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Se la società impazzisce, bisogna pure che qualcuno conservi la testa sulle spalle

Colazione al bar, cappuccino, una rapida scorsa al giornale (che non vale la pena di comprare); fra le numerose cronache locali di ordinaria follia, tre, quest’oggi, balzano all’occhio, anche a quello di un osservatore distratto; tutte concentrate nel breve spazio d’una piccola provincia.

Prima storia: in un centro di accoglienza per (presunti) profughi, tre africani hanno picchiato e derubato del cellulare un italiano, per la precisione il responsabile della cooperativa che gestisce la loro ospitalità. Il motivo? Quel mattino, un amico dei tre, portatore di problemi psichiatrici, si è presentato al cancello della ex caserma per fare loro visita, ma gli operatori non lo hanno lasciato entrare, viste anche le sue patologie. Di qui la reazione rabbiosa dei tre soci, uno del Camerun e due della Nigeria, aitanti giovanotti fra i venti e i trent’anni (anche se non ci risulta che, in quei Paesi, vi siano guerre di corso), i quali, fra l’altro, per protesta, hanno dato in escandescenze e, all’ora di pranzo, scaraventato a terra i piatti con il cibo (ma non ci ripetono sempre, i media di regime, che costoro sono dei "disperati" che scappano da guerra e fame?). Poi, a sera, non ancora contenti, hanno ripreso a piantar grane, rovesciando panche e distruggendo una finestra. A questo punto, il signore di cui sopra li ha inquadrati con il telefonino, per avere un documento relativo ai danni che gli energumeni stavano causando. Non l’avesse mai fatto: in men che non si dica, i tre amici lo hanno insolentito, circondato, strattonato, picchiato e derubato del cellulare; e, per finire, sono scappati dal centro di accoglienza. Due sono stati identificati in serata dalle forze dell’ordine, il terzo è uccel di bosco. Stiamo parlando, ripetiamo, d’immigrati illegali (si può ancora dir così?) che avevano fatto domanda di asilo politico per ottenere il riconoscimento dello status di rifugiati.

Ma forse la cosa più caratteristica è stata la reazione di chi dovrebbe tutelare sia la loro sicurezza, sia l’ordine pubblico e la sicurezza dei cittadini. Il dirigente della cooperativa ha immediatamente minimizzato l’episodio, cercando di farlo passare per un incidente di poco o nessun conto. Il prefetto, dal canto suo, una signora che già ha avuto modo di polemizzare, sulla stampa, con le forze politiche locali, ovviamente stigmatizzando la scarsa ospitalità praticata da certi partiti, ha detto in televisione, davanti alle telecamere, che non è successo proprio niente di grave e che, trattandosi di persone che vengono in Italia con molte aspettative (parole sue), "ci sta" che possano anche protestare, come hanno fatto quei tre africani. Non possiamo fare a meno di domandarci come sarebbero andate le cose se ad assumere comportamenti violenti, nei confronti di qualche pubblico funzionario, fossero stati dei cittadini italiani, e non degli africani, sedicenti profughi, o, magari, degli zingari. Non è che sarebbero stati arrestato su due piedi e magari processarti per direttissima per oltraggio a pubblico ufficiale? Ma quei tre erano africani, per giunta "migranti", poverini, cioè persone notoriamente bisognose e sfortunate: come non avere un po’ di comprensione nei loro confronti?

Le parole del signor prefetto sono semplicemente devastanti: è come se avesse detto, col megafono, alle altre centinaia e migliaia di pretesi profughi, e anche a quelli che si trovano ancora sull’altra sponda del Mediterraneo, ma si apprestano a sbarcare in Italia: «Avanti, venite avanti, che siamo pronti ad accogliervi! Qui da noi potrete fare quello che vi pare; sarete trattati comunque con un occhio di riguardo! Già avete la precedenza nei sussidi, negli alloggi, nei soccorsi d’ogni genere, rispetto ai cittadini italiani, che, pur nella loro indigenza, pagano le tasse, almeno fin che possono, e rispettano la legge. Ma voi, per carità, potrete fare tutto quello che vi pare: potrete anche gettare via il cibo che vi offriremo, se non sarà di vostro gusto; spaccare gli arredi, tanto pagano i cittadini fessi; e malmenare il nostro personale. A voi tutto è lecito, poverini, perché sappiamo che avete sofferto tanto, e poi venute dai Paesi poveri del Sud del mondo, mentre noi siamo figli della civiltà opulenta, egoista e sfruttatrice. Avanti, dunque: mettetevi in fila (se si garba), prenotatevi un posto sulle navi e sui barconi, fate ogni sforzo per sbarcare sulle nostre coste o per varcare le nostre frontiere terrestri. Noi siamo qui che vi aspettiamo, e vi accoglieremo a braccia aperte. Lo dice anche il papa, che abbiamo il dovere di accogliervi; e, del resto, ha dato il buon esempio, lui, recandosi in Grecia, sull’isola di Lesbo, a predicare il diritto all’accoglienza indiscriminata e portandosi in Italia una dozzina di vostri fratelli, beninteso musulmani, perché, se avesse preso anche un solo cattolico, poi qualcuno avrebbe anche potuto dire che il papa fa preferenze per le sue pecorelle, e questo non sia mai. Anche se i cristiani dell’Africa e del Medio oriente, quelli sì che scappano dalla guerra di sterminio che l’Islam ha dichiarati loro, quelli sì che si trovano in pericolo di vita. Ma sono cattolici, sono cristiani; e allora, che ce ne importa? Per voi che siete musulmani, siamo pronti a fare ponti d’oro e venirvi a prendere fin sulle coste della Libia. Non sapete che l’Europa ha deciso di farsi perdonare il suo vergognoso passato colonialista, e di accordare la precedenza ai figli dei figli delle vittime del criminale sfruttamento di allora?»

