
Perdere Dio, perdere la carità
17 Aprile 2016
Per le falle che la nevrosi apre nell’anima può insinuarsi lo Spirito del Male?
18 Aprile 2016La nostra patria è l’Europa; la nostra civiltà, è la sua civiltà, che ci è stata madre per 1.500 anni; la nostra cultura e la nostra religione sono cristiane e cattoliche: e ciò dovrebbe pensare, e sentire, ogni cittadino europeo, indipendentemente dalle sue personali convinzioni: anche se ortodosso o protestante; ance se ateo. Ortodossi e protestanti si sono separati dalla Chiesa di Roma, amalgama e sintesi di tutti i nostri valori morali e intellettuali, gli uni mediante uno scisma, gli altri con un atto di apostasia: ma resta il fatto che essi si sono separati da ciò che, prima, era anche per loro la Verità: e dalla Verità non ci si separa mai nel più profondo dell’essere, e sempre si aspira a tornarvi, perché l’essere ha perennemente nostalgia di casa. Gli atei, poi, sono diventati tali attraverso la civiltà europea e cristiana: perché l’ateismo, come fenomeno di massa, è un fenomeno esclusivamente europeo e cristiano: in nessun altro continente, in nessun’altra religione (se non oggi, e solo in parte, ma appunto per influsso del nostro esempio), vi è mai stato, in precedenza, un qualcosa di simile. Gli Ebrei, con la Torah; i popoli islamici, con il Corano; i popoli del subcontinente indiano, con l’induismo; i Tibetani, i Mongoli, con il buddismo; i Giapponesi, con lo scintoismo; perfino i popolo "primitivi", con le loro credenze animiste: nessuno ha mai conosciuto l’ateismo di massa, e assai raramente anche l’ateismo individuale. Ergo, un ateo intelligente e intellettualmente onesto dovrebbe comunque riconoscere il suo debito verso la civiltà dell’Europa e la religione cristiana; invece di detestarle, dovrebbe rendere loro omaggio: se egli ha potuto staccarsi dalla tradizione, ripudiare ciò che gli era stato insegnato (o che era stato insegnato ai suoi genitori), se ha potuto giungere all’aperta negazione o al rifiuto di Dio, e dichiararlo a gran voce, ciò è stato possibile grazie alla civiltà europea e alla religione cristiana. Sappiamo benissimo cosa accadrebbe, ad esempio, a un ex islamico che giungesse all’ateismo e lo volesse proclamare ad alta voce; lo sappiamo, anche se preferiamo non pensarci, e fare finta di nulla. Lo sanno anche gli atei di casa nostra, quelli pieni di livore e di rancore contro la propria civiltà e la propria religione; ma non sono abbastanza onesti e non hanno abbastanza fegato da ammettere la sostanziale differenza: da riconoscere che, se possono permettersi il lusso di sputare e defecare nella culla ove sono stati allevati, è solo perché la loro madre è stata così generosa, da lasciarli liberi di scegliere, rispettando, pur con sofferenza, le loro decisioni.
Questo, dunque, è il nostro orizzonte spirituale; questo è il clima nel quale siamo cresciuti. Senza l’Europa e senza il cristianesimo — ma le due cose sono state una sola per circa mille anni — noi non saremmo nulla; ciascuno di noi, oggi, sarebbe meno di zero. Saremmo un gregge di pecoroni, una massa amorfa e indistinta, pronta a seguire qualsiasi pastore, o a farsi sbranare dai lupi. Se pensiamo così come pensiamo; se sentiamo così come sentiamo; se amiamo così come amiamo; se preghiamo, o rifiutiamo la preghiera, così come facciamo; se siamo quello che siamo, e se possiamo perfino prenderci lo sfizio di disprezzare, insultare e maltrattare nostra madre, cioè la nostra civiltà e la nostra religione, è perché siamo cresciuti in esse. E così come sono penosi, nonché ridicoli, quegli atei che praticano la cerimonia dello "sbattezzo", così sono penosi, e ridicoli, quegli Europei che abiurano, intimamente o esplicitamente, la loro civiltà, la respingono, la maledicono, e vorrebbero farsi qualcosa d’altro, qualcosa di diverso da ciò che sono. Perché una cosa del genere in nessun’altra parte del mondo sarebbe consentita: nessun’altra civiltà e nessun’altra religione sono abbastanza grandi e mature da accettare che i loro figli si comportino in un tal modo verso di esse, e da subire in silenzio la loro rabbia e la loro rivolta.
