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Mamme, ma che diavolo state facendo?

L’espressione interrogativa: «Ma che diavolo stai facendo?», nell’uso corrente, non ci appare altro che un rafforzativo di quell’altra, più comune, diretta a esprimere stupore, incredulità e una sfumatura, più o meno esplicita, di contrarietà o disapprovazione: «Ma che cosa stai facendo?»; oppure: «Si può sapere che cosa stai combinando?».

Adesso proviamo, servendocene per iscritto (mentre, di solito, la si adopera nel parlare quotidiano), a scriverla così: «Ma che Diavolo stai facendo?», con la lettera maiuscola per la parola "diavolo"; oppure proviamo a scriverla adoperando, per quella parola, non l’iniziale maiuscola, ma il carattere corsivo, in modo da evidenziarla e staccarla dal resto: «Ma insomma, si può sapere che cosa diavolo stai combinando?». Non ci sembra che vi siano dubbi: fa tutto un altro effetto. Ci si accorge che quella parola, "diavolo", non era stata buttata lì per caso, come un qualunque rafforzativo, ma sottintendeva un significato molto più profondo — e infinitamente più inquietante. Forse, senza neanche rendercene conto, esprimendoci in quella maniera avevamo dato forma e voce ad un pensiero semplicemente terribile, anche se implicito: e cioè che certe azioni, certi comportamenti, anche se possono sembrare abbastanza casuali, e, come tali, tutto sommato, anche innocenti, traggono origine da un abisso di tenebre in cui è pressoché impossibile spingere lo sguardo sino al fondo. Una parte di noi, probabilmente, intuisce, afferra al volo, che, dietro taluni gesti o talune scelte, apparentemente normali, solo perché condivisi da tantissime altre persone, vi è qualcosa di oscuro, d’indicibile, qualcosa che mette paura: una vera e propria ispirazione dell’Inferno; un vero e proprio affidarsi dell’anima al Diavolo.

Questa riflessione ci saliva alla mente l’altro giorno, mentre, guardando distrattamente il telegiornale (e come non difendersi con la distrazione dal quotidiano, metodico lavaggio del cervello?), l’annunciatrice, di punto in bianco, è passata dalle notizie "serie", drammatiche, inquietanti, a quelle "leggere": la prima delle quali era una sfilata di moda per l’estate. Che c’è di strano?, si potrebbe chiedere qualcuno. Nulla, a prima vista; o forse sì, qualcosa di strano c’era: perché non si trattava di una filata di moda estiva per adulti, ma per bambini. E, infatti, le immagini che scorrevano sullo schermo, con assoluta normalità e disinvoltura, mostravano dei bambini e delle bambine di pochi anni, più o meno dell’età delle scuole elementari, sfilare su e giù lungo le passerelle, fra due ali di pubblico, ancheggiando e dimenandosi — più o meno – come se fossero stati dei modelli o delle modelle di professione: con la stessa andatura dinoccolata e provocante, con la stessa aria (apparentemente) spavalda, e con lo stesso sorriso idiota, assurdo, stampato sulle labbra e nell’espressione dello sguardo. Certo non avevano improvvisato, né avevano imparato da soli e da sole: senza ombra di dubbio, e già per il solo fatto di essere lì, invece che a casa, o a scuola, o con gli amici, a giocare, o con i genitori, a fare la spesa, a recarsi in visita dai nonni, insomma tutto indicava sin troppo chiaramente il cattivo genio che doveva averli trascinati in quel luogo, a fare quelle cose, a guardare verso le telecamere in quella maniera, a sorridere con quella espressione smaliziata, di chi conosce il mondo e non si stupisce più di nulla (cioè, esattamente al contrario di come dovrebbe essere la normale espressione d’un bambino): le loro mamme.

Dio sa quante ambizioni, più o meno frustrate, quanti sogni di rivalsa, quante veglie, quante pene, quante raccomandazioni, quante telefonate, quante ore di prova, quante pose davanti al fotografo, quanti provini, quanti tentativi; e Dio sa quante tensioni, quanti contrasti, quanti litigi e quanti musi con i mariti che non capiscono, con i nonni che disapprovano, con le sorelle che si mangiano le unghie per l’invidia, con le amiche che crepano di gelosia perché le loro figlie son rimaste indietro, non hanno avuto la spinta giusta, non sono state apprezzate dalla giuria, eccetera; Dio sa quale strada infernale di sacrifici, di maldicenze, di veleni, di cinismi, di bugie (a cominciare da quella sull’età dei pargoletti: come far diventare dodicenne una bambina di nove, otto anni; e come truccare una figlia di sette anni, in modo tale che ne dimostri almeno dieci, undici se possibile); insomma, Dio sa quali e quante paranoie, intrallazzi, ammiccamenti, bassezze e offerte sottintese di disponibilità sessuale, insomma di prostituzione, per dir le cose come stanno, beninteso se proprio si rivela necessario, indispensabile: che cosa non farebbe, una mamma di questo tipo, pur di vedere il pargoletto o la pargoletta che calcano la passerella, che incedono conturbanti tra due ali di folla stupita e ammirata, in mezzo ai flash dei fotografi, con la musica da spiaggia che scandisce la sfilata e con l’adrenalina che sale alle stelle perché, finalmente, è arrivato il momento tanto atteso — e, mio Dio, tanto meritato! -, il momento della verità, dove si fa la conta e buonanotte, chi è dentro è dentro, e chi è fuori, è fuori.

