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6 Marzo 2016Quale rapporto intercorre fra il cristianesimo e la democrazia: organico o accidentale? Una società cristiana deve anche essere una società democratica? I cristiani hanno il "dovere" di appoggiare la democrazia, sempre e comunque, e non è lecito che possano immaginare altra legittima forma di governo all’infuori di essa?
Di fatto, poiché il cristianesimo si è inizialmente diffuso nell’area del Mediterraneo e dell’Europa meridionale, esso ha convissuto, adattandovisi, a numerose e differenti forme di governo: la monarchia divinizzata (l’Impero romano), le monarchie romano-barbariche, la monarchia feudale, la monarchia assoluta, la monarchia "illuminata" e riformatrice, la monarchia costituzionale, la monarchia parlamentare, e infine, solo da ultimo, la repubblica democratica. E sappiamo, particolarmente da san Paolo e, più tardi, da san Tommaso d’Aquino, che il potere costituito è, di per sé, legittimo, a meno che esso infranga apertamente e clamorosamente i diritti di Dio; pertanto, il popolo cristiano è tenuto all’obbedienza e al rispetto di ogni governo costituito, perché esso non esisterebbe se la sua autorità non fosse permessa da Dio: Omnis potestas a Deo (Epistola ai Romani, XIII, 1).
Tuttavia, ancora oggi, al di fuori dell’Europa e del Nord America, milioni di cristiani vivono all’interno di stati nei quali non vige la democrazia (oppure essa vige solo di nome), ma altri sistemi di governo, come la dittatura militare, il dispotismo autocratico, il fondamentalismo politico-religioso. Che cosa bisogna pensare? Che i cristiani di quei Paesi devono lottare per la democrazia in quanto cristiani, e che la democrazia deve essere considerata come il punto omega della storia, oltre la quale nulla è pensabile di diverso o di migliore? E che i cristiani di quelle società, se non si impegnano per la democrazia, sono degni di disistima e meritano di essere sconfessati dai loro confratelli d’Europa e d’America, più "evoluti", dal momento che hanno compreso come solo la democrazia si addica ad una società cristiana?
Eppure, è evidente che proprio nelle società a "democrazia avanzata" il cristianesimo è stato, di fatto se non di diritto, letteralmente spazzato via; di più: che incomincia ad essere perseguitato per legge. È di poco tempo fa la notizia di un padre di famiglia norvegese che è stato condannato da un tribunale perché giudicato reo di avere impartito ai suoi figli una educazione "troppo cristiana". Casi simili sono sempre più frequenti. I cristiani, e particolarmente i cattolici, pur se ancora tollerati, presto dovranno fare i conti con una persecuzione strisciante di tipo giudiziario, così come sono sottoposti, ormai da almeno due secoli, a una discriminazione di tipo culturale e sociale. Fino a ieri, professarsi cattolici in una scuola o in una università statale era "soltanto" motivo di compatimento o derisione da parte dei compagni e dei colleghi; da adesso, incomincia ad essere fonte di guai con il codice penale. Un genitore può vedersi sottratta la patria potestà, e un insegnante può vedersi affibbiata una multa colossale, per aver tenuto discorsi "omofobi", cioè, in pratica, per aver difeso il suo punto di vista sulle questioni relative all’omosessualità come fatto sociale (pur in assenza di qualsiasi giudizio morale, tanto meno rivolto alle singole persone omosessuali).
