
Che rapporto c’è fra la bellezza dell’apparire e quella dell’essere?
23 Maggio 2016
È nel Codice di Camaldoli la base ideologica e programmatica di 50 anni di cattocomunismo?
24 Maggio 2016Noi non potremmo vivere, se non fossimo attaccati alla vita; se l’istinto di conservazione non ci portasse a cercare di proteggerla, contro ogni pericolo e avversità; se non sentissimo, in fondo al nostro essere, che la vita è una cosa buona (checché ne dicano in contrario alcuni filosofi malati di pessimismo cronico o alcune persone vittime di stati depressivi), e che godere della possibilità di esistere, è una fortuna e un privilegio.
Nello stesso tempo, non potremmo vivere senza domandarci continuamente, come di fatto avviene, il perché delle cose, e come se ne possa comprendere l’intima verità: fin da quando siamo bambini, e stanchiamo, con i nostri innumerevoli "perché", i nostri genitori, e gli adulti in generale, e poi lungo tutto il corso della nostra vita, sempre inseguiamo la verità delle cose, anche se non sempre ne siamo del tutto consapevoli, come se quei "perché" infantili avessero continuato a lavorare nelle profondità della nostra anima, silenziosamente, ma instancabilmente.
Infine, noi non potremmo vivere senza cercare, istintivamente, l’amore, del quale siamo letteralmente assetati: amore da offrire e amore da ricevere, secondo le parole di Sant’Agostino: Una sola cosa bramavo ardentemente: amare ed essere amato; perché una vita senza amore, del tutto spoglia di amore, ci sembra addirittura inconcepibile, e sinceramente ci meravigliamo, con una punta di raccapriccio, nel constatare come, di fatto, vi siano persone che, a quanto sembra, vivono davvero senza amare nessuno, e senza che alcuno le ami a loro volta.
Quello che rende veramente umano l’uomo, dunque, è il fatto di avere in se stesso queste tre spinte fondamentali: tutto ciò che egli fa nel corso della sua vita, di buono o di cattivo, di giusto o di sbagliato, di eroico o di vile, non è altro che una conseguenza di ciò, e del suo tentativo di dare ad esse una direzione, uno scopo, o, almeno, una qualche forma di soddisfazione. Tutto ciò che egli cerca e tutto ciò che teme, quello che persegue e quello che si sforza di evitare, è in relazione con l’impulso a vivere, a conoscere e ad amare.
Il fatto è che nessun uomo ha mai trovato, né mai troverà, una risposta piena ed esauriente, una risposta del tutto soddisfacente, a tali spinte fondamentali: la morte, l’impotenza a conoscere la verità e l’inadeguatezza dell’amore umano gli sbarrano perennemente la via. Questo suggerisce che né la vita, né la sete di verità, né l’amore, trovano piena realizzazione su questa terra; e alcuni, come Leopardi o Schopenhauer, ne hanno tratto la conclusione che l’esistenza è una beffa feroce, un supremo inganno, un tradimento della natura matrigna nei confronti dei viventi, nonché la prova del fatto che non esiste alcun Dio, né alcuna Provvidenza.
In verità, sarebbe assai più logico giungere alla conclusione opposta: che la vita, la verità e l’amore esistono, ma la loro piena realizzazione non è di questo mondo. Come potrebbero non esistere, se noi ne avvertiamo l’imperioso richiamo, l’ardente desiderio, e non cessiamo d’inquietarci e di dolerci di fronte alle delusioni cui andiamo incontro, presto o tardi, in un modo o nell’altro, allorché tentiamo di raggiungere la meta dei nostri desideri? La vita ci sfugge come sabbia tra le dita: eppure l’amiamo, sentiamo che è un bene, né vorremmo privarcene. Nel racconto Heinrich von Kleist Terremoto nel Cile, il protagonista, Jeronimo, giunto al culmine dell’angoscia e della disperazione, sta per porre fine ai suoi giorni e tenta d’impiccarsi a un’inferriata del carcere in ci è recluso: ma quando la terra, improvvisamente, trema e sussulta, le pareti dell’edificio si mettono a ondeggiare e il soffitto pare sul punto di crollare, l’impulso potente della vita riprende in lui il sopravvento, lo distoglie completamente dal suo insano proposito e lo spinge fuori, fra le macerie e gli incendi, a lottare per la conservazione della propria vita. Non meno deludente si rivela, alla fine, la ricerca della verità: dopo una vita intera dedicata ad essa, il professor Faust deve ammettere di non essersi avvicinato alla meta d’un solo passo, d’aver consumato invano la sua giovinezza, d’aver sopportato inutilmente veglie, fatiche, sacrifici. Anche l’amore ci sfugge, e più lo desideriamo, più ci elude: così lo ha descritto un fine psicologo, Ludovico Ariosto, nell’Orlando Furioso. Ciascuno brama il suo personale oggetto del desiderio, ma nessuno lo raggiunge; e se, per caso inaudito, vi riesce, ecco che subito se ne stanca, ne rimane deluso, e riparte alla ricerca di un nuovo, irraggiungibile sogno di felicità, sempre elusivo, sempre un passo più avanti di lui.