Gesù, su questo punto, era stato chiarissimo; aveva parlato non per metafore o per parabole, ma in maniera quanto mai esplicita e diretta (Matteo, 18, 3-7 ):

"In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei Cieli. Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei Cieli. E chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me. Chi invece scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata dall’asino, e fosse gettato negli abissi del mare. Guai al mondo per gli scandali! È inevitabile che avvengano scandali, ma guai all’uomo per colpa del quale avviene lo scandalo!

Mamme, quelle di voi che sono cristiane, che hanno ancora un briciolo di amore e di timor di Dio: avevate mai letto e meditato questo passo? Non vi sembra che faccia proprio al caso vostro? Come: domandate perché? Non vi sembra che l’esporre i vostri bambini, così, a tutti gli sguardi, non sempre casti, non sempre innocenti, degli adulti; non vi sembra che insegnar loro a mostrarsi, a esibire il corpo, ad ancheggiare come modelli di professione, a stuzzicarle fantasie morbosette, da pedofili, degli adulti, sia una maniera più che mai esplicita di dare scandalo, sia ai vostri figli, sia anche al pubblico presso cui li fate sfilare? Non vi sembra di aver tradito la vostra vocazione di madri: che non è quella di far primeggiare i vostri bambini in simili sfilate, di farli fotografare, di farli vede al pubblico televisivo, di farli notare dalle agenzie pubblicitarie per qualche provino, chissà, magari per assicurare loro una carriera televisiva come modelli o attori o presentatori o come – in qualsiasi altro modo e forma – personaggi di spettacolo, equivalga a perpetrare un vero e proprio tradimento rispetto alla vostra missione educativa, che è quella di proteggere i vostri figli dalla malizia degli adulti e fornire loro, semmai, un solido codice di valori e di riferimenti, una norma etica limpida e coerente, una coscienza pulita e trasparente?

Come dite: che non lo avete fatto per vanità, per narcisismo, per esibizionismo, né per risarcire voi stesse delle vostre delusioni e dei vostri sogni frustrati e avvizziti, ma, semplicemente, per i soldi, soldi che vi siete affrettate a mettere sul libretto di risparmio dei vostri figli, per assicurare loro un domani, in tempi così difficili? E questa, secondo voi, sarebbe una giustificazione, una attenuante? Non capite che è un’aggravante, e che rende ancora più sordido, ancora più squallido quel che state facendo: servirvi dei corpi dei vostri figli ancora piccoli? Li state prostituendo, né più, né meno; questo arrivate a comprenderlo? Chiunque adoperi il proprio corpo, o il corpo di un’altra persona, per raggiungere un guadagno economico, si comporta come una prostituta o una ruffiana, su ciò non vi è dubbio. E dunque, non capite che de vobis fabula narratur?

Sì, stiamo parlando proprio di voi, care signore, care mammine: è inutile che vi guardiate in giro, cercando all’intorno chissà chi o che cosa: vedete qualcun altro, qui, adesso, che si stia servendo del corpo del proprio figlioletto o della propria figlioletta, per stuzzicare il lato inconfessabile della personalità adulta, oltre che per far emergere il lato oscuro delle sue stesse creature, retaggio immancabile del Peccato originale? Sì: perché anche in fondo al cuore di un bambino o di una bambina di sei anni, di nove anni, di dodici anni, vi è una oscura, limacciosa attrazione verso il male: una tendenza a esibirsi eroticamente; una perversa, diabolica intuizione che quel corpicino può essere adoperato in maniera poco casta, per ammiccare, per invogliare, per strappare occhiate di desiderio, sia facendo leva sulla infinita vanità delle mamme, sia sulla smodata ambizione di stilisti e disegnatori di moda, che in quei bimbi vedono solo dei manichini sui quali appendere le loro creazioni. E anche costoro sono delle anime perse, gonfie di vanità e ambizione, totalmente prive di rispetto e di dolcezza verso il mistero dell’infanzia; anime brutte, che si servono dei bambini con il massimo cinismo, bruciando la loro innocenza, il loro stupore, la loro visione incantata del mondo, per trasformarli precocemente in adulti senz’anima, in mercenari che badano solo al proprio tornaconto, derubandoli — così – della sola cosa di cui sono ricchi tutti i bambini del mondo: la loro stessa infanzia.

