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23 Maggio 2016La scienza è, nella teologia cattolica, uno di sette doni dello Spirito Santo, e si può tradurre, approssimativamente, con conoscenza vera; ma la conoscenza vera, per il cristianesimo, è data dall’amore di carità, la massima delle virtù teologali, senza la quale tutto il resto, dice San Paolo, non è che un inutile rumore: dunque, la vera scienza è amare le cose per poterle conoscere realmente, per poterle conoscere in profondità.
Quella che oggi si insegna nelle scuole e nelle università come "scienza" è un’altra cosa. Non solo è limitata, perché non estende il suo campo oltre i confini del visibile e dell’esperibile, ma è anche impregnata di pregiudizi materialisti, per cui finisce per bandire l’invisibile dalla sfera del reale, con ciò travalicando l’ambito delle sue competenze e facendosi portatrice di una sua particolare (e cattiva) filosofia: lo scientismo, che pretende di avere in se stesso le chiavi per la conoscenza di tutta la realtà, o, quanto meno, di tutta quella parte di realtà che valga la pena di conoscere.
Questa scienza cattiva e presuntuosa, materialista e riduzionista, scambia continuamente la parte per il tutto e contrabbanda singoli aspetti del reale per l’intero, alimentandosi, pertanto, non di vere e proprie menzogne, ma di mezze verità, le quali, per quanto sommate, separate, riunite e scomposte nuovamente, mai giungeranno ad offrire un quadro realmente esaustivo della realtà: e questo perché tratta i singoli aspetti come se fossero animali impagliati o piante disseccate per l’erbario, o minerali da porre nelle apposite bacheche, o farfalle da mostrare infilzate su uno spillo: insomma come cose morte e separate, e non come cose vive e naturalmente interagenti. E questo, molto spesso, lo fa persino quando si limita al suo legittimo campo d’indagine, ossia il mondo della natura; figuriamoci a quali aberrazioni si abbandona quando pretende di impancarsi a filosofia.
Più in generale, quel che la cultura moderna ritiene essere scienza, corrisponde, per il modo stesso in cui la ricerca è impostata e il conoscere viene perseguito, come qualcosa che ingombra la mente e il cuore di cognizioni inesatte e di certezze arbitrarie, per cui la prima cosa che dovrebbe fare il sincero e intelligente ricercatore del vero, sarebbe quella di disimparare tutta la falsa conoscenza di cui è in possesso e che ha condizionato un po’ tutti, e specialmente quelli che hanno molto letto e molto studiato, ma sempre in una tale ottica limitata, asfittica, presuntuosa. Per non parlare dei moderni mezzi di comunicazione di massa, specialmente la stampa periodica e la televisione, che completano l’opera di condizionamento e indottrinamento della stragrande maggioranza delle persone, riducendole a marionette telecomandate, con l’aggravante che ciascuna di queste marionette nutre la profonda, ma illusoria convinzione, di essere una persona autentica, per giunta bene informata e ben provvista di scienza, solo perché conosce il nome delle cose e alcuni meccanismi puramente esteriori.
Invece, come abbiamo detto, ci vuole ben altro per conoscere le cose: ci vuole l’amore disinteressato, l’amore di benevolenza, che si stupisce di tutto e vuol farsi tutto a tutti, senza nulla chiedere per sé, se non, appunto, la conoscenza stessa; ma che la chiede, non la pretende: si dispone a riceverla, non a conquistarla. Ora, quasi tutto quel che sappiamo, o meglio, quasi tutto quel che crediamo di sapere, è falso, per la semplice ragione che ci è stato dato dall’esterno, non è stato tratto fuori da noi stessi. Ma la realtà esterna, in effetti, non può esserci trasmessa, se non sotto forma di cognizioni puramente esteriori: perché il sapere divenga qualcosa di vivo e di vivificante, bisogna che nasca dall’interno di noi stessi, che mobiliti le nostre facoltà più intime; in breve, che solleciti tutta la nostra persona e la nostra umanità, e non solo una parte di essa.
