
Uno, almeno, c’era: ricordo di Mario Rizzatti
18 Giugno 2016
Pietà per l’uomo che soffre e che la Grazia tenta di risvegliare
20 Giugno 2016È tipico delle epoche storiche di massima confusione e di massimo smarrimento — intellettuale, morale, spirituale — perdere di vista l’essenziale e mettersi a cavillare all’infinito su ciò che è secondario; inoltre, perdere la capacità di impostare correttamente e lucidamente i problemi, soggiacendo a una logica tortuosa, sofistica, delirante. Tali epoche sono anche quelle del massimo conformismo culturale, a dispetto del fatto che esse si vantino di essere più che mai "libere" e "spregiudicate": per cui succede che il comune modo di sentire e di pensare, dalle persone illetterate agli intellettuali più pretenziosi, sia letteralmente distorto da un errore, o da una serie di errori, di base, che nessuno, o quasi nessuno, riesce a vedere, proprio perché le coscienze e le intelligenze continuano a girare e rigirare all’infinito in una sorta di cerchio stregato, all’interno del quale svanisce perfino il buon senso più elementare, e, con esso, si dissolve la capacità di vedere le cose per quelle che sono, senza il velo deformante di ideologie artificiali e patologiche.
Prendiamo un caso che si può considerare paradigmatico, ai nostri giorni, per illustrare questo concetto: quello della cosiddetta filosofia gender, la quale mira a sostituire alla concezione di una realtà antropologica caratterizzata da due polarità nettamente distinte, ma complementari, la maschile e la femminile, ontologicamente strutturate in quanto tali, cioè prima dell’azione dei modelli genitoriali, della società, dell’ambiente e dell’educazione ricevuta, con una visione "liquida", quasi volatile, dell’orientamento sessuale, secondo la quale non esistono, in se stessi, i due generi maschile e femminile (se non come fatto puramente fisiologico), bensì cinque disposizioni alla sessualità, che possono anche coesistere nello stesso soggetto, o alternarsi, a seconda della sua volontà e del suo istinto: lesbica, omosessuale maschile (gay), bisessuale, transessuale e (bontà loro) eterosessuale. Si tratta di una ideologia molto assertiva, per non dire aggressiva, che pretende di entrare nelle aule scolastiche, fin dall’asilo e dalle elementari, per inculcare nei bambini questa idea della sessualità, onde incoraggiarli a "scegliere" l’orientamento di loro gusto, e con la dichiarata volontà di reprimere, se possibile a colpi di codice penale, cioè con multe e prigione, quelle persone troglodite e incivili che la pensano diversamente e che considerano "anormale", o, comunque, "sbagliata", l’inclinazione sessuale rivolta verso persone del proprio sesso.
Ora, quello che appare evidente dalle discussioni in materia — e, per convincersene, basta assistere anche ad un solo dibattito televisivo – è che non si riuscirà mai a far emergere il sofisma, la stortura, l’assurdità su cui si basa interamente la cosiddetta filosofia gender, finché ci si mette a discutere con i suoi esponenti dopo aver accettato di subire, in partenza, il ricatto psicologico, culturale e morale sul quale essi fanno leva: vale a dire che la mancata accettazione di essa, sul piano preliminare del ragionamento e, prima ancora, su quello della "dignità" della persona, equivale a una negazione del rispetto dovuto a coloro i quali vivono una condizione sessuale "diversa", e, dunque, a una intollerabile forma di arroganza e di razzismo. Più precisamente, il ricatto consiste in questo: che, se si considera l’omosessualità, maschile e femminile, la bisessualità e la transessualità (ammesso che esista qualche cosa di simile a quest’ultima espressione) come qualcosa di disordinato, di anormale, come qualcosa che dovrebbe essere considerato, sì, con rispetto e comprensione, ma anche come qualcosa che andrebbe corretto, mediante terapie e strategie opportune — come, del resto, facevano, sino a poco tempo fa, praticamente tutti gli psicologi, gli psicanalisti e gli psichiatri: con buona pace della "scientificità" di queste discipline, i cui esponenti cambiano radicalmente bandiera ad ogni cambio di generazione — automaticamente si viene considerati come portatori di un atteggiamento culturale violento, intollerante, crudele e ignorante nel medesimo tempo: per cui bisogna fingere, anche se non lo si pensa, che essere omosessuali o essere eterosessuali sia esattamente la stessa cosa; che non vi sia alcuna differenza intrinseca; che l’una o l’altra inclinazione riguardino esclusivamente il singolo individuo, e non la società; e che — per finire — quanto al singolo individuo, ciò che conta non è essere quel che si ha da essere, ma assecondare il proprio istinto, buono o cattivo che esso sia, giusto o sbagliato, ordinato o disordinato.
