanna d’Arco; sebbene, nel suo caso, oltre alle pressioni politiche, vi fosse la non lieve difficoltà aggiuntiva di stabilire se le "voci" che la fanciulla udiva, e che le ordinavano di agire come aveva agito, venissero da Dio o dal Diavolo.

E adesso torniamo al caso di suor Floriana. Stando al suo racconto, a un certo momento anche le altre suore dell’asilo di Castagnole divennero consapevoli di quel che stava accadendo, anche se non è chiaro fino a che punto fossero informate circa i prodigi e le apparizioni. Erano a conoscenza delle profanazioni anche il suo confessore e lo stesso vescovo, Egidio Negrin, da lei informato; ma non lo era del tutto l’arciprete del paese, per un riguardo alla sua salute. Pare vi sia stata una persecuzione vera e propria, a scopo intimidatorio: le profanazioni delle sacre Ostie sarebbe state parte di un piano più vasto, mirante a intimidire il parroco e le suore. Oltre alle profanazioni sacrileghe, vi sarebbero stati furti, minacce, percosse, pedinamenti. Un gruppo di persone del luogo odiava la Chiesa e voleva costringere le suore ad allontanarsi, e l’arciprete, forse il vescovo stesso, a scenderete a patti, in base a un codice di tipo quasi mafioso.

Questo ci riporta al clima socioculturale, politico ed economico degli anni ’50, nella provincia veneta profonda. Lo stereotipo del pacioso "feudo bianco" e clericale, alimentato anche dal cinema e dalla letteratura, deve essere, almeno in parte, rivisto. Anche se è innegabile che la Chiesa esercitasse ancora una forte presa sulla vita sociale e spirituale, è altrettanto vero che il rapidissimo boom economico, che peraltro giungerà in quelle terre solo nel decennio successivo, stava rapidamente modificando i rapporti di forza, oltre che i modi di pensare e di sentire, introducendo cambiamenti antropologici di non lieve entità, a cominciare dalla morale quotidiana, con l’affacciarsi dell’edonismo e del consumismo, fenomeni prima inesistenti. Il Veneto era ancora una zona povera, arretrata, una terra di emigrazione; sui comunisti pesava ancora la scomunica di Pio XII; pure, in un clima spirituale sostanzialmente "sano", nel senso di coerente e condiviso, vi erano anche dei segni d’ inquietudine, di malessere. La guerra civile del 1943-1945 era terminata da un decennio, il che è molto o anche poco, secondo i punti di vista. La scia dell’odio e i tragici ricordi erano ancora relativamente recenti; molti delitti erano rimasti impuniti, molti cadaveri erano addirittura scomparsi; delitti politici continuavano a verificarsi ancora un paio d’anni dopo la fine "ufficiale" delle ostilità. Nelle poche zone a forte concentrazione operaia, come Mestre, il risentimento contro il clero e contro la religione erano molto forti. D’altra parte, ai vertici della Chiesa qualcosa stava bollendo in pentola: alcuni vescovi e teologi "progressisti" preparavano il terreno da cui sarebbe germogliata la svolta del Concilio Vaticano II. Di tutte queste variabili e di questi delicati equilibri, sia interni che esterni alla Chiesa, bisogna tener conto. Si giunge facilmente alla conclusione che l’episcopato e il clero veneto (guidati dal patriarca Roncalli) desideravano evitare ad ogni costo uno scontro aperto con le sinistre, anche a costo di mandar giù qualche boccone amaro, poiché si rendevano conto che la struttura sociale era destinata a cambiare, dalla quella basata sulla famiglia patriarcale contadina a quella mononucleare, operaia e urbana; e ritenevano che fossero necessarie alcune "aperture" per non perdere la propria influenza sulle masse. Fu un errore, naturalmente, oltre che una grave infedeltà al sacro Magistero: lo stesso errore del Concilio Vaticano II; ma il discorso, su ciò, sarebbe troppo lungo, e non è questa la sede per farlo.