Ebbene: sia la civiltà europea, sia la religione cristiana, e specificamente la cattolica, sono oggi minacciate in una misura tale, che non si verificava da un millennio: e ciò da una migrazione di popoli, spacciata per emergenza umanitaria, manipolata da occulti poteri finanziari, e sostenuta dagli sceicchi del petrolio, il cui scopo è colonizzare, islamizzare e sottomettere l’Europa e far sparire per sempre la religione cristiana cattolica. Nemmeno quando i Turchi battevano alle porte di Vienna, nel 1529 e nel 1683, la minaccia fu altrettanto insidiosa: perché allora si trattava della conquista di un esercito, la quale, se vittoriosa, avrebbe lasciato sussistere una certa libertà religiosa, e sia pure pagandola a caro prezzo, così come già avveniva nelle province balcaniche cadute sotto il tallone ottomano; mentre oggi si tratta di una colonizzazione capillare, di una sostituzione di popolazioni, di una mutazione etnica, attuata in parte nel presente, con i cosiddetti migranti, e, in parte ancor maggiore, nel futuro prossimo, attraverso il loro tasso di natalità. Questione di due o tre generazioni, e l’Europa cristiana sarà sommersa, ridotta in minoranza, forse perseguitata, forse tollerata, ma a dure condizioni, come accade ai Copti in Egitto o ai cristiani dell’Iraq e della Siria, sempre esposti a rappresaglie e massacri e costretti, in misura crescente a fuggire o a convertirsi, per non soccombere fisicamente; e la civiltà europea, come la conosciamo e come l’abbiamo sempre conosciuta, coi suoi valori, con la sua identità, col suo stile di vita, sarà scomparsa per sempre. Chi vivrà, vedrà come reagiranno allora i nostri intellettuali progressisti, radicali e massoni, che teorizzano la bellezza del matrimonio omosessuale e l’assoluta parità fra uomo e donna, quando gli omosessuali verranno condannati a morte e alle donne, costrette a indossare il velo, sarà proibito persino di guidare l’automobile. Ma, a quel punto, non ci sarà più nulla da fare.
Quella che sta sommergendo l’Europa, oggi, è un’invasione: su questo non devono esserci dubbi. Nessun buonismo, nessun umanitarismo d’accatto, devono fare velo alla nostra intelligenza, al nostro più elementare buon senso. Anche un bambino capirebbe che dei "disperati", i quali non hanno nulla, e che "fuggono da guerra e fame", come ogni giorno ci ripetono, tutti i santi giorni, i nostri media di regime, non potrebbero mai e poi mai disporre di 2.000 dollari, o più, per pagarsi la traversata sulle carrette del mare; che, se davvero disponessero di tali somme, cercherebbero di giungere in Europa in altro modo, su un normale aereo di linea, spendendo dieci volte meno e non rischiando nulla; che, se il loro scopo reale fosse scappare da guerre e fame, ma volendo conservare i loro usi e la loro religione, si fermerebbero assai prima, nei Paesi arabi vicini alle loro frontiere, per esempio nei ricchissimi Paesi del Golfo, che nuotano sui petrodollari; che, se gli sceicchi di quei Paesi, e il re dell’Arabia Saudita, volessero davvero aiutarli, invece di comperare banche, moschee e supermercati in Europa, farebbero allestire dei campi profughi e proverebbero a integrare quei poveretti, nello spirito di accoglienza della loro religione, invece di dirottarli verso le terre degli "infedeli"; che, se i cosiddetti profughi venissero davvero in Europa semplicemente per lavorare e sottrarsi ai pericoli, non formerebbero dei mondi chiusi, dei ghetti anti-europei, dove i terroristi suicidi trovano la generale comprensione e solidarietà, né si comporterebbero come una quinta colonna in un Paese nemico, ma manifesterebbero riconoscenza per coloro che li hanno accolti ed estremo rispetto per i loro usi, le loro tradizioni, il loro credo religioso.
Già il fatto che oltre il novanta per cento dei "migranti" siano di fede islamica dovrebbe far spuntare qualche domandina nella testa dei nostri uomini politici e dei nostri sedicenti intellettuali; e il fatto, poi, ben noto a chiunque, che il loro tasso d’incremento demografico è due o tre volte superiore al nostro, dovrebbe suggerire qualche conto anche al più sprovveduto in scienze statistiche, anche al più refrattario al calcolo matematico. Non occorre avere la mente di Einstein per capire che cosa stia succedendo e che cosa succederà fra trenta o cinquant’anni. In tale contesto, la linea scelta, e testardamente portata avanti, dal pontificato di Bergoglio, è semplicemente incomprensibile. In nome di un buonismo cieco, irresponsabile, autodistruttivo, suicida, egli predica l’accoglienza indiscriminata, ripete che bisogna gettare ponti e non alzare muri, ordina, addirittura, il dovere della solidarietà e dell’accoglienza: un comandamento che Dio stesso non ha mai dato, almeno in questa forma; perché, dicendo "ama il prossimo tuo come te stesso", evidentemente si raccomanda di amare anche se stessi, anche i propri figli, anche il mondo in cui si vive e cui si è legati; mentre l’accoglienza indiscriminata di folle strabocchevoli d’immigrati islamici equivale alla fine della nostra civiltà e della nostra religione. Nella sua famosa intervista a Eugenio Scalfari del 2013, papa Bergoglio aveva detto, fra l’altro, una cosa gravissima: che Dio non è cattolico. Come si deve intendere questa affermazione? Forse nel senso che non ha alcuna importanza se il cattolicesimo sopravvivrà, basta che sopravviva la religione di Bergoglio? E qual è la religione di Bergoglio, se non è quella cattolica romana? È la religione dei diritti dell’uomo? È la religione del buonismo a senso unico? È la religione dell’indifferentismo religioso (ci si perdoni il bisticcio), del relativismo, dell’Umanesimo camuffato da religione? È, insomma, la religione della massoneria, che è anche, guarda caso, la religione dei poteri finanziari che controllano il mondo?