Noi non subiremo questo ricatto e, pur ribadendo il massimo rispetto e la massima comprensione per tutti gli esseri umani, pretendiamo che la riflessione sulla questione della omosessualità parta esattamente da dove è sempre partita, da che esistono delle società ordinate e consapevoli della necessaria integrazione fra ciò che l’individuo cerca, desidera e spera, e ciò che è bene per il gruppo nella sua interezza, nonché del fatto che l’individuo non può stare bene nemmeno con se stesso se non sviluppa in modo ordinato e armonioso le proprie qualità superiori, per quanto possibile (anche se tutti, in effetti, sono chiamati alla santità; e, se questo concetto non piace, perché troppo "cattolico", preghiamo di considerare un attimo gli immensi sacrifici che i nostri nonni si sobbarcavano, in anni non lontani, ma come fossero cose assolutamente normali e naturali, per il bene dei loro cari e per l’osservanza della morale condivisa dal gruppo): vale a dire, pretendiamo di partire dal presupposto che l’omosessualità è, oggettivamente, un istinto disordinato e che la sua diffusione, la sua accettazione, la sua legalizzazione, la sua apologia e la sua ostentazione sfacciata, sono un male, sia per le singole persone, sia per la società nel suo complesso, oltre che un pessimo esempio offerto ai più piccoli.
È penoso vedere con quanta timidezza, con quanta pavidità, con quanta circospezione, anche coloro i quali si vantano di essere i massimi esperti dell’animo umano, vale a dire gli psicologi, si pongono in una discussione con gli esponenti della filosofia gender; la quale, sia detto per inciso, non rappresenta affatto il comune sentire delle persone omosessuali o bisessuali, ma è solo una forma di estremismo ideologico e di esasperazione intellettuale, portata avanti, per ragioni non del tutto chiare, da esigue minoranze, all’interno di quella minoranza che è rappresentata, nell’insieme della società, dalle persone omosessuali o bisessuali. È uno spettacolo penoso, perché appare evidentissimo come essi abbiamo una gran paura – anzi, un autentico terrore – di essere colti in fallo su posizioni giudicate politicamente non corrette, oscurantiste, reazionarie, repressive: cosa che, evidentemente, equivarrebbe alla morte sociale e professionale, al boicottaggio e alla gogna mediatica, e perfino alla damnatio memoriae, vale a dire all’oblio totale e inappellabile persino dopo la morte. E gran parte degli esponenti della "scienza" psicologia ufficiale, a cominciare dagli accademici, come, del resto, tutti o quasi tutti gli intellettuali di queste tristi tenebre della modernità, temono una simile prospettiva più ancora della morte fisica: possono accettare tutto, ma non la perdita delle cattedre universitarie, non l’estromissione dalla riviste specializzate, non il fatto di essere espunti e radiati per sempre dai dibattiti televisivi.
Dunque, dicevamo: dovendo dare, per prima cosa, una definizione, come è necessario in qualsiasi discussione seria, che non giri a vuoto intorno alle parole, ma che vada dritta al cuore delle cose, noi diamo la seguente definizione della omosessualità: quella inclinazione sessuale che manifesta un gravissimo disagio nei confronti dell’altro sesso; che non ne sa riconoscere le cause e le origini; e che si manifesta, da un lato, in un disprezzo e in una ostilità preconcette verso di esso, dall’altro, nell’attrazione compulsiva verso le persone del proprio sesso, con le quali sfogare il proprio potenziale sessuale, ma senza doversi sobbarcare la fatica di verificare che cosa non vada nel normale rapporto con le persone del sesso opposto. In altre parole: riteniamo che non si debba partire dalla accettazione del fatto della omosessualità, ma ci si debba interrogare sul perché alcuni individui abbiano abbandonato il giusto orientamento sessuale e lo abbiano sostituito con uno anormale. Infatti, il problema delle persone omosessuali è dato dal fatto che non sono capaci di vedere le persone dell’altro sesso per quello che realmente sono, ma le vedono attraverso le lenti deformanti della ostilità, della paura, della sistematica svalutazione. Il che è un atteggiamento nevrotico, e cioè, appunto, patologico e anormale, che va capito e, se possibile, corretto, ossia curato, e non già, semplicemente, "accettato", in nome d’una malintesa idea di "rispetto" della persona.