Da tutto questo consegue che non è affatto inverosimile che, se una profanazione, o una serie di profanazioni, vi furono, nella chiesa di Castagnole, il vescovo Negrin, che poteva ben essere il destinatario finale di tali intimidazioni, abbia deciso di non rivelarle pubblicamente, anche per non aggravare lo scandalo, ma abbia deciso di parlarne solo con suor Floriana, raccomandando a lei e alle sue consorelle la massima discrezione. La stessa linea può essere sembrata la più ragionevole al suo successore, Antonio Mistrorigo (il terzo vescovo vicentino nella diocesi trevigiana!); ma, poiché frattanto la storia dei sacrilegi e dei miracoli (il sangue eucaristico e le apparizioni di Gesù) aveva incominciato a circolare, si rese necessaria una inchiesta diocesana, che non poteva non concludersi come si concluse. Si sarebbe trattato, in sostanza, di smentire la versione di suor Floriana, per evitare una verità troppo dura da accettare, per i paesani; i quali, in assenza di una specifica denuncia, forse anche di tipo giudiziario, si sarebbero sentito accusati, o almeno sospettati, in toto. Ciò avrebbe causato delle tensioni fortissime fra i parrocchiani e la Chiesa; l’arciprete sarebbe venuto a trovarsi n una posizione quasi insostenibile. Sappiamo quel che può accadere in simili casi: abbiamo l’esempio del paese di Montaner, sempre in provincia di Treviso (ma in un’altra diocesi), il quale, per la nomina di un parroco sgradito alla popolazione, si "ribellò" e si fece in gran parte ortodosso: in quel caso, fu il vescovo di Vittorio Veneto, Albino Luciani, il futuro Giovanni Paolo I, ad avere la fermezza di non arretrare d’un passo di fronte alla sfida dei "ribelli" (l’ingresso in chiesa era stato addirittura impedito fisicamente al nuovo prete, e dovettero intervenire i carabinieri). Ciò accadde nel 1967 ed è passato alla storia come lo scisma di Montaner. La situazione di Castagnole, se realmente vi accaddero i fatti narrati da suor Floriana — perché, lo ripetiamo, stiamo procedendo per via d’ipotesi, non essendovi certezza su quel racconto — era comunque ancor più delicata, essendovi coinvolto un fatto di profanazione di tipo satanico. Lo scandalo sarebbe stato enorme e le conseguenze, incalcolabili. Non si può biasimare i due vescovi di Treviso se scelsero la via della diplomazia e tentarono d’impedire il diffondersi delle notizie su ciò che era avvenuto. Si aggiunga che i fatti durarono per diversi anni e ciò attesta che vi era uno "zoccolo duro" di persone ostili alla Chiesa, o, piuttosto, ostili alla linea, ritenuta "tradizionalista", dell’arciprete e, indirettamente, del vescovo Negrin.

È venuto il momento, infatti, di vedere più da vicino chi fosse Egidio Negrin, per poter meglio inquadrare i fatti. Nato in un piccolo paese in provincia di Vicenza il 4 aprile 1907, era stato ordinato sacerdote nel 1930, dal vescovo Rodolfi; laureato all’Università Gregoriana nel 1934, fu nominato arciprete a Bassano del Grappa e, nel 1952, arcivescovo metropolita di Ravenna e vescovo di Cervia. E qui esplosero i problemi. Formatosi nell’ambiente cattolico veneto, nella Romagna rossa andò a cozzare contro una mentalità ben diversa da quella a lui nota; non si tirò indietro e ne risultò una serie di attriti e di conflitti, non solo con il mondo laico, in particolare con le autorità civili, dove era maggioritario il Partito comunista, ma perfino all’interno della Chiesa ravennate, tanto che, al culmine della crisi, la Santa Sede dispose una visita ispettiva al Seminario diocesano. Poiché l’azione pastorale di monsignor Negrin incontrava fortissime resistenze, fu deciso di trasferirlo nuovamente in Veneto e venne destinato alla sede vescovile di Treviso, dove era venuto a morte monsignor Antonio Mantiero (vicentino come lui). Si trattava di una retrocessione, in buona sostanza, dal punto di vista gerarchico, oltre che una implicita sconfessione della linea da lui adottata, e sia pure condita con la pillola dolce-amara di poter conservare, quale attribuito personale, il titolo di arcivescovo. È possibile, se non addirittura probabile, che questa amarezza abbia aggravato le sue già precarie condizioni di salute: insediato nella cattedra episcopale di Treviso il 7 aprile del 1956 (una data di pessimo auspicio: dodici anni prima, il 7 aprile del 1944, la città era stata semidustrutta da un pesantissimo bombardamento aereo anglo-americano, che aveva ucciso circa 1.600 persone), sarebbe morto, dopo una malattia assai dolorosa, il 15 gennaio 1958, a soli cinquantun anni.

Il citato libro Ritornate alla fonte, in una nota a pagina 56, così commenta quella morte: Tutto il clero e la popolazione della diocesi trevigiana furono impressionati dalla sua singolare serenità di spirito durante la malattia (dagli elogi funebri, pubblicati poi nei bollettini diocesani del tempo). Ma nessuno poteva immaginare il vero motivo: l’essersi offerto vittima a Dio in riparazione degli orrendi sacrilegi eucaristici avvenuti nella chiesa di Castagnole (Treviso).

