La fede del cristiano cambia continuamente, secondo il momento storico?
1 Marzo 2016
Se non ci fosse qualcuno che prega per noi… La storia incredibile di padre Kalosans
3 Marzo 2016
La fede del cristiano cambia continuamente, secondo il momento storico?
1 Marzo 2016
Se non ci fosse qualcuno che prega per noi… La storia incredibile di padre Kalosans
3 Marzo 2016
Mostra tutto

Don Mazzolari, la Chiesa dei poveri e la pastorale d’un prete moderno

Don Primo Mazzolari (Cremona, 13 gennaio 1890-Bozzolo, Mantova, 12 aprile 1959) è stato un personaggio controverso e, per molti aspetti, un precorritore delle istanze riformatrici del Concilio Vaticano II; nel bene e nel male, è stato un prete "innovatore" e anticonformista, impegnato nella predicazione della "Chiesa dei poveri", nell’ascolto dei lontani, nonché un fautore del "dialogo" con le altre fedi e con le altre "verità" religiose.

È stato, anche, un personaggio contraddittorio, aspetto del quale poco o niente si è parlato, tanto dai suoi detrattori che dai suoi ammiratori: interventista nel 1915, volontario allo scoppio della Prima guerra mondiale e cappellano militare nel 1918, è passato su posizioni antifasciste e di adesione alla Resistenza, tanto da vivere in clandestinità negli ultimi mesi della guerra civile del 1943-45, e da ricevere, al termine della guerra civile, la qualifica di "partigiano" dall’A.N.P.I. di Cremona.

Nel dopoguerra la sua personalità di prete scomodo trovò conferma anche nel clima della democrazia repubblicana. Fondatore, nel 1949, della rivista quindicinale «Adesso» (che avrebbe cessato le pubblicazioni nel 1962), evidenziò una schietta sensibilità sociale e progressista, mettendosi in luce come un tipico rappresentante del clero "impegnato" e di sinistra: mostrò una benevola attenzione nei confronti dei comunisti e dialogò molto con essi, pur tenendo ferma la distinzione fra comunisti e comunismo, e dichiarando che, se i primi potevano essere brave persone, con le quali era possibile collaborare, almeno fino a un certo punto, il comunismo invece è un’ideologia sbagliata e anti-cristiana, verso la quale non esistono spazi di collaborazione. Ad ogni modo, le autorità superiori non tardarono a vedere in lui un sacerdote indisciplinato e sbilanciato su posizioni troppo progressiste, sia a livello sociale che nello stesso ambito ecclesiastico e religioso, e lo sottoposero a una serie di limitazioni, fra l’altro proibendogli di predicare al di fuori della sua parrocchia di Bozzolo. Pur ridotto all’isolamento, Mazzolari fu notato e apprezzato da alcuni intellettuali di area cattolico-progressista, fra i quali Ernesto Balducci e Giorgio La Pira, i quali videro in lui non solo l’amico dei poveri, ma anche il difensore di valori sociali come la giustizia, e di valori civili come il pacifismo (celebri le sue prese di posizione a favore dell’obiezione di coscienza e del disarmo), e fecero della sua figura quasi una bandiera del rinnovamento, da loro auspicato, in seno alla Chiesa cattolica, e un precursore della stagione del Concilio Vaticano II.

Nell’ultima fase della sua vita egli ebbe un parziale riconoscimento da parte della gerarchia ecclesiastica, tanto che l’arcivescovo di Milano, Montini, futuro papa Paolo VI, lo chiamò a predicare nella sua diocesi, mentre Giovanni XXIII, ricevendolo in udienza privata, lo definì addirittura, e pubblicamente, "la tromba dello Spirito Santo in terra mantovana", cosa che di fatto non solo "sdoganava" le posizioni da lui sino allora sostenute, ma gli riconosceva un ruolo profetico e carismatico molto importante nel processo di ripensamento e di riforma all’interno della cultura cattolica e della Chiesa stessa.

Non intendiamo soffermarci oltre, in questa sede, sulle luci e sulle ombre dell’azione pastorale e della dottrina sociale di don Mazzolari (tanto più che la Chiesa ha già la sua dottrina sociale: quella tracciata dalla «Rerum novarim»); l’argomento sarebbe troppo vasto e richiederebbe uno spazio e un approfondimento ben maggiori. Ci limiteremo a svolgere una riflessione su un concetto-chiave del suo pensiero e della sua pratica pastorale, e cioè che, in un mondo caratterizzato da forti squilibri sociali e da un grande impoverimento spirituale, non si può predicare il Vangelo "alla vecchia maniera", ma bisogna trovare altre strade, più vicine alla gente semplice e specialmente alle classi disagiate, per trasmettere l’amore di Dio agli ultimi e per mostrare loro la via delle verità eterne, abbandonando la "retorica" e il "formalismo" in cui la Chiesa, fino a quel momento, avrebbe indugiato, col risultato di perdere il contatto con il gregge dei fedeli.