Che cosa è andato a fare, dunque, papa Bergoglio, sull’isola di Lesbo, in questo aprile del 2016, quando l’Unione europea (che non è, sia chiaro, l’Europa; ma che, quanto meno, comprende i popoli dell’Europa e, quindi, la loro civiltà), e sia pure assai tardivamente, ha incominciato a rendersi conto della tremenda minaccia e ha iniziato, timidamente, a procedere con i rimpatri della gran massa dei cosiddetti "migranti economici", ossia di quelli — e sono la stragrande maggioranza — che, perfino dal punto di vista dei nostri buonisti di professione, non hanno alcun diritto di essere accolti in Europa, così come invece pretendono? Che cosa è andato a fare, parlando a quelle persone nel modo in cui ha parlato loro; denunciando l’egoismo dell’Europa, incoraggiandoli a riprovare, a ritentare, a non scoraggiarsi, lasciando intendere che, presto o tardi, anche l’ultimo muro cadrà, ed essi potranno ritornare in massa, senza più nessuno che li fermi, anzi, accolti a braccia aperte, desiderati, invocati, festeggiati, applauditi come una grazia del Cielo? Che cosa si propone di fare per mezzo di quelle immagini, che hanno fatto il giro del mondo, come lui ben sapeva, nelle quali si vedono i "profughi" che piangono, invocano, mostrano i bambini, protendono i loro stracci, gridano la loro angoscia e la loro disperazione, rimproverano l’universo mondo per la sua bieca e crudele indifferenza? Oppure quando ha fatto il gesto simbolico di prenderne una dozzina con sé, e di portarseli in Italia, come a dire che posto ce ne sarebbe, eccome, e che non si deve credere alle bugie dei governi, degli amministratori pubblici e dei sindaci, una gran massa di egoisti senza cuore, che dicono di "no" agli immigrati pur avendo spazio a sufficienza, pur avendo gli edifici, le strutture, la possibilità di accoglierli, inserirli, sfamarli, trovar loro un lavoro (un lavoro, di questi tempi!) Che tipo di messaggio ha voluto mandare, sia ai "migranti", sia ai popoli d’Europa, e in primo luogo agli Italiani?
Un tempo, l’ideale di cristiano era Marco d’Aviano, il frate predicatore che ha percorso l’Europa in lungo e in largo per organizzare la resistenza e la controffensiva contro il Turco, allorché Vienna era stretta d’assedio e le ore della capitale asburgica parevano contate. Se Vienna fosse caduta, forse noi oggi saremmo già islamici, o islamizzati. Marco d’Aviano non era un guerrafondaio, non era un duro di cuore, non era un razzista, o un fanatico, o un integralista: era un uomo che amava l’Europa e che amava la Chiesa. Sostenuto da questo duplice, immenso amore, egli ha incarnato lo spirito migliore del nostro vecchio continente, lo ha trascinato alla riscossa, ha rianimato i dubbiosi, ha rinvigorito i pusillanimi, ha sferzato gl’ignavi, ha benedetto, ebbene sì, gli eserciti, dopo aver celebrato la messa sulla collina del Kahlenberg: quelle magnifiche truppe, quei dragoni e quei corazzieri e tutti quei soldati che, guidati dall’abile strategia di Sobieski, re di Polonia, hanno rovesciato gli accampamenti turchi e allontanato definitivamente la minaccia dal cuore del nostro continente. Perché una civiltà, quando si vede direttamente minacciata, ha il diritto, e anche il dovere, di difendersi: proprio come si riconosce un tale diritto al privato cittadino, allorché degli estranei sfondano la porta e pretendono d’irrompere in casa sua, o d’installarvisi da padroni, dettandogli le loro regole. Tutto questo sembra poco cristiano? No: questo è il normale diritto alla sopravvivenza, che esiste in natura e che esiste in tutte le legislazioni del mondo civile. A nessuno può essere ordinato il suicidio, in nome dell’umanitarismo. Questa non sarebbe una pratica di amore, ma una cosa assai diversa: una pratica anti-umana, un mostruoso rovesciamento del più elementare senso di giustizia e del più naturale istinto di conservazione.
Il cristianesimo è una religione fatta per l’uomo, non contro l’uomo. Non gli chiede di suicidarsi, ma di convertirsi, Non gli chiede di annientarsi, ma di amare. E, per amare gli altri, bisogna amare anche se stessi: senza narcisismo, senza egoismo; ma anche senza complessi di colpa o d’inferiorità.
Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Christian Lue su Unsplash