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Chiesa e Magistero per i teologi progressisti (G. Piana)

Giannino Piana, classe 1939, è il ritratto del perfetto teologo cattolico progressista e di sinistra, per il quale la "vera" Chiesa nasce con il Concilio Vaticano II e si attua, finalmente, e pienamente, con la linea impressale dal pontificato di papa Bergoglio. Insegna Etica cristiana presso la Libera università di Urbino ed Etica ed economia presso l’Università di Torino (due poltrone per un docente: non male, in tempi di crisi del posto di lavoro); è stato Presidente dell’Associazione italiana dei teologi moralisti; collabora a una quantità di riviste, dal mensile Jesus (dalle cui colonne ha attaccato il cardinale Ruini, reo di aver espresso giudizi favorevoli sul passato governo di centro-destra, lui che è vicino al Partito democratico) al quindicinale Rocca, altra storica e rocciosa roccaforte — come dice il titolo — dei catto-progressisti; ha pubblicato una quantità di libri, sia da solo che in collaborazione, e diretto prestigiose opere enciclopediche.

È fra quelli che rimproverano alla Chiesa di avere accumulato gravi ritardi nell’aprirsi al dialogo col mondo e nell’ascoltare le voci interne di dissenso, e che ora si compiacciono del ritmo e della direzione presa dalla Chiesa del dopo Ratzinger: finalmente, pensano, si va nel senso giusto; finalmente ci si apre, si dialoga, si ascolta; finalmente la Chiesa si fa tutt’uno col mondo, e prevale il criterio d’ispirare il Magistero ecclesiastico all’azione di coloro che agiscono "nel mondo" (evidentemente, ciò che pensano i frati e le suore di clausura non conta nulla, dal momento che costoro si sono rifugiati fra quattro mura e non sanno che cosa voglia dire "vivere nel mondo", all’interno delle "situazioni problematiche"). Insomma, si tratta di quella linea teologica che ha preso il sopravvento dal Vaticano II: prima, il Magistero era custodito e tramandato dal papa, dai cardinali e dai vescovi; adesso, lo fanno i preti, ma specialmente i preti di strada, i vescovi e gli arcivescovi che vanno in bicicletta dentro le cattedrali, e che pronunciano le omelie sulle note delle canzoni di Noemi e Mengoni; ma, più ancora, lo fanno i teologi, meglio se laici, come gli Enzo Bianchi (per chi non lo sapesse, costui non è affatto un prete, anche se qualcuno lo vorrebbe fare cardinale), o come i Vito Mancuso, o, appunto, come il professor Piana.

Già: il Magistero. Il Magistero non è un insegnamento di origine umana; non dipende dalla buona o dalla cattiva volontà di un singolo pontefice, di una singola commissione di cardinali (magari alla Carlo Maria Martini, cioè dal cattolicesimo assai dubbio, e dalle esplicite simpatie massoniche), né, tanto meno, di teologi, laici o sacerdoti che siano, progressisti o meno: è, né più, né meno, l’insieme del Depositum Fidei, che viene preservato nella sua purezza e trasmesso alle generazioni dei fedeli, perché uno è il Vangelo di Cristo, uno e non cento (come vorrebbero i protestanti), così come una è la Chiesa da lui fondata, e affidata al primo degli apostoli, Simon Pietro detto Cefa. Il Magistero è la fedele interpretazione e trasmissione della Parola di Dio. Ma, dicono i teologi progressisti, esso deve adattarsi ai tempi, alle condizioni storiche, le quali mutano continuamente. Certo che mutano: anche troppo. Il ritmo di cambiamento della modernità è tale che nessuna cultura può ritenersi sufficientemente progressista, se non rivede da cima a fondo se stessa ogni due, tre anni al massimo. E allora? Bisognerà rivedere il Vangelo di Gesù Cristo ogni due, tre anni? Non pretendiamo tanto, rispondono, senza scomporsi, i teologi progressisti; ci basta che vengano aggiornate le forme del Magistero; che vengano aggiornati la pastorale, la liturgia, il catechismo. Per quanto riguarda la dottrina, siamo disposti — dicono – ad avere più pazienza; non però una pazienza illimitata. Anche la dottrina, un poco alla volta, bisogna che cambi; che si aggiorni.

Ma vediamo cosa siano il magistero e la comunità cristiana, per Piana (da: T. Goffi e G. Piana, Vita nuova in Cristo. Morale fondamentale e generale, Brescia, Queriniana, 1983, vol. 1, pp. 350):

Il soggetto portatore dell’attualizzazione della fede è la comunità cristiana viva, la cui autocoscienza deve essere riprodotta dal teologo in forma critica. Il "sensum fidelium" entra, dunque, di diritto nel processo interpretativo. Chi interpreta la fede è il popolo di Dio che ne fa esperienza. "La comprensione cristiana della fede — ha scritto E. Schillebeeckx — è, in definitiva, possibile soltanto nel’ambito della chiesa, perché solo qui siamo in grado di percepire l’eco della promessa salvifica… L’attualizzazione della fede cristiana emerge soltanto nella sfera dialogica del contesto ecclesiale e soltanto così viene annunciata al mondo: attraverso la chiesa, "sacramentum mundi".