Mamme incoscienti e divorate dall’ambizione, stilisti amorali e pervertiti, organizzatori di eventi mondani che sono impastati di ributtante cinismo: è il Diavolo in persona che deve avere ispirato costoro e averli fatti congiurare fra di loro, per inquinare l’innocenza infantile e per instillare nell’animo dei bambini sentimenti e atteggiamenti maliziosi, e, nell’animo del pubblico, sentimenti e passioni ancor più disordinati, addirittura inconfessabili. Per cui è proprio il caso di domandare a quelle madri snaturate: Ma che Diavolo vi siete messe in testa di fare? Quale demonio è venuto a tentarvi, per spingervi ad abusare così turpemente della fiducia istintiva dei vostri figli; e, quel che è peggio — se possibile — a farlo con assoluta disinvoltura, anzi, come se steste facendo qualcosa di bello e di buono, qualcosa che valorizza i vostri bambini e di cui voi e loro dovreste andar tutti fieri e a testa alta, mentre è vero il contrario, che dovreste arrossire e rabbrividire di voi stesse e della turpitudine delle vostre ambizioni?

D’altra parte, il caso dei modelli e delle modelle bambini, spinti davanti ai riflettori da mamme (e da padri) snaturati — ne aveva già parlato il regista Luchino Visconti in un film impietoso e sarcastico, Bellissima, girato nel 1951 — non è che uno dei cento, dei mille volti che assume l’odierno capovolgimento dei valori nella società edonista e permissiva, dopo che i cerchioni della morale sono saltati — più esattamente, sono stati fatti saltare, scientemente e deliberatamente – e dopo che una pletora di cattivi maestri e d’intellettuali eunuchi e cortigiani, stolti o disonesti, ha proclamato le nuove Tavole della Legge, o piuttosto dell’Anti-Legge, nichilista e relativista: Fa’ ciò che vuoi! Non rinunciare a nulla di quel che puoi afferrare senza troppa fatica, e che può assicurarti un vantaggio! Non badare ai mezzi, punta dritto allo scopo, anche se dovessi calpestare la tua stessa madre o il tuo stesso padre! Tutto è lecito, quello che piace! Tutto è buono, quel che si ha voglia di fare! E tutto questo è diventato "normale", benché equivalga ad una vera e propria follia istituzionalizzata: ma una follia non cessa d’essere tale, per il fatto che è condivisa da un grandissimo numero di persone. Eppure questa è la forza, si fa per dire, delle società democratiche: il numero. La giustizia, la verità, non interessano più a nessuno; l’importante è che si consulti il "popolo" e che la maggioranza esprima le sue preferenze. Un uomo, un voto.

Quando una società sprofonda in queste tenebre, è difficile che ne possa uscire. Il male si diffonde silenzioso e non viene percepito come tale; quel che fanno alcuni viene imitato dagli altri; quel che la televisione o il cinema fanno vedere, diventa il modello da imitare, l’esempio da seguire; e ben pochi si prendono il disturbo di ragionare con la propria testa o di consultare la propria coscienza. Ma guai a dirlo a voce alta: immediatamente si viene subissati da un coro di fischi e urla; si viene apostrofati come superbi e intolleranti; si viene additati al pubblico disprezzo e al pubblico ludibrio, come persone retrograde e incivili, che non sanno apprezzare le meraviglie della modernità e, pertanto, che meritano di essere isolate, emarginate, ridotte al silenzio. E, se non tacciono, le si fa tacere con una bella denuncia, perché ormai il legislatore è tutto dalla parte del "popolo", della "democrazia", cioè del gregge manipolato e strumentalizzato ad arte dai poteri occulti che controllano l’informazione, la cultura e la politica stessa.

Un solo esempio, proprio di ieri, varrà a chiarire il concetto. In una scuola cattolica di Trento, il contratto di lavoro non è stato rinnovato ad un’insegnante lesbica, che convive con una donna e che, in un colloquio coi dirigenti, ha rifiutato di "ravvedersi". Certo, era un suo diritto; come era diritto di quella scuola, privata e confessionale, tutelare il codice morale dei suoi insegnanti. E invece no. È scattata una denuncia, e la scuola è stata condannata a pagare 25.000 euro di multa. Il che, dati i magri bilanci degli istituiti privati, equivale, se non alla chiusura, quasi. Messaggio chiaro: bisogna adeguarsi alla cultura del Progresso; e chi si oppone, va trattato come merita: da nemico pubblico…

Fonte dell'immagine in evidenza: Photo by Mike Chai from Pexels

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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