Seconda storia: in una cittadina della zona, un vigile vede un giovanotto che si aggira intorno a una rastrelliera di biciclette parcheggiate in strada, lo segnala alla centrale di polizia, donde lo vedono attraverso le camere di videosorveglianza poste di fronte alla stazione ferroviaria. Intanto, il vigile lo osserva da lontano e poi, quando costui taglia il lucchetto e si porta via una bicicletta – non una a caso, ma una scelta con molta oculatezza, cioè da quattromila euro -, è svelto a intervenire e ad arrestarlo. Il ladro è, oltretutto, una vecchia conoscenza delle forze dell’ordine, tossicodipendente non nuovo a simili prodezze. Ma ecco che avviene l’imponderabile (si fa per dire, visto che l’Italia è il Paese dell’impossibile): quel signore è ospite della stazione di polizia da poche ore, quando arriva l’ordine di rilasciarlo immediatamente e, magari, con tante scuse. Cosa è successo? È successo che il magistrato investito del caso, invece di convalidare la notifica di reato, giudica che non vi è stato proprio nessun furto, dal momento che la persona in questione non aveva fatto in tempo a "entrare nella effettiva e autonoma disponibilità del bene trafugato". In altre parole: arresto troppo veloce, agenti troppo solerti, intervento troppo precipitoso. Non si è trattato di un furto vero e proprio, perché il ladro non ha avuto neanche il tempo di godersi un po’ la refurtiva; è stato, tutt’al più, un tentato furto, anzi, una intenzione di furto. Anche se lo hanno beccato con le mani nel sacco, subito dopo che aveva tranciato il lucchetto della bici. Paradossalmente, si potrebbe anzi dire: proprio perché lo hanno preso con le mani nel sacco. Affinché un furto sia tale, bisogna che il bene trafugato abbia preso il volo.

Anche qui, una sommessa, piccola domanda: si rende conto, quel magistrato, del tipo di segnale che ha lanciato, sia ai malviventi, sia alle forze dell’ordine, sia, infine, ai cittadini onesti e rispettosi delle leggi? Ai primi, è come se avesse detto. «Rubate, rubate, ragazzi miei; niente paura: ci siamo qua noi a farci vostri difensori e paladini; c’è qui la legge, che vi copre e vi giustifica, che vi difende dai poliziotti e dai vigili brutti e cattivi. Rubate e andate in pace: voi non avete colpe, è la società colpevole; continuate a drogarvi e a rubare per procurarvi la droga; picchiate i genitori, scippate le vecchiette, penetrate nelle case e nei negozi, asportate tutto ciò che di valore vi capita alle mani; niente paura, niente scrupoli: quassù qualcuno vi ama e vi copre le spalle!». Alle forze dell’ordine, è come se avesse detto: «Ma la volete piantare di rompere le scatole ai bravi ladri, spacciatori e delinquenti, che se ne vanno in giro per i fatti loro? Eh, via, quante storie per una bicicletta (da quattromila euro)! Non vi vergognate a difendere i beni dei ricchi contro la povera gente, emarginata e bisognosa? Già rischiate tutti i santi giorni di beccarvi una coltellata nello stomaco per far rispettare la legge; volete crearvi dei problemi anche dove non ce n’è bisogno? Volete imparare, sì o no, a farvi gli affari vostri, a vivere e lasciar vivere?». E a tutti i cittadini onesti e rispettosi della legge, è come se avesse detto: «Chi siete voi, chi vi conosce, che c’è da spartire fra voi e noi, supremi e insindacabili tutori della giustizia? La vostra mansuetudine, la vostra onestà, la vostra rettitudine hanno stufato; siete noiosi, sciocchi, banalmente borghesi. Guardate che abbiamo ben altro da fare, noi magistrati, che prenderci cura di voi e della vostra tutela! Abbiamo cento cose più importanti a cui pensare, noi magistrati progressisti e di sinistra, noi nipotini dei bei tempi della contestazione studentesca e della lotta "dura e senza paura"! Dobbiamo seguitare a baloccarci con le nostre velleità egualitarie e demagogiche; dobbiamo continuare a batterci per gli ultimi, per i più sfruttati, per i più sfortunati. Che non siete certo voi, razza di filistei e di benpensanti, razza d’individui meschini, affamatori degli ultimi».