Non staremo qui a tirare fuori la teoria classica – classica, fino a qualche anno fa; ma scordata estremamente in fretta dagli psicologi dell’ultima generazione: oblio politico, si direbbe – della genesi della personalità omosessuale, ossia la combinazione di un padre assente, o insignificante, o passivo e poco virile, e di una madre attraente, volitiva, possessiva e castrante (e termini rovesciati, ovviamente, per la genesi della omosessualità femminile); sarebbe troppo facile, e, del resto, non vogliamo qui fare un discorso strettamente psicologico, ma una riflessione di carattere più generale, che riteniamo valida anche per altre questioni oggi di attualità, e non solo per la questione della omosessualità e della cosiddetta filosofia gender, con il suo sedicente piano educativo da imporre, per legge, negli asili e nelle scuole, oltre che nell’intera società civile.
Quel che ci preme sottolineare, è, da un lato, la pavidità degli esponenti del mondo della cultura e del pensiero, che non osano dire ciò che realmente pensano, o, peggio, che auto-censurano spontaneamente la loro intelligenza e il loro buon senso, assumendosi la responsabilità di contribuire moltissimo al ristagno di un sano e costruttivo dibattito culturale; e, dall’altro, l’inevitabile stortura, con tutte le sue aberranti conseguenze, di una discussione che elude il punto centrale: ossia che l’omosessuale è un individuo infelice, insicuro e spaventato, perché non è in grado di "reggere" un rapporto equilibrato con l’altro sesso e che, pertanto, si rifugia in un rapporto "rassicurante" con il proprio. Rapporto che ha già in partenza molte probabilità di rivelarsi insoddisfacente, per non dire deludente e deprimente; e ciò per una buonissima ragione: che una soluzione di ripiego non è mai una buona risposta ad un problema umano; e che una personalità infelice, insicura e spaventata non troverà sollievo, se non in maniera illusoria e temporanea, in una scelta che non le permetta di affrontare le proprie paure, ma che la rinchiude ancor più nel recinto claustrofobico in cui già si dibatte.
Ci piace riportare una osservazione del noto psicoterapeuta statunitense Alexander Lowen (New York, 1910-New Canaan, 2008), il quale, essendo stato un fervente discepolo di Wilhelm Reich, certo non potrà essere sospettato di appartenere a quella schiera di intellettuali trogloditi, reazionari, incivili, dei quali dicevamo; e le cui parole, pertanto, crediamo che meriterebbero un’approfondita riflessione da parte dei tanti che, oggi, si inchinano al ricatto della cosiddetta filosofia gender (da: A. Lowen, Amore e orgasmo; titolo originale: Love and Orgasm, 1965; traduzione dall’inglese di Andrea D’Anna, Milano, Feltrinelli Editore, 1968, p. 78):
La paura e l’ostilità che l’omosessuale prova verso il sesso femminile soo represse. Ciò che viene espresso, anche se non sempre apertamente, è il disprezzo per le donne. È dimostrato dai parrucchieri celebri e dai disegnatori di moda, le cui creazioni spesso falsano la femminilità. È espresso in opere teatrali in cui la donna è spesso presentata come un esser insensibile, dominatore e crudele. È rivelato dal fatto che l’omosessuale si sente superiore alle donna e in attività femminili come la cucina, l’arredamento, il "design". Infatti il problema degli omosessuali è principalmente un problema di atteggiamento verso le donne, e solo secondariamente implica l’attrazione sessuale per gli uomini.
Sottoscriviamo al cento per cento. E le donne, che si affidano a quei disegnatori di moda e a quei parrucchieri, come fanno a non vedere che costoro sono animati da un segreto rancore verso di esse, e inconsciamente le vogliono avvilire e ridicolizzare? E gli uomini, come fanno a trovare attraenti le donne che si vestono (o si svestono) e si acconciano a quella maniera, senza svilire, a loro volta, il proprio statuto maschile? Ecco, allora, che la questione dell’omosessualità ci apparirà come un aspetto di una problematica molto più ampia: quella di una radicale distorsione del normale rapporto fra l’uomo e la donna. Per cui, la domanda dovrebbe essere: cosa si può fare per favorire un ritorno dall’uomo e della donna l’uno verso l’altra? Altro che promuovere la filosofia gender!…
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