Ora, ci domandiamo se ciò sia possibile; se il racconto di suor Floriana abbia una qualche verosimiglianza. Diciamo la verità: i cattolici del dopo Concilio non hanno più molta familiarità con il concetto teologico, che una volta veniva trattato in tutti i manuali, ed esposto sovente nella catechesi, del sacrificio di espiazione e di riparazione. Anche da ciò si misura quanto sia cambiata la pastorale, e la stessa dottrina, nel corso degli ultimi decenni. Ai cattolici odierni, specie delle giovani generazioni, fa impressione l’idea che qualcuno, innocente, possa offrirsi in olocausto per delle colpe altrui: ma è una perplessità del tutto ingiustificata. Qui si dimentica che il massimo esempio vivente di tale dottrina è stato proprio Gesù Cristo, morto volontariamente sulla croce per i peccati degli uomini. Sì: anche qui si è fatta strada la "nuova" teologia postconciliare, la quale non ama presentare in questa luce il sacrificio di Gesù, sostenendo che essa evidenzia un aspetto troppo "legalistico" e "veterotestamentario"; i teologi progressisti preferiscono parlare del gesto di amore di Gesù, il che è verissimo, ma tacciono sulla dimensione della riparazione, il che è sbagliato. Mettendosi per questa via, si rischia di non capire più non solo il significato della Passione, ma neanche quello della stessa Eucarestia, che è il rinnovarsi continuo del Sacrificio di Cristo. Sta di fatto che molti mistici e molte mistiche hanno vissuto così le loro infermità, le loro malattie e le loro sofferenze: come offerta e sacrifico di riparazione per i peccati dell’umanità; e che si tratta di una dottrina perfettamente cattolica e assolutamente corretta.

Sappiamo, d’altra parte, che il vescovo Negrin aveva avuto sempre problemi di salute: la sua malattia non fu né improvvisa, né imprevista. Ma, oltre a ciò, è del tutto inverosimile ipotizzare che "qualcuno" abbia voluto rendergli dura la vita nella diocesi di Treviso, nella quale si insediava con una fama di "conservatore", vale a dire, in quel particolare momento storico, di anticomunista? È del tutto fantasioso ipotizzare che i "compagni" di Ravenna abbiano passato l’ordine, o il suggerimento, ai "compagni" di Treviso, di rendere la vita difficile a quel vescovo antipatico e tradizionalista, in qualunque modo e con qualsiasi mezzo? La cavalleresca rivalità fra don Camillo e il sindaco Peppone appartiene al paese di utopia, e infatti il Mondo Piccolo è una creazione poetica di Giovannino Guareschi. La realtà, negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, è stata molto più cruda: la contrapposizione fra comunisti e cattolici, assai più dura e intransigente; e non fu priva di riflessi neppure all’interno del campo cattolico, diviso fra "intransigenti" e "possibilisti" (e il povero Guareschi ne seppe qualcosa: finì in carcere e scontò tutta la pena, come un delinquente, lui cattolico convinto, per aver adoperato la penna contro l’onorevole De Gasperi). Se la nostra ipotesi ha un qualche fondamento, i sacrilegi di Castagnole sarebbero stati parte di una strategia avente quale obiettivo finale non l’arciprete di quel paese, ma proprio il vescovo di Treviso. Il che, unito alla gravità del sacrilegio compiuto, potrebbe avere ben contribuito al rapido aggravarsi della malattia di monsignor Negrin.

Lo ripetiamo: sono soltanto ipotesi. E, comunque, è ben difficile che la verità possa mani uscir fuori, se davvero i retroscena sono stati questi. Quanto al miracolo del sangue eucaristico versato sul pavimento della chiesa, e alle apparizioni di Gesù a suor Floriana, il discorso è, almeno in parte, diverso. Qui non si tratta di azioni umane, ma di fenomeni soprannaturali; e, come abbiamo detto, il cristiano non solo può credervi, ma è tenuto a credervi, in quanto possibilità della manifestazione del divino; ma non ha certo l’obbligo di prendere per buono qualsiasi racconto di tal genere. Chi scrive non ha mai conosciuto suor Floriana, che è deceduta dodici anni fa, nel 2004, a Latina; persone che l’hanno conosciuta ne parlano bene, come di una persona dalla notevole carica di spiritualità. E qui torniamo alla precedente considerazione: quale grado di "oggettività" attribuire ai fenomeni mistici. Una persona spiritualmente evoluta non s’inventa di aver visto Gesù o Maria Vergine, perché non si sognerebbe mai di scherzare con simili cose; tuttavia, resta da vedere come vadano interpretate le sue visioni. Non vi sono due sole possibilità, l’assoluta autenticità e la truffa, come amano credere le persone imbevute di cultura positivista e scientista, totalmente incapaci della sia pur minima sottigliezza intellettuale e spirituale.

Bisogna ammettere che, in questa materia, c’è un grande mistero. Bisogna entrarvi parlando a voce bassa, in punta di piedi. Ogni parola troppo forte, ogni rumore inutile, sarebbero fuori luogo. Ciascuno ha il diritto alla propria opinione. Ma una cosa è certa: se taluni cristiani sbagliano per un eccesso di credulità, certi altri, che si credono molto sapienti e intelligenti, sbagliano per un eccesso di scetticismo.

Lo Spirito soffia dove vuole, che ad essi piaccia, oppure no.

Fonte dell'immagine in evidenza: RAI

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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