Terza storia: il presidente di una minuscola pro loco di un minuscolo paesino è stato denunciato perché, quasi due anni fa, quattro persone sono morte nel corso di una festa paesana, travolte dal fiume in piena sotto il tendone ove stavano festeggiando. La pioggia improvvisa, violentissima, tropicale, aveva gonfiato a dismisura un fiumicello che, di solito, non fa paura nemmeno a un bambino, spazzando via ogni cosa, anche le automobili parcheggiate sul piazzale, ai piedi delle colline. Era stata una tragica fatalità (oltretutto il luogo della festa era stato spostato all’ultimo momento; se fosse stato mantenuto quello originario, non sarebbe successo nulla, data la diversa ubicazione della struttura destinata alla sagra), aggravata, senza dubbio, dalla scarsa manutenzione del territorio, un’area viticola e geologicamente fragile, perché soggetta a frane e smottamenti. È certo, però, che i presidenti delle pro loco non hanno né le competenze, né gli strumenti, per occuparsi di simili problematiche: per quelle, semmai, dovrebbero provvedere i comuni, le province, le regioni. I presidenti delle pro loco sono, quasi sempre, delle comunissime persone di buona volontà che si rendono disponibili, senza secondi fini e senza particolari vantaggi, per animare qualche evento pubblico, che porti un po’ di allegria e un po’ di socializzazione nelle nostre comunità, già tanto sgretolate e rinchiuse in un circolo vizioso di auto-isolamento a causa di svariati e quasi incontrastabili fattori dell’economia e della vita moderne. Infatti, tre delle quattro famiglie colpite dal lutto non si sono sognate di muovere accuse; solo una lo ha fatto, intenzionata ad ottenere un adeguato risarcimento per i danni "morali e materiali" che ha subito, con la perdita del proprio congiunto. Insomma, vuole un colpevole. Ad ogni costo.

Anche qui, una piccola domanda: è giusto agire a questo modo? Ci deve essere sempre un colpevole? E, ammesso che ci sia, è stato individuato quello giusto? Sì, lo sappiamo, è doloroso riaprire certe ferite; ma, arrivati a questo punto, è diventato inevitabile: quelle quattro persone sarebbero ancora vive, se avessero agito con un po’ di prudenza e di buon senso. L’alluvione non è stata affatto subitanea: c’era tutto il tempo di mettersi al sicuro. E, infatti, così hanno fatto decine di perone che erano presenti, quella maledetta sera di agosto, sotto il tendone ai piedi delle verdi colline sferzate dalla pioggia. Sarà anche stata, come ora è in uso dire, una bomba d’acqua, ma una bomba che è scoppiata molto, molto lentamente. L’acqua è filtrata un po’ alla volta da sotto il tendone, e alcuni imprudenti sono rimasti lì a scherzare e a ridere. Ci sono i filmati dei telefonini che lo testimoniano con assoluta evidenza. In uno di essi, si vede un signore che si arrampica, a forza di braccia, sulle travi d’acciaio che sorreggevano il tendone: chi ha visto quelle immagini ai telegiornali, avrà pensato: «Guarda che roba! Erano proprio disperati! Si vede che non c’era altra via di salvezza, in quel momento!». E invece no. Lo stesso filmato mostra chiaramente che l’acqua era solo all’altezza delle caviglie: nessun pericolo immediato, solo una sorta di avvertimento. Bastava uscire, invece di restar lì a scherzare con la morte. Che poi si cerchi di addossare la responsabilità della tragedia a un signore che non c’entra nulla, e che ha solo prestato la sua buona volontà per la riuscita di una festa di paese, è davvero molto triste. Testimonia semplicemente il fatto che non si è mai disposti ad assumersi le proprie responsabilità, ma si tenta sempre di accollarle a qualcun altro, fosse pure al primo che passa, mettendolo in croce al posto nostro: qualsiasi cosa, tranne che farsi un esame di coscienza e accettare le conseguenze dei propri atti e delle proprie imprudenze, o di quelle dei nostri cari. Sempre questa eterna rabbia contro qualcuno, questa eterna volontà di farla pagare agli altri, per alleviare le nostre sofferenze.

Perché le sofferenze non le vuole più nessuno, neanche (anzi, soprattutto) se, in qualche modo, ce le siamo proprio cercate; le responsabilità sono roba da mettere sulle spalle dei fessi, non sono fatte per i furbi; mentre l’onestà, la prudenza, il rispetto del prossimo, sono capi ormai passati di moda…

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Christian Lue su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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