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Che rapporto c’è fra la bellezza dell’apparire e quella dell’essere?

La bellezza dell’anima, si usa dire, quasi per risarcirsi della mancanza di bellezza del corpo: ma che cos’è? Esiste davvero, o è solo un premio di consolazione, un concetto vuoto, inventato da filosofi come Platone, inguaribilmente malati d’idealismo?

La questione è di estrema importanza: primo, perché la bellezza è una categoria che riveste, nella nostra vita, un ruolo che sarebbe ben difficile sopravvalutare; secondo, perché viviamo in una società (come quella greca) letteralmente ossessionata dal mito della bellezza; terzo, per acquisire una più salda consapevolezza di noi stesi e dell’altro, mediante la quale stimare in maniera più esatta e veritiera quel che appartiene all’apparire e quel che appartiene all’essere.

Un bel paesaggio; una bella donna; un bel corpo: tutti sappiamo, o crediamo di sapere, che cosa significano simili espressioni; perché il linguaggio della bellezza è universale. Però basta che dall’ambito della natura ci spostiamo in quello dello spirito, ed ecco che subito le cose diventano più complesse, sfumate, quasi ambigue: perché non tutti saranno d’accordo su quel che si può definire un bel quadro, un bell’edificio o una bella musica. Il quadro, l’edificio, la musica, infatti, apaprtengono alle creazioni dello spirito: sono nate nella mente e nell’anima di un artista e poi, in seconda istanza, sono state tradotte nel linguaggio del colore, della forma, del suono: più o meno fedelmente, ma sempre imperfettamente, rispetto all’originale. Sulla bellezza di un paesaggio, più o meno, saremo tutti d’accordo; al massimo, qualcuno potrà aggiungere: Riconosco che è bello, ma mi mette malinconia; oppure: Ammetto senz’altro che sia bello, però in quel luogo io non ci vorrei vivere, non so perché. Davanti a un quadro, a un palazzo, a un brano musicale, invece, sarà molto più facile andare incontro a radicali discordanze di giudizio, già di primo acchito; e non parliamo di una poesia, di un romanzo, di un film.

Ora, la bellezza creata mediante il linguaggio dell’arte appartiene ad un genere analogo a quello della bellezza interiore; anzi, per parlare con maggiore precisione, ne è l’espressione naturale e immediata, mentre la bellezza dell’opera d’arte è una espressione mediata e riflessa. Il musicista si pone davanti allo spartito musicale e compone la sua musica; ma la persona interiormente bella non compie alcuno sforzo per apparire in un modo piuttosto che in un altro, o, comunque, nessuno sforzo particolare, oltre alla normale cura di sé e del proprio aspetto. A dedicare una cura esagerata al proprio apparire non è mai la persona interiormente bella, ma quella che vuole compensare con l’avvenenza esteriore, o rafforzando la propria avvenenza, una carenza di bellezza e di luminosità interiore. Pertanto si può dedurne che la bellezza interiore esiste, ed esiste naturalmente, purché vi sia qualcuno che la sa vedere; mentre la bellezza esteriore esiste per tutti, è oggettiva, ma, nello stesso tempo, è più fragile e non appartiene interamene a colui che la possiede: sia per il naturale invecchiamento del corpo, che la corrode e la distrugge, giorno dopo giorno (una bella fanciulla di sedici anni non deve compiere quasi alcuno sforzo per apparire in tutto il suo splendore: né diete, né cosmesi, né palestra, eccetera; ma quella stessa fanciulla, arrivata ai sessant’anni di età, certo non potrà godere del medesimo privilegio), sia perché è misteriosamente, ma inscindibilmente, legata alla presenza, o all’assenza, della bellezza interiore.

Vogliamo dire che una persona dalla bellissima apparenza, se, dopo che l’abbiamo conosciuta, rivela dei gravi difetti d’intelligenza, o di buon gusto, o nei valori e nel comportamento morale, inevitabilmente ci apparirà meno bella, o meglio, la sua bellezza ci si presenterà sotto una luce nuova e diversa, che non c’incanta più, non ci trascina, non ci fa sognare, anzi genera un senso di freddezza e una impressione di disarmonia, come una promessa non mantenuta o come un amico che ci abbia deluso. E ciò dimostra che la bellezza esteriore è un riflesso di quella interiore. Se ci rendiamo conto che alla prima non corrisponde la seconda, ci sentiamo traditi, come chi scoprisse che la bella e fastosa città, vista nelle immagini del cinema, non è fatta di altro che delle facciate di legno delle case e dei palazzi: che è una città fasulla, priva di consistenza. Il che non può dirsi nella situazione inversa. Davanti a una persona interiormente bella, ma priva di bellezza esteriore, non proviamo la stessa sensazione di promessa non mantenuta; al contrario, è quasi impossibile che non finiamo per mutare giudizio anche davanti al suo aspetto fisico: perché più si frequenta una persona moralmente e spiritualmente bella, più se ne apprezza tutto il valore, ed è frequente che ci s’innamori, in un certo senso, di tutta la sua persona, dunque anche del suo aspetto. Non sono poche le donne, anche bellissime, che si sono innamorate, in questo modo, di uomini fisicamente poco attraenti; e, a volte, la stessa cosa è capitata con uomini belli nei confronti di donne assai meno avvenenti, però riccamente dotate sul piano interiore.