Parliamoci chiaro: la democrazia moderna nasce dalla Massoneria, cioè, in buona sostanza, da un progetto globale anticristiano; e ciò sia nella forma più moderata della democrazia americana di Washington e Jefferson, cioè nella forma della democrazia liberale, basata sui diritti del cittadino, sia nella forma più aggressiva della democrazia giacobina della Rivoluzione francese, portata avanti a suon di ghigliottina, chiusura di conventi e soppressione di ordini religiosi. Questa è la matrice ideologica della democrazia moderna e niente e nessuno possono modificare questa realtà storica. Poi, mano a mano che la democrazia guadagnava terreno, nel corso del XIX secolo e al principio del XX, ma specialmente dopo la Prima guerra mondiale (che liquidò ben quattro imperi in un colpo solo: la Russia, la Turchia, la Germania e l’Austria-Ungheria), i cristiani incominciarono a pensare che essa si sarebbe imposta a livello mondiale, e che le sue qualità ne facciano l’ideologia politica migliore che sia mai esistita e che potrebbe esistere. Dimenticando il "Sillabo" di Pio X, la persecuzione anticattolica nella Terza repubblica francese, il Kulturkampf di Bismarck nel rinato Reich tedesco, molti cristiani e moltissimi cattolici si convinsero che solo la democrazia è una forma istituzionale degna di un Paese civile, e che solo con essa loro avrebbero potuto partecipare in maniera adeguata alla vita pubblica, con le loro organizzazioni sociali e lavorative, con le loro banche popolari e casse rurali, con i loro movimenti e partiti politici. E dimenticando che i primi genocidi anticristiani ebbero luogo da parte dei regimi o dei partiti democratici moderni: la Prima repubblica francese del 1792 (contro il popolo della Vandea), i rivoluzionari "liberali" del Messico (contro i "cristeros"), e il movimento "democratico" dei Giovani Turchi durante la Prima guerra mondiale (contro gli Armeni).
Per quel che riguarda il nostro Paese, fu tra gli ultimi anni del XIX e i primi anni del XX secolo che i cattolici cominciarono a domandarsi, nonostante il Non expedit di Pio IX del 1874, se non fosse il caso di prendere parte alla vita politica con un loro partito o in qualche altra forma, sull’onda della Rerum novarum di Leone XIII, che aveva definito la dottrina sociale della Chiesa, e sulla spinta della questione operaia e delle altre problematiche portate dall’avanzare dell’industrializzazione e, più in generale, dai processi della modernizzazione, che intaccavano e trasformavano profondamente la strutturar rurale, patriarcale e religiosa della società.
I cattolici tedeschi, invece, non avevano perso tempo e sin dal 1870 avevamo fondato un loro robusto partito politico, il Centro Cattolico (Deutsche Zentrumspartei): ma ciò si era reso necessario sia dalla nascita del Reich, all’interno del quale essi erano venuto a trovarsi in minoranza rispetto ai luterani, sia rispetto alla politica del cancelliere Bismarck, che si apprestava a sferrare, nel quadro di una generale centralizzazione del potere statale, una durissima battaglia anticattolica, denominata Kulturkampf, che si sarebbe protratta per un buon quindicennio (1872-1887).
Ci sembrano di notevole interesse le osservazioni svolte all’epoca da un sacerdote vicentino assai colto e dinamico, profondo studioso delle questioni sociali e politiche connesse con la vita della Chiesa e con i valori e le attività pratiche del cattolicesimo, don Tiziano Veggian (1867-1933), che partecipò appassionatamente al dibattito sulla questione della partecipazione dei cattolici alla società civile. Professore di Diritto ecclesiastico nel Seminario di Vicenza, indi vicario generale della Diocesi, svolse una intensa attività di conferenziere e collaborò a numerose riviste e giornali cattolici, intrattenendo una corrispondenza sia con Romolo Murri, capofila riconosciuto della nascente democrazia cristiana, che gli chiedeva di collaborare con la sua rivista «Cultura sociale», sia con esponenti del tradizionalismo cattolico intransigente, come Andrea Scotton di Breganze (il quale, insieme ai suoi due fratelli, Gottardo e Jacopo, dirigeva il battagliero giornale antimodernista «La Riscossa»), sia, infine, con il prof. Giuseppe Toniolo, economista e sociologo, il più autorevole esponente del movimento cattolico del tempo, il quale gli chiedeva traduzioni dal francese di autori come il padre gesuita Antoine.