La teologia deve, in qualche modo, essere teoria critica della prassi credente, nel senso che deve prendere le mosse dalla prassi attuale della chiesa, deve analizzarne i modelli soggiacenti e confrontarla con la sua propria concezione evangelica, aprendo possibilità sempre nuove ed inedite all’esperienza ecclesiale della fede. In questo contesto va inserito il ruolo specifico del magistero e il suo rapporto vitale tanto con la comunità cristiana quanto con la ricerca teologica. Le diverse funzioni ministeriali hanno, infatti, nella chiesa, lo scopo di tradurre ciò che essa vive: coordinando, stimolando, chiarificando, ma non reprimendo. Il terreno proprio i cui il magistero è chiamato ad esercitare il suo compito è quello del linguaggio della fede. Ad esso spetta, in ultima a analisi, discernere ciò che, nell’esperienza vissuta della fede e nell’interpretazione critica obiettiva della teologia, non corrisponde alla sostanza del messaggio. "È assurdo, infatti, che esista una comunità di fede, la quale non possa individuare quali sono le condizioni necessarie perché uno ne sia membro, indicando i limiti dell’ortoprassi e dell’ortodossia implicate nella propria dossologia" (Z. Alszeghy-M. Flick, "Come si fa la teologia", Roma, 1974, 130).

Senza voler fare un commento esaustivi, prendiamo buona nota di alcuni punti soltanto:

1) Al sensum fidei si sostituisce il sensum fidelium nella interpretazione della Verità cristiana: il cristianesimo si trasforma in un’assemblea democratica, ove i contenuti della dottrina vengono deliberati, e, se del caso, modificati, a maggioranza.

2) La Verità viene interpretata dal popolo d Dio, non dalla Chiesa; e il magistero è la traduzione di tale interpretazione. Esattamente come avviene nelle Chiese protestanti.

3) La Chiesa non è più la trasmettitrice fedele della Verità divina, nonché la comunità dei credenti in Cristo, ma è un sacramento in se stessa: il sacramento del mondo. Eppure, leggendo il Vangelo di Giovanni e ascoltando le parole di Gesù in esso riportate, ci era sembrato di capire che la Chiesa e il mondo sono antitetici e che non si possono servire entrambi, ma bisogna scegliere fra l’una e l’altro. Abbiamo capito male? Oppure il Magistero si era espresso male, negli ultimi secoli e negli ultimi decenni?

4) La teologia deve essere ("in qualche modo") la teoria critica della prassi credente, dice Piana. Ma quando mai? Se così fosse, la teologia sarebbe non già la "scienza del sacro" (come lo stesso Piana ha cercato di dimostrare nell’opera citata), ma il placet d’ufficio riservato alla "prassi credente" in quanto tale, nella sua spontaneità e immediatezza. Qui si capovolgono i termini del fatto: non è la Chiesa che fa la teologia; è la teologia che illumina ciò in cui crede la Chiesa (anche se Piana scrive sempre chiesa e magistero con le iniziali minuscole).

5) La teologia deve aprire possibilità sempre nuove ed inedite all’esperienza della fede? Niente affatto: se così fosse, la teologia avrebbe il potere di modificare i contenuti della fede. Le "possibilità sempre nuove" vengono dalla fede stessa, e non dalla teologia: per il semplice fatto che vengono da Dio, allorché il fedele compie l’atto di umiltà e di amore che consiste nell’abbandonarsi totalmente a Lui.

6) Il Magistero può "coordinare, stimolare, chiarificare", ma giammai reprimere, dice Piana. Proibito proibire: è, tale e quale, uno degli slogan prediletti del Sessantotto. Solo che la Chiesa non l’ha mai pensata così, e a ragione. Se l’avesse pensata così, tanto per fare un esempio, essa avrebbe dato ragione ad Ario, e torto ad Atanasio; e la Chiesa stessa, oggi, sarebbe ariana, cioè non crederebbe più alla divinità di Gesù Cristo. La Chiesa, invece, e il Magistero che essa impartisce, deve anche reprimere, eccome: deve reprimere le idee errate, le deviazioni teologiche, le apostasie e le eresie spacciate per dottrine ortodosse. Ma che cosa crede che sia, il professor Piana, il Magistero ecclesiastico? Esso è l’insegnamento della Chiesa, certo; ma la Chiesa non è affatto libera d’insegnare ciò che vuole, ciò che in quel momento alcuni teologi pensano, o ciò che la comunità dei fedeli delibera a maggioranza. La Chiesa ha il dovere (non la "libertà") d’insegnare solo ciò che corrisponde fedelmente alle Scritture e alla Tradizione; e non altro.