Eppure, potremmo avere il cuore incendiato da questi tre desideri, se non traessero origine da qualcosa di reale, che, pur non trovandosi presente nella condizione attuale, nondimeno esiste, da qualche parte, in qualche forma? In altre parole: come potrebbero essersi creati da sé, essere nati dal niente? Niente dà niente: questo è un principio filosofico assolutamente evidente. Dal niente non nasce alcunché; e se qualcosa esiste, sia pure allo stato di desiderio, deve essere nato da qualcosa. Ecco perché un ricercatore, che sia sinceramente assetato di risposte e intellettualmente onesto, non può scartare, e sia pure in via d’ipotesi, che, se questi tre desideri non trovano risposta nella dimensione terrena, possono e devono trovarla, nondimeno, in una dimensione ultraterrena. Il negare a priori una tale eventualità, non è indice di serenità di giudizio, ma tradisce una prevenzione irragionevole, che può trarre origine solo da astio e da rancore nei confronti di una Verità che non sia di questo mondo; e ciò in omaggio alle filosofie materialiste per le quali la trascendenza costituisce uno scandalo, ed il sacro, una specie di delirio. Ma un pensiero che rifiuta di considerare una possibilità logica, solo per non dover contraddire i propri pregiudizi, nel senso più ottuso del termine, è un pensiero malato: e tale, infatti, è il pensare della modernità, che finisce per smarrirsi in mezzo a inverosimili fumisterie ed a sofismi senza numero, ma perde di vista l’essenziale, solo perché ha smarrito quel minimo di umiltà e di senso del limite che, soli, rendono il pensiero stesso una funzione realmente umana
Scriveva a questo proposito Fulton J. Sheen nel libro Biologia soprannaturale (titolo originale: The Life of All Living, New York, Appleton, 1934; traduzione dall’inglese di Attilio Veraldi, Torino, Borla Editore, 1954, pp. 192-196):
Nella vita di ogni essere umano vi sono tre inclinazioni o tendenze fondamentali. Colui che adagia il suo cuore in un crogiuolo per distillarvi le sue bramosie, troverà che i suoi desideri fondamentali sono quelli di vivere, di conoscere la verità e di amare. Ricchezze, piaceri, onori, tutto è subordinato a qualcosa di più fondamentale: la ricchezza, ad esempio, è sospirata solo in quanto può intensificare la gioia di vivere.
Il primo ardente desiderio, profondamente radicato nel cuore dell’uomo, è quello di vivere. Di tutti i nostri tesori, la vita è quello a cui rinunciamo per ultimo, e con la più grande riluttanza. Titoli, gioielli, ricchezze, tutto ciò si cede per primo, giacché sono solo ministri della vita. Lo stesso istintivo gesto di spingere le mani in avanti quando camminiamo nel buio prova che l’uomo preferisce ferirsi alle mani o perderle addirittura piuttosto che rischiare di perdere la vita.
La seconda inclinazione fondamentale che arde in ogni cuore umano è il desiderio di conoscere la verità. Ogni fanciullo è un filosofo principiante. Una delle prime domande che il ragazzo, nei suoi momenti di incipiente lucidità, pone, è un "Perché?". Da ragazzi, facciamo a pezzi i nostri giocattoli per scoprire cos’è che fa girare le ruote. Da adulti, il desiderio di conoscere il "perché" e la "ragione" delle cose non ci abbandona mai; e con la nostra analisi mentale rompiamo il giocattolo dell’universo per scoprire cos’è che fa girare le sue ruote. Come il nostro corpo reclama il nutrimento, la nostra anima reclama la verità, poiché questa p come il pane per l’affamato e nessuno può farne a meno.
La terza inclinazione fondamentale della natura umana è il desiderio di amare e d’essere amati. Dal giorno in cui, nel giardino dell’Eden, Dio disse: "Non è bene per l’uomo l’essere solo", dall’attimo stesso in cui tale sentenza veniva pronunciata, l’uomo ebbe ed avrà sete d’amore. Da ragazzi, è la madre che soddisfa questo desiderio. In seguito, sono i compagni ai quali si può "aprire il proprio cuore". Infine, è nel sacramento del matrimonio che troviamo la compagna della nostra vita insieme alla quale amiamo il frutto della nostra unione. L’amore è un’esigenza della nostra natura.