Scriveva Fulton J. Sheen, il celebre arcivescovo americano (nato a El Paso, Texas, l’8 maggio 1895 e morto a New York il 9 dicembre 1979), nel suo libro Menzogne e verità (titolo originale: Old Errors and New Labels; New York, Appleton, 1931; traduzione dal’inglese di Frida Ballini, Torino, Borla Editrice, 1953, pp. 218-220):
Non sarebbe ottima cosa fondare nel nostro paese delle università che avessero lo scopo, non di insegnare, ma di far disimparare? Non è forse vero che l’insegnamento di una falsa filosofia e di una falsa morale, del quale alcune Università si sono rese colpevoli negli ultimi duecento anni, ha creato un nuovo problema nel campo dell’insegnamento, e cioè quello di disfare ciò che è stato fatto male? È giunto il momento in cui si rende necessaria una certa disinfezione, o sterilizzazione intellettuale, affinché la società pensante riacquisti la salute. Immaginate, dunque, che una Università americana potesse far dimenticare il concetto che ad imbottire di fisica un intelletto, ‘uomo diventa religioso; immaginate che si crei una facoltà universitaria dedicata a cancellare la falsa filosofia pragmatista, la quale tende a provare che ogni prova è priva di valore; supponete che si possa avere una facoltà di religione che sradichi il falso concetto secondo il quale tutte le religioni contenendo certi concetti simili, hanno tutte la stessa radice comune e lo stesso fondamento, e sono quindi tutte di origine umana; supponete che si abbia una Università per cancellare l’idea che progresso vuol dire soltanto mutamento e complessità, invece che sviluppo nella giusta direzione; ed una scuola, che faccia dimenticare tutta la falsa storia insegnata sotto l’ispirazione del Gibbon. Se sorgesse nel nostro paese una Università del genere, dove i professori raddrizzassero gli intelletti lungo le linee della sanità mentale, e sradicassero il falso concetto secondo il quale novità è sinonimo di verità, e la morale è poco superiore al gusto, io dico che tale Università renderebbe al paese lo stesso servizio che l’ufficio sanitario rende alla città, perché contribuirebbe a mantenere sgombre quelle arterie mentali lungo le quali affluiscono i rifornimenti all’intelletto ed al cuore. Se onoriamo quegli scienziato che col loro sapere, l’industria e gli sforzi hanno arginato le stragi compiute dalla malattia e dalla morte, perché non dovremmo onorare gli altri uomini che arginano le stragi compiute dall’errore? Perché, dopo tutto, se la malattia è possibile, è altrettanto vero che è possibile anche l’errore, il maggiore di tutti i mali, Forse una tale Università verrà fondata non appena comprenderemo che il nostro paese sta soffrendo, non tanto le conseguenze della falsità, quanto l’insopportabile ripetizione delle mezze verità.
Non è forse l’ora di riconoscere che il sistema cattolico di istruzione è l’unico valevole in n paese che sta rapidamente affollandosi di innumerevoli scuole? Non esiste una differenza di gradi fra l’istruzione moderna e quella tradizionale che possiamo chiamare cattolica, ma piuttosto una diversità di specie. La differenza tra i due metodi è quella che corre tra educazione ed istruzione. Noi educhiamo: essi istruiscono. Educare significa trarre in luce qualche cosa, come spiega l’origine latina ella parola. Istruire sembra significhi invece introdurre qualche cosa. Orbene soltanto Dio, e la gerarchia cristiana possono trarre in luce qualche cosa. L’uomo può introdurre qualche cosa, e potrà essere cosa buona, oppure cattiva. Non può essere educativo un sistema nel quale si insegna che l’uomo è un animale glorificato, od un degno discendente della foresta, che non ha un destino soprannaturale, né un’anima dotata in potenza della facoltà di comunicare coll’infinito. Per la sua natura stessa, un sistema del genere non potrà mai trarre nulla alla luce. Il nostro sistema afferma invece che siamo non bestie progredite, bensì degli angeli decaduti, che nel passato abbiamo avuto un’Epoca d’Oro in cui i nostri antenati camminavano a fianco di Dio: che abbiamo una natura capace di venire illuminata dalla fede di Dio, e di fare di noi dei veri figli di Dio Onnipotente. In ogni teoria pedagogia da cui Dio rimanga escluso si deve spiegare il carattere unicamente in base alle influenze esterne, quali l’ereditarietà, l’ambiente o gli stimoli psicologici, e la società. Il predominare dell’esteriore la caratteristica della barbarie. Quando Dio occupa il suo posto, il carattere non si spiega tanto in base a fattori esterni, quanto su quelli interiori, come l’abnegazione, che è il massimo tipo di affermazione personale, atto di volontà col quale l’uomo rimane padrone nel suo destino.
Dunque, così come non si dà la cera al pavimento, se prima non lo si è pulito, né si apparecchia la tavola, se prima non si sono tolti i resti del pasto precedente, ugualmente non si può pretendere di cominciare a capire qualcosa, se prima non si bonifica la mente da tutta la falsa scienza che vi si è depositata, come la polvere, la muffa, o un’erbaccia infestante. E, sebbene sia tutta la società che ci bombarda, dalla mattina alla sera, di un falso sapere, di una falsa informazione, di false verità (perché mezze verità), dovendo pur cominciare la bonifica da un punto preciso, noi sceglieremmo la scuola: la fucina per eccellenza del falso sapere. Stuoli d’insegnanti conformisti, al servizio di programmi conformisti, servendosi di libri di testo conformisti, lavorano tutti i santi giorni per indottrinare gli studenti e ottunderne le facoltà critiche: ebbene, da qui si dovrebbe partire per operare una radicale riforma del sapere, sia nei contenti che nelle prospettive.