Era una fase storica e culturale intricata e delicatissima, con il mondo cattolico in pieno fermento, proprio nelle aree ove tradizionalmente esso era più radicato (a Vicenza aveva esordito lo scrittore Antonio Fogazzaro, sensibile anch’egli alle questioni sociali e culturali, il quale si sarebbe gradualmente avvicinato al modernismo, fino a incorrere nei rigori dell’Indice dei libri proibiti; mentre, ad esempio, il giornale dei fratelli Scotton, che aveva una diffusione e una risonanza assai più ampi della diocesi vicentina, godeva, da un lato, delle simpatie del pontefice san Pio X, ma era osteggiato, dall’altro lato, dal vescovo Ferdinando Rodolfi, nominato nel 1911 e che era, se non apertamente filo-modernista, certo poco favorevole alla linea intransigente inaugurata da Pio X e dal segretario di Stato, cardinale Merry Del Val, e sostenuta, appunto, dagli Scotton. Muovendosi con intelligenza e senso della misura in tutto questo tumultuoso laboratorio di idee, non di rado tra loro conflittuali (il patto Gentiloni sarebbe stato varato intorno al 1909, cinque anni dopo lo scioglimento dell’Opera dei Congressi, sancendo l’inizio della partecipazione dei cattolici alla politica attiva), don Veggian scrisse alcuni volumi di approfondimento sulle problematiche relative al cattolicesimo, al socialismo e alla questione sociale, fra i quali ricordiamo: «Il movimento sociale cristiano nella seconda metà del XIX secolo» (Vicenza, 1902), «Storia del movimento socialista contemporaneo» (Roma, 1902), «Monsignor Capellari, Vescovo di Vicenza» (Vicenza, 1910) e «Il celibato ecclesiastico» (Vicenza, 1912).
Ci piace riportare una pagina tratta dal suo ampio studio — di oltre 600 pagine – «Il movimento sociale cristiano» (Vicenza, Giovanni galla Editore, 1902, pp. 590-593), di speciale interesse perché riporta un punto di vista anteriore alla effettiva partecipazione dei cattolici italiani alla vita politica e può, pertanto, trattare l’argomento con quella franchezza e con quella "ingenuità" che, alcuni anni dopo, si sarebbero inevitabilmente attenute, facendo luogo a una maggiore prudenza e tenendo conto, come è logico, dei primi risultati "sul campo", anche elettorali, di tale impostazione:
«Per democrazia nel senso cristiano non si intende oggidì quella corrente disordinata e vorticosa di idee e di avvenimenti, che si svolsero del mondo pagano e, dopo la venuta di Gesù Cristo, nel mondo corrotto e ostile, all’influenza del Cristianesimo e che condussero quasi sempre alla rivoluzione, alla’anarchia e al sangue; nemmeno si intende la congerie dei sistemi di governo liberali, propugnati oggidì dai cosiddetti democratici e che trovano la loro espressione nelle rappresentanze numeriche o nella sovranità popolare. Attraverso queste viziate correnti, il Cristianesimo "insinuò, maturò e trasse in atto un concetto originale, armonico, efficacissimo della democrazia che nessuna mente di legislatore o vocazione civile di popoli aveva nella sua integrità per lo innanzi intuito. Tale concetto invero risponde ad argomenti di ragione, si consacra con l’armonia, coi i principi e con le virtù del Cristianesimo, si avvalora infine delle lunghe esperienze storiche della Chiesa, massimamente nel periodo in cui questa dispiegò tutta la pompa della sua potenza rigeneratrice, cioè nel Medioevo che fu detto la balda giovinezza dell’rodine sociale cristiano" [Toniolo].
In tale concetto la democrazia non apporta confusione, ma sommo ordine sciale che si fonda sul sentimento del dovere, in quanto che tutti gli elemento sociali sono obbligati a cooperare al bene comune: non si creano odî o antagonismi fra le classi più basse nella scala dei gradi sociali e le classi superiori, né si dà predominio assoluto alla classe popolare contro le classi nobiliari o possidenti. No; il fine di una DEMOCRAZIA CRISTIANA è il bene comune a tutti e singoli i cittadini, a tutti indistintamente gli ordini della società, che al bene comune devono cooperare; con questa eccezione però che le ultime classi, i lavoratori, i vecchi, le vedove, i pupilli, secondo l’insegnamento dell’Enciclica ["Rerum novarum"] hanno diritto ad una prevalenza di vantaggi sociali, perché la loro medesima debolezza li rende bisognosi di una maggiore protezione.
In questo concetto ESSENZIALE la democrazia non si confonde con alcuna forma di governo o di reggimento politico, quantunque nelle sue manifestazioni ACCIDENTALI e contingenti essa possa, per quanto riguarda la costituzione politica, essere inclinata a forma di governo popolare. In ogni caso noi non dobbiamo mai immedesimare il regime della democrazia con la partecipazione universale delle plebi al potere. "Il popolo — scrive il prof. Toniolo — politicamente, in tutti i tempi, non visse soltanto per entro ai grossi parlamenti, bensì piuttosto negli organismi autonomi di Comuni, nelle corporazioni rivestite di funzioni civili nelle Università campagnole, nelle Vicinie o adunanze parrocchiali, nell’autorità feconda delle consuetudini giuridico-legali. Anzi può prevedersi, con ogni fondamento, che la democrazia nel suo aspetto politico, in un prossimo avvenire, forse meglio che nella partecipazione delle masse alla suprema e accentrata rappresentanza parlamentare, si esplicherà con la fioritura delle più numerose svariate amministrative di classi e di località civiche, rurali, provinciali, regionali, ecc. in ciò massimamente restituendo gli antichi ordini cristiani di civiltà.