7) Sostiene Piana che il terreno proprio in cui il magistero è chiamato ad esercitare il suo compito è quello del linguaggio della fede. Chiaro? Non "la fede", ma "il linguaggio della fede". La teologia diventa teologia del linguaggio, come la filosofia moderna diventa filosofia del linguaggio. Non si discute più della cosa, ma di come si può parlare della cosa. La fede, il contenuto di verità che la anima e la vivifica, svapora nelle nebbie dell’interpretazione. Peccato che chi la pensa così non veda come, una volta imboccata questa strada, chiunque ha il diritto d’interpretare a piacimento la Verità cristiana. Come, appunto, fanno i protestanti; e come fanno i teologi citati da Piana, a cominciare da Schillebeeckx, che, in questo passaggio del suo ragionamento, rappresenta un punto di riferimento fisso e imprescindibile: come se ci fossero due teologie cattoliche, una anteriore ed una posteriore al pensiero di Schillebeeckx: valida la seconda, obsoleta la prima.

8) Al "linguaggio della fede" spetta, in ultima istanza, il compito di decidere ciò che corrisponde e ciò che non corrisponde alla sostanza del messaggio cristiano (e notiamo, di nuovo, che Piana non parla della Verità cristiana, e meno ancora adopera le lettere maiuscole quando utilizza dei corrispondenti secolarizzati di essa, come "messaggio"). E siccome il "linguaggio della fede" è affare dei teologi, nel senso da lui definito, ne deriva che sono lui e i suoi colleghi a chiarire ciò che è essenziale al "messaggio" cristiano, e ciò che, essendo secondario, o inessenziale, si può mettere fra parentesi, o riporre nell’armadio delle cose vecchie ed inutili.

9) Nella comunità di fede (che non viene chiamata "cristiana", sicché potrebbe anche essere una comunità d’altro tipo: viva le teologia relativista ed "ecumenista" post-conciliare) sono quanti ne fanno parte a decidere quali siano le condizioni necessarie per appartenervi. Opinare diversamente, dice il buon Piana (citando due teologi alla Schillebeeckx) sarebbe "assurdo". Strano: a noi pare assurdo quel che lui sostiene. Sarebbe logico, se la Chiesa fosse — lo ripetiamo – una qualunque assemblea laica e democratica, dove vige la regola: "un uomo, un voto"; ma non lo è. La Chiesa è un’altra cosa: è il punto d’incontro fra la realtà umana dei credenti e la realtà soprannaturale dello Spirito divino, che li assiste, li guida e li sostiene. Facciamo dunque un esempio, tratto dal Nuovo Testamento: quello del membro della comunità cristiana di Corinto che convive pubblicamente con la moglie di suo padre. La comunità non gli chiude le porte in faccia; e San Paolo se ne scandalizza (giustamente!) e la rimprovera. Le ordina di espellere il peccatore, affinché egli si ravveda. A muovere la pedagogia di San Paolo non è l’odio, ma l’amore: la Chiesa ha il dovere di correggere i peccatori e coloro che sbagliano. E ciascuno può trasferire questo esempio nella realtà odierna, ove si vedono adulteri, divorziati, omosessuali compiaciuti, accostarsi ai sacramenti come se nulla fosse, anzi,rivendicare il loro "diritto" a partecipar pienamente alla vita ecclesiale. Con l’incoraggiamento e l’approvazione di alcuni preti e vescovi, e dei soliti teologi progressisti e di sinistra. Ma è questa la ragion d’essere della Chiesa: avallare e santificare tutto quel che fanno, dicono e credono i suoi membri, anche quelli palesemente in peccato? Certo, Gesù parlava con i peccatori e non li condannava. Però condannava i peccati. All’adultera, che Egli salvò dalla lapidazione, ha raccomandato: Vai, e non peccare più. Bisognerebbe chiedere al professor Piana se Gesù, dicendole così, ha sbagliato, in quanto ha "represso" il suo modo di essere. E se, a suo pare, Gesù avrebbe accettato il figlio incestuoso fra i suoi discepoli, senza chiedergli di mutar vita…

Avremmo potuto citare anche la pagina successiva, in cui si svolgono e si ampliamo i medesimi concetti; ma sarebbe stato inutile. Cosa pensi l’Autore della teologia, della Chiesa, del Magistero e dello stesso Cristianesimo, ci sembra abbastanza chiaro. Preoccupa pensare che siffatti teologi oggi vanno per la maggiore, e che lo stesso Magistero (attuale) paia dar loro ragione. Dove vai, Chiesa?

Fonte dell'immagine in evidenza: RAI

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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