Scrive don Primo Mazzolari, a proposito dell’episodio evangelico dei due discepoli di Emmaus, in «Tempo di credere», cit. in «Mazzolari. Antologia dei suoi scritti», a cura di Giovanni Barra, Torino, Borla Editore, 1964, pp. 246-247):

«I due sono arrivati "al villaggio dove andavano", ma Emmaus ha quasi perduto ogni importanza ai loro occhi. Il forestiero, senza mostrarlo, li aveva disamorati del loro viaggio,. Erano arrivati, ma il loro cuore era già oltre Emmaus. Il Signore ha una strana maniera di disincantarci. 

Egli non dispregia nessuna nostra meta, non condanna i nostri ideali, anche se meschini, non si caglia contro i nostri affetti terreni. Ci fa un cuore nuovo, ce lo dilata, ce lo sprofonda, e, se il vecchio uomo non vuol cedere, ci porta via tutto perché lo schianto ci tolga l’ultima illusione del senso. Gesù non ha rimproverato i due perché andavano ad Emmaus, barattando con il rumore dissipatore della strada il silenzio raccolto del cenacolo: non ha spregiato Emmaus.

Non si demoliscono senza pericolo e senza sollevare ostinate resistenze i piccoli appoggi. Due poveri discepoli, stanchi e sperduti com’erano, cosa potevano pensare di meglio di Emmaus?

Per chi "ha scoperto il tesoro", i confronti son facili e "il vedere ogni cosa" è una festa. Ma per chi non vede nulla, e solo ne sente parlare come di cosa che può esistere, il buttar via anche una briciola è una follia.

Chi non sa quanto sono volgari molte nostre soddisfazioni? Che siam fatui nei nostri gusti? Ma perfino una ghianda, per chi non ha di meglio, è un po’ il paradiso!… Conosco tante povere ragazze, chiuse tutta la settimana in uno stabilimento maleodorante, legate a un tavolo o a una bacinella, senza una parola buona, senza un affetto, senza una fede, senza una casa… Ma quando, la domenica, si possono mettere un vestito nuovo, darsi un po’ di rossetto, fare una passeggiata, ricevere un sorriso, una dichiarazione, commettere una follia, è il paradiso. E se qualcuno, con troppa ragione, cercherà di impedire che si perdano, esse difenderanno i loro piccoli beni, come noi difendiamo i nostri tesori spirituali. E non vi crederanno e vi rideranno in faccia ad ogni  predica, anche se sono sicure che c’è qualcosa che non va nella loro maniera di vedere la vita.

Ma qual è la cosa che non va? Chi illumina queste povere creature? Chi le ama?

C’è molta gente che sa far la predica sul peccato, ma troppo pochi sanno far sentire che il bene è bello, che il volersi bene è bello, che il prodigarsi è bello. Prima di disamorare bisogna innamorare: prima di chiudere una porta sul tempo bisogna spalancare una finestra sull’eterno.»

Il concetto-cardine espresso qui da don Mazzolari è che, come Gesù non ha disprezzato le aspettative e i desideri umani, ma ha cercato di indirizzare gli uomini, dolcemente e gradualmente, verso una verità più alta e una scoperta della dimensione spirituale dell’esistenza, così un buon sacerdote non deve concentrare la sua azione pastorale sull’aspetto negativo, mortificando e rimproverando le sue pecorelle perché subiscono il fascino del mondo ed inseguono goffamente dei beni ingannevoli e illusori, ma deve partire dalla realtà effettiva, dalla loro condizione di povertà e solitudine, per accompagnarle verso la luce del Vangelo mediante l’amore, la comprensione e l’incoraggiamento. Si tratta di un testo («Tempo di credere», pubblicato nel 1941 dalle Edizioni Dehoniane) che si può utilmente confrontare con «Esperienze pastorali» di don Lorenzo Milani (pubblicato nel 1958 dalla Libreria Editrice Fiorentina), giudicato peraltro negativamente, quest’ultimo, già da Giovanni XXIII, come abbiamo documentato in un precedente articolo (cfr. «Il Concilio Vaticano II partì con il piede sbagliato?», pubblicato su «Il Corriere delle Regioni» in data 08/01/2016). In entrambi, la domanda è la stessa: come si deve impostare la pastorale in una parrocchia povera e arretrata, dove regnano povertà e ignoranza e dove le persone si sentono – e, sovente, sono – emarginate, discriminate, sfruttate? Poiché dal modo in cui ci si pongono questi interrogativi discendono conseguenze di grandissima portata per il futuro della Chiesa e, forse, per la sua stessa sopravvivenza, vale la pena di fare una riflessione circostanziata sul problema.