Che se oggi le costituzioni per lo più scesero in piazza col suffragio universale, se i regimi repubblicani vantano una crescente previsione di prevalenza avvenire… tuttora (avvertasi bene), né il pubblico, che scorge e misura l’avvento crescente della odierna democrazia, pensa che questa assumerà il berretto repubblicano, né (ciò che vale di più) la Chiesa, custode delle sue tradizioni in pro del popolo, in nessun tempo dimostrò e oggi meno che mai afferma di attendere la salute della società e del popolo stesso esclusivamente da una concreta forma di governo. La DEMOCRAZIA CRISTIANA, pertanto, potrà influire occasionalmente sull’assetto politico degli Stati, ma la sua esistenza e i suoi destini aleggiano al di sopra di qualsiasi forma di governo".
Con questa nozione il lettore assennato comprenderà la portata delle varie definizioni che gli scrittori vanno dettando della democrazia. Così a mo’ di esempio quando l’abete Naudet definisce la democrazia "il governo del popolo per mezzo del polo stesso", il lettore ha compreso quale significato deve accordare a tale definizione: non può essere un predominio assoluto e illegittimo delle classi popolari, ma la conspirazione [sic] di tutte le classi al bene comune e la partecipazione di esso, ciò che con un aforisma espressivo il conte di Blöme diceva: "rispetti eguali di diritti diversi", con la concessione però di una somma maggiore di vantaggi sociali alla classe più debole; non può essere che un avviamento al regime politico e sociale delle rappresentanze e delle corporazioni professionali, e nel caso concreto della nazione francese e dell’ora presente, un atto di adesione ossequiente al regime repubblicano.»
Come si vede, anche allora, circa un secolo fa, c’era chi vedeva con chiarezza come sarebbe stato un grave errore quello di identificare la democrazia con l’unico interlocutore possibile per i cattolici; e che questi ultimi, pur partecipando alla vita politica nel quadro delle istituzioni democratiche, non dovrebbero mai dimenticarsi che il loro modello di riferimento, il Vangelo, è detentore di una verità perenne, che, ovviamente, travalica le contingenze storiche e non si lascia "fissare" in nessuna cornice di tipo ideologico e istituzionale. Don Veggian, per esempio, distingueva opportunamente tra il fatto della partecipazione dei cattolici alla vita pubblica entro il quadro di riferimento delle strutture democratiche, e l’idea che solo nella democrazia i cattolici avrebbero trovato la possibilità di farlo; in definitiva, li invitava a non confondere il piano dell’assoluto, di cui si nutre la spiritualità cristiana, con il piano del contingente, nel quale il cristiano vive ed opera, ma con il quale non si identifica mai del tutto, perché, se lo facesse, tradirebbe l’universalità e la perennità del messaggio di cui è portatore.
Non si può dire che i cattolici delle generazioni successive abbiano compreso l’ammonimento, specialmente in Italia: da don Murri a don Sturzo, da Dossetti ai gesuiti della "primavera di Palermo", passando per tutta la storia della Democrazia Cristiana e oltre, la storia del cattolicesimo democratico è piena di preti intriganti e di laici confusionari, malati di "progressismo" e totalmente incapaci di scindere ciò che appartiene a Cesare da ciò che appartiene a Dio; e, quel che è peggio, che chiamano "dovere di solidarietà" e di uguaglianza, e partecipazione alla rivendicazione dei "diritti", una interpretazione tutta loro, politica, e ovviamente di sinistra, del Vangelo, che una rivelazione politica sicuramente non è.
Le sagge osservazioni di uomini come don Veggian, piene di elementare buon senso, sono scorse via come acqua fresca.
Con quale beneficio, per il cattolicesimo e per il nostro Paese, ognuno è libero di giudicare, secondo il proprio punto di vista.
Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Christian Lue su Unsplash