Nei contenuti delle varie discipline: siamo proprio sicuri che gli autori che vengono propinati, nella storia della letteratura, sono i più meritevoli di essere studiati e conosciuti dai giovani? Che i vari Svevo, Pirandello, Joyce, Kafka, Proust, Woolf, devono far parte del bagaglio culturale e spirituale di un uomo del nostro tempo, mentre di altri autori, che non si sono limitati a disprezzare e svilire la condizione umana e lo stesso principio di conoscenza, molti non conoscono neppure il nome? Lo stesso discorso va fatto per la storia, per la filosofia, per la pedagogia, per la storia dell’arte, e persino per le materie scientifiche. È ammissibile che si continui a presentare la teoria evoluzionista di Darwin come se fosse verità certa, e non una semplice ipotesi, finora non adeguatamente suffragata dai fatti? E, se lo si fa, non sarà perché i poteri occulti che governano il mondo, scuola compresa, vogliono che sia introiettata universalmente l’idea che l’uomo è solo un animale un po’ evoluto, che non possiede un’anima e che non va incontro ad alcun destino soprannaturale? Guarda caso, sono le stesse idee che affermano, esplicitamente o implicitamente, gli autori della letteratura, i filosofi, i pedagogisti, gli artisti, ecc., che si studiano a scuola, tanto che al povero studente non resta altro da pensare se non che tutti gli uomini di cultura, o quasi, sono stati, e sono tuttora, di una simile opinione. Il che, invece, è perfettamente falso.
Nelle prospettive: perché a scuola, e ancor più all’università, si opera affinché lo studente consideri scontata, e, anzi, scientificamente stabilita, un’unica metodologia di ricerca e un’unica idea del sapere: vale a dire, perché apprenda che il "vero" sapere è quello delle scienze esatte (senza badare al fatto che la stessa espressione è tautologica: che siano "esatte", se lo dicono da sole, proprio come Marx, modestamente, definiva "scientifico" il suo socialismo, e "utopistici" tutti gli altri) e che tutte le alte forme del conoscere, ammesso che siano tali, sono tanto meno affidabili quanto più ci si allontana da esse. In una tale prospettiva, solo ciò che è direttamente osservabile, misurabile, quantificabile, possiede lo statuto di vera scienza; il resto è opinione, fantasticheria o truffa. Il discredito di quella che fu la regina delle scienze d’un tempo, la teologia, la scienza delle cose divine, parte da qui, da questo modo di porre il problema della conoscenza. Ed è un doppio discredito: perché Dio, come tutti sanno, non esiste, era solo una pia invenzione di preti astuti e di folle ignoranti; e perché, evidentemente, non si può studiare ciò che non esiste.
E invece no. Noi non conosciamo un bel nulla, se non amiamo: e per amare, bisogna coltivare e sviluppare non solo l’intelligenza e la volontà, ma anche la sensibilità. Una ricerca recente dimostra che il miglior sistema scolastico, ossia quello che dà i risultati più soddisfacenti, è quello (sorpresa!) ungherese; ebbene: nelle scuole ungheresi si dà molta importanza all’educazione musicale; in pratica, i ragazzi cantano ogni giorno di scuola. Chi canta, chi fa o ascolta musica (la buona musica, sia chiaro: non le orrende cacofonie rock!), si pone in uno stato d’animo di amore, contemplazione, pace, serenità, benevolenza, stupore. Sono, questi, gli ingredienti necessari per rendere possibile il conoscere e, di conseguenza, il vero sapere. Una scienza senza amore è una scienza diabolica: la scienza che produce la manipolazione dei viventi, lo scempio della natura, che libera le energie distruttive, che prepara l’apocalisse finale. Non di questa scienza abbiamo bisogno, se vogliamo evitare di autodistruggerci; ma di quell’altra, buona e amorevole, che consiste nell’aprirsi al mistero dell’essere e nel trarre fuori dall’uomo stesso la sua parte migliore. Invece di indottrinare i giovani, dobbiamo permettere loro di divenire ciò che devono essere. Perché ogni uomo ha una missione da compiere in questa vita, in preparazione dell’altra: che ciò possa piacere ai darwinisti, oppure no…
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