Tanto per cominciare, a noi pare che sacerdoti come don Mazzolari, per quanto possano essere stati animati da buone, anzi, da ottime intenzioni, e per quanto possano essere stati delle brave persone, piene di zelo e di amore verso il prossimo, sembrano essere partiti da una impostazione sbagliata di tutta la questione. L’errore consiste in questo: nel fatto di pensare alla Chiesa cattolica come alla Chiesa dei poveri, nel seno letterale dell’espressione (don Mazzolari teorizzava che la chiesa, proprio come edificio sacro, oltre che come istituzione, e perfino la casa canonica, devono essere considerate alla stregua della casa dei poveri). Chi sono i poveri, da un punto di vista cristiano? È questa la domanda che sarebbe necessario farsi, prima di partire a lancia in resta per la crociata pauperista e populista. Il punto di vista cristiano non può appiattirsi, puramente e semplicemente, su quello dell’economia, o della sociologia, o, peggio ancora, della lotta di classe. I poveri, per il cristiano, non sono soltanto, né, forse, sono principalmente, coloro che vivono al di sotto di un determinato reddito, considerato minimo secondo i parametri economici esistenti in quella data società (e non, comunque, in senso assoluto: ecco perché non possono essere considerati tali i "migranti" che arrivano in Europa, pagando 1.000 o 2.000 dollari agli "scafisti" per traversare il Mediterraneo). Ne abbiamo già parlato, per cui stringeremo al massimo il nostro ragionamento (cfr. l’articolo: «Il Vangelo è annunciato specialmente ai poveri: ma chi sono i poveri?», pubblicato su «Il Corriere delle Regioni» il 06/05/2015): i poveri sono tutti coloro che si trovano lontani dalla Buona Novella e vivono immersi nella povertà materiale e soprattutto in quella spirituale, che distoglie le loro anime dall’amore di Dio e del prossimo. Don Mazzolari fa un gran parlare dell’amore ai poveri, del voler bene ai poveri, della predilezione per i poveri, ma sempre intendendo i poveri in senso materiale: ebbene, questa è una forma di razzismo al rovescio. Il Vangelo è per tutti, si rivolge a tutti, poveri e ricchi, buoni e cattivi: a tutti chiede la conversione, a tutti offre l’amore di Dio, e a tutti prospetta la necessità di passare attraverso la prova della Croce per diventare suoi seguaci. Davanti a Dio, non c’è ricco che non possa essere tremendamente povero di quel che è essenziale, e non c’è anima buona e pia che non abbia bisogno di conversione e di aiuto per perseverare nel bene: perché gli uomini, da soli, non possono fare niente di buono, ma con l’aiuto di Lui diventano capaci di spostare le montagne. Questo, crediamo è il senso del Vangelo.

E tuttavia, si dirà prontamente: forse che il buon prete deve assistere indifferente allo spettacolo della povertà? Forse che può dare runa pacca sulla spalla all’indigente, che non ha nulla da mettere nel piatto, e parlargli delle cose dell’anima, ignorando la sua fame materiale e la sua sete di giustizia? Rispondiamo che il prete è certamente un uomo, e che, come uomo, non può restare indifferente, e nemmeno può atteggiarsi a neutrale di fronte a una palese ingiustizia; e tuttavia, come sacerdote, egli non è schierato con nessuno e contro nessuno: come sacerdote egli si annulla in quanto persona, e deve lasciare che sia Cristo a parlare e operare per mezzo di lui. E Cristo andava a cercare non solo i poveri, ma anche i ricchi, come è ampiamente testimoniato dal Vangelo (al punto che i farisei ipocriti gli rimproveravano proprio questo fatto), perché vedeva che tutti, poveri e ricchi, hanno bisogno di conversione; che tutti sono lontano da Dio e tutti devono essere riportati a Lui. Il prete non deve fare il sindacalista, né l’agitatore politico: deve fare semplicemente il prete. E non è un compito da poco; è un compito immenso. Ciò non significa che deve far finta di non vedere la povertà materiale dei suoi parrocchiani; ma che non deve considerare la lotta alla povertà materiale come lo scopo principale della sua missione. Ci sono altri soggetti, istituzionali e privati, per tale scopo; la missione specifica del prete è un’altra, e consiste nel riportare le anime a Dio. Bonum animarum, in ecclesia, suprema lex.

Però, dice don Mazzolari, le operaie non capiranno il richiamo al bene dell’anima e gli rideranno in faccia. E chi ha detto che il prete deve aspettarsi solamente applausi? Al contrario: se lo lodano tutti, dovrebbe chiedersi dove stia sbagliando. E, a parte ciò: siamo sicuri che, pur ridendo, quelle ragazze non torneranno a riflettere, poi, sulla coerenza e sulla forza spirituale racchiuse in quelle parole, che dapprima erano sembrate loro così sgradevoli? Il chicco di grano non germoglia subito: ha bisogno di un certo tempo per dare frutto; e il cristiano è paziente. È giusto, peraltro il concetto che, prima di chiudere la porta sull’effimero, si deve almeno socchiudere una finestra sull’eterno: ma il prete non parlerà mai dell’eterno, se aspetta che, prima, venga instaurata la giustizia sociale…

Fonte dell'immagine in evidenza: RAI

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
Hai notato degli errori in questo articolo?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.