Ma riusciamo a trovare su questa terra esistenza, verità e amore in tutta la loro pienezza? Siamo in condizione di goderne al più alto grado? Noi possediamo una piccola quantità dio vita, di verità e di amore; ma possiamo possederne in quantità maggiore?
La vita non è controllata da noi completamente. Ogni ticchettio di orologio ci avvicina alla fine: "i nostri cuori sono soltanto dei sordi tamburi che battono la marcia funebre che ci accompagna al sepolcro". "Ad ogni ora che passa diventiamo sempre più putrefatti". Lo stesso cibo che ingeriamo, da un lato ci nutre, dall’altro gradualmente corrode e logora l’organismo del nostro corpo..
E mentre la verità è una condizione della nostra natura, essa diventa sempre più simile a un fantasma, giacché più studiamo meno apprendiamo, o piuttosto meno pensiamo e più conosciamo. Lo studio profondo ci apre nuovi orizzonti del sapere, mondi molto al di là del nostro, mondi della grazia, ciascuno con leggi proprie. Eppure quante volte una ricerca della verità corregge i pregiudizi della gioventù: quanti onesti ricercatori del Logos furono beffati e rimasero a pregare. Molti grandi uomini hanno confessato che dopo una vita intera dedicata alla ricerca della verità s’erano accorti d’essere rimasti soltanto sulla riva, mentre dinanzi ai loro occhi s’apriva l’infinita estensione della verità. Tommaso d’Aquino, la più grande mente dell’era cristiana, alla fine della sua vita dichiarò che tutto quanto egli aveva scritto era soltanto una pagliuzza in confronto alla visione che la Verità Divina gli aveva concesso.
Infine, l’amore perfetto non esiste in questo mondo. I cuori infranti, le case rovinate, le corti di divorzio, sono la prova evidente che l’uomo non ha trovato l’amore vero e duraturo. L’amore si annunzia ricco di promesse, eppure, per qualche misterioso ordine di cose, raggiunge la sazietà, e, quando il disordine lo sconvolge, si tramuta in odio. Anche per coloro che amano il giorno della separazione arriva, senza riguardo per la felicità dell’amore umano; e nulla è perfetto se ha una fine.
Noi esseri umani, che possediamo le tre inclinazioni fondamentali che costutuiscono la principale sorgente ella nostra vita, non riusciamo ad ottenere che queste inclinazioni siano realizzate sulla terra. La vita è mescolata alla morte, la verità all’errore, l’amore all’odio. La nostra vita dunque non è nelle creature, la nostra verità non è nelle parole pronunziate, il nostro amore non è in ciò che vediamo.
C’è tuttavia un altro pericolo in agguato, oltre alla superbia intellettuale, che preclude all’uomo contemporaneo il dischiudersi dell’orizzonte infinito, ove Vita, Verità e Amore trovano la loro ultima risposta e il loro pieno appagamento: ci riferiamo all’allentarsi e al progressivo venir meno della stessa spinta fondamentale verso queste tre mete supreme. L’uomo della civiltà moderna sembra essere entrato in una spirale auto-distruttiva, dove i suoi stessi istinti si attenuano e in cui egli delega sempre più alle macchine l’espletamento non solo dei suoi bisogni, ma dei suoi stessi desideri. Mediante le macchine si può "creare" ormai la vita (manipolazione genetica, clonazione, fecondazione artificiale); mediante le macchine si possono risolvere le più complesse operazioni matematiche, in un tempo insignificante; e, sempre mediante le macchine, si può simulare un rapporto sessuale, fino al raggiungimento dell’orgasmo. A questo punto, ci si può chiedere se l’uomo sia ancora uomo, o se non sia diventato una misera appendice della sua stessa tecnologia, vale a dire una macchina obsoleta e in procinto di essere ritirata dal mercato.
Se è questa la fine che ci attende, anche la domanda sul senso ultimo del vivere, del conoscere e dell’amare verrà a cadere, insieme alla nostra stessa umanità. Forse, sarà proprio questa, in un ipotetico futuro, la maniera con cui verranno riconosciuti (ed eliminati) gli umani, in mezzo a una popolazione di creature artificiali: dal fatto che resterà in loro, sia pure offuscata, qualche debole scintilla della triplice spinta fondamentale: a vivere, a cercare la verità, ad amare ed essere amati…
Fonte dell'immagine in evidenza: sconosciuta, contattare gli amministratori per chiedere l'attribuzione