Ha scritto in proposito Piero Ferrucci, psicoterapeuta e filosofo, seguace della psicosintesi di Roberto Assagioli (in: P. Ferrucci, La bellezza dell’anima, Milano, Mondadori, 2009, pp. 146-147):

Qualcuno dice: non è la bellezza dell’apparire quella che conta, ma quella dell’essere. Alla luce delle ricerche appena viste, e anche dei modi di vita che contraddistinguono oggi le società occidentali, pare una posizione insostenibile, per non dire patetica. "La bellezza interiore non ti servirà per farti scopare" ammonisce con brutale realismo una bella ragazza su un adesivo per auto. Non c’è da stupirsi se (negli Stati Uniti) l’investimento sociale nella bellezza (cosmetici, chirurgia estetica, ecc.) supera quello nell’educazione: si investe nell’estetica per garantirsi di essere amati. La bellezza fisica suscita emozioni, muove denaro, crea potere, e fa cadere imperi.

E invece, quando si parla di bellezza dell’anima o bellezza interiore, si rischia subito di cadere nell’idealismo e nella retorica. C’è poco da fare: per la maggior parte delle persone conta di più la bellezza esteriore, quella interiore rimane un’ipotesi o una favola.

Eppure, in questo modo, non stiamo forse commettendo l’errore di dimenticare qualcosa di essenziale? Basta riflettere un momento; la qualifica di bello può venire utilizzata non solo per ciò che è visibile, ma anche per ciò che è invisibile e soggettivo. Parliamo per esempio di un magnifico carattere, di una bella mente, di una persona stupenda. Molto più di quanto non ce ne rendiamo conto, la bellezza dell’anima è un punto di riferimento per capire una persona. Forse la bellezza del corpo non è l’unico fattore importante. Immaginate di essere spostai con una persona bellissima esteriormente ma dal carattere pestifero. Siete proprio sicuri che la bellezza fisica sia l’unico fattore che conta?

Forse il modo migliore per capire questo punto è di pensare alla bruttezza morale. Di fronte a un delitto tremendo, come ne leggiamo ogni giorno sui giornali, a una persona squartata o a un bambino violentato, siamo presi dal disgusto e dallo sdegno, ed esclamiamo; che cosa orrenda! Cioè applichiamo a quel fatto una categoria estetica. Quando qualcuno approfitta dei più deboli, quando tradisce un amico, o non soccorre un ferito, per esempio, ecco, non definiamo forse brutti questi atti al punto di prendere risolutamente le distanze da chi i ha commessi?

Se c’è la bruttezza morale, ci deve essere anche la bellezza morale. I giornali non ne parlano tanto, perché non incrementa le vendite. Meglio i mostri, i sadici, i guerrafondai, gli inventori del male. Fanno più effetto. Ma la bellezza morale c’è.

La verità è che ci sono tutt’e due le bellezze, quella esteriore e quella interiore. La prima è più evidente, più atta a suscitare emozioni, più immediata, più gratificante a breve scadenza. La seconda è più sottile, di solito richiede più tempo per essere percepita, è più profonda. E non sempre si rivela appieno a un’occhiata distratta. La bellezza fisica è un velocista: nei percorsi brevi arriva sempre prima. La bellezza dell’anima è un maratoneta: viene fuori alla distanza.

La bellezza dell’anima: è la bellezza, per esempio, dell’intelligenza, dell’onestà, della coerenza, o della generosità. È una bellezza che non ha niente a che fare con i cosmetici, che non è dovuta a un abito elegante o a un’automobile ultimo modello, che non può diventare nostra in cambio di un assegno, ma che, se la riusciamo al di là delle apparenze, ci ispira, ci guida, trasforma la nostra vita.

Varie ricerche hanno dimostrato che la nostra percezione della bellezza fisica di una persona è influenzata da ciò che conosciamo di lei. Se non l’abbiamo mai incontrata prima, allora il nostro giudizio estetico sarà puramente esteriore. Ma dopo averla conosciuta ci apparirà più bella se ne apprezziamo aspetti non fisici e non immediatamente visibili, come la disponibilità a collaborare o l’affidabilità. Per esempio, ai partecipanti di un corso di archeologia sul campo, venne chiesto di valutare la bellezza fisica di tutti gli altri al principio del corso, e poi di nuovo alla fine. Ci furono dei cambiamenti notevoli nelle valutazioni, dovuti al fatto che era stata data loro la possibilità di conoscersi e apprezzarsi al di là delle apparenze.

La bellezza, in definitiva, è un segno di contraddizione: fa esplodere ciò che in noi non abbiamo risolto, fa emergere la nostra maturità o la nostra immaturità. Una persona irrisolta, immatura, superficiale, non ha occhi che per la bellezza esteriore, e quanto più essa è vistosa, fosse anche volgare, tanto meglio: perché un simile genere di persone preferisce sempre la dimensione della quantità a quella della qualità. Una tale persona farà di tutto per "possedere" la bellezza, perché, nella sua ignoranza, non sa che nulla si può possedere, tranne se stessi, e che c’è una sola maniera per apprezzare nel giusto modo le cose belle: lasciare che siano se stesse, quanto più naturali possibile, non certo ingabbiarle per appropriarsene: perché, così facendo, tutto quel che si riuscirebbe a possedere sarebbe una veste vuota, un simulacro privo di sostanza.

Soltanto la persona risolta e matura, ma pur sempre alla ricerca – perché le persone autentiche sono perennemente alla ricerca e non hanno mai finito di sciogliere la loro missione, che è conoscere e amare, o meglio, conoscere amando, conoscere attraverso l’amore — è capace di apprezzare sia la bellezza esteriore, sia quella interiore, ma senza lasciarsi prendere all’amo dalla prima, e senza disperarsi quando essa si sottrae, e, anzi, godendo sempre più della seconda, apprezzandola sempre più nel suo giusto valore, e cercando, per quanto possibile, di lasciarsene contagiare, di lasciarsene riempire, di lasciarsene possedere.

Insomma: la persona che ha compreso ciò che conta nella vita, cerca di lasciarsi sollecitare dalla bellezza, e specialmente da quella spirituale, per imparare a divenire ciò che deve essere, e per diventare migliore; la persona ignorante, al contrario, crede e s’illude di poter controllare, possedere e manipolare la bellezza, e intanto non si accorge di ciò che tutti gli altri vedono perfettamente: che proprio il suo comportamento puerile, egoista, immaturo, fa risaltare la pochezza o la mancanza della sua bellezza interiore, e che nessuna strategia basata sullo sfoggio della bellezza esteriore riuscirà mai a nascondere tale evidenza. Insomma: la bellezza è un dono, ma solo per chi sa apprezzarlo e goderlo nella maniera giusta; per gli altri, è un castigo e una maledizione. E, di fatto, il mondo è pieno di persone fisicamente belle, ammirate e ricercate da tutti per la loro avvenenza, le quali, però, non trovano né l’amore, né, tanto meno, la felicità, ma fanno collezione di delusioni, amarezze, rimpianti: sono quelle persone che non sanno portare la bellezza che la natura, nella sua prodigalità, ha donato loro, ma a patto che ne facessero un uso adeguato; che non ne sono state all’altezza, perché sono simili a pesci d’acque basse, mentre la bellezza è un dono abissale, che, per dispiegarsi, richiede di essere condotto audacemente al largo.

Perciò, davanti al mistero della bellezza, non dovremmo chiederci se siamo stati fortunati o sfortunati, o se abbiamo saputo impadronirci di quelle tecniche (che pure esistono, ma che sono adatte alle persone di poco o nessun valore) mediante le quali si può "rubare" la bellezza altrui; perché davanti ad esso, alla lunga, non è possibile fingere, non si può far credere a nessuno, e neppure a se stessi, di essere ciò che non si è. Bellezza chiama bellezza; e soltanto la bellezza spirituale sa comprende quella fisica, non viceversa. Nel romanzo di Victor Hugo L’uomo che ride, la bellissima Dea, cieca, ama teneramente l’orrido Gwynplaine, che non ha mai visto: lo ama perché, non avendo la vista degli occhi, possiede la vista del cuore, che non inganna, e ne ha percepito tutta la profonda bellezza interiore. Ma è un segreto, quello della bellezza, riservato a pochi: chi ha paura delle rughe, non lo comprenderà mai, come chi non ha orecchio